Chris Nordgren e Jordi Roca danno vita a quello che è destinato a diventare uno dei casi videoludici del 2021. Everhood è un’opera straordinaria e unica, nel gioco come nell’esperienza emotiva che genera.
Sviluppatori: Chris Nordgren e Jordi Roca Publisher: Foreign Gnomes, Surefire Games Prezzo: 9,99€ Localizzazione: Assente Multiplayer: Assente PEGI: 7 Disponibile Su: PC (Steam), Nintendo Switch
NPC, qual è la tua storia? Entità incastrate nel loop di un’avventura che inizia da una “nuova partita”, la loro vita dipendente dalle pulsioni di un giocatore. Acceso, spento, I/O. Le stesse battute, le stesse azioni ripetute come in un’inconsapevole pièce teatrale, serata dopo serata. L’immortalità al prezzo di un’esistenza automatica, il DNA sostituito dal codice, la libertà venduta allo script.
Everhood è un mondo post-videoludico, talmente dimenticato da veder deteriorare davanti ai nostri occhi le fondamenta costruite dai programmatori, di cui resiste solo qualche monumento di gameplay. Un Truman Show a telecamere spente e cancelli chiusi, i suoi abitanti liberi dall’obbligo di recitazione senza però poter uscire dalla recinzione, condannati alla disperazione del vuoto che si tramuta in follia, anti-esistenza. Anarchia senza fini politici, privati di uno scopo e della stessa umanità, una volta abitanti di quel villaggio così grazioso in un Dragon Quest, Final Fantasy, Grandia, ora anime perse nel degrado, tra le rovine. Pochi elementi stilizzati, abbozzati a caratterizzare gli ambienti, come costruiti da un architetto con la memoria in polvere, l’idea dell’oggetto senza la sua sostanza, sfondo nero, senza fine, il negativo di un classico JRPG.
Il giocatore anima una marionetta di pixel, senza voce, senza volontà, un pezzo di legno intagliato per ricordare la forma umana, un cappuccio rosso in testa per ricordare che si deve stare alla larga dal lupo. Siamo dentro, chiamati in causa con l’inganno di passare qualche ora a divertirci davanti a un videogioco, videoludicamente scorretto direbbe qualcuno, ticket da 9,99€ in mano, caduti nella trappola della meta-narrazione che ci impedisce di girarci dall’altra parte. È la tana del bianconiglio? O siamo noi il bianconiglio? Mio dio, chi eravamo?
THIS IS THE RHYTHM OF THE MIND
Un bosco tetro, l’unico raggio di luce che penetra tra le fronde come un occhio di bue ad aprire il sipario sulla nostra avventura e sul suo protagonista smembrato, l’invito ad abbandonare la nostra umanità e ad abbracciare l’immortalità. Non è un po’ quello che facciamo ogni volta che premiamo il tasto start? Il nostro braccio rubato da un folletto, mutilati per avidità, una tra le tante emozioni che governano la psiche dei personaggi che incontreremo. Macchiette, schiavi, entità dai pensieri distorti, confusi, sofferti, nascosti da un velo di finta lucidità che graffia, disturba, inquieta.
Un carnevale senza fine che ha perso la gioia, una farsa tenuta in piedi per non scomparire nel nulla dentro sé stessi, digeriti dalla propria mente, maschere di angoscia, depressione, perversione. In molti di loro la nostra presenza fa scattare una scintilla, un allarme a protezione del loro status quo, sfidati uno dopo l’altro in danze letali, boss fight del sabato sera, psichedeliche come da dizionario, sensorialmente sconvolgenti e realmente pericolose per chi soffre di epilessia. Duelli stroboscopici a frequenze che spingono al limite la retina e le percezioni, ognuno con elementi unici a spiccare. La prospettiva si sposta alle spalle della nostra marionetta, di fronte l’avversario, nelle orecchie una drum ‘n bass martellante, pneumatica.
Continua nella prossima pagina…
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