Gli eroi degli action non mi rappresentano... e meno male! – L'Opinione

Facce da TGM – L’Opinione è lo spazio dedicato alle “columns” di The Games Machine: articoli e visioni su argomenti caldi o fortemente dibattuti che animano le discussioni, anche molto dure, all’interno della redazione di TGM, talvolta con posizioni – davvero o solo in apparenza – antitetiche. L’obiettivo è dar voce ai nostri redattori come specchio del quadro complesso e articolato, talvolta persino controverso, che circonda il mondo dei videogiochi, all’interno di confini dettati da etica e buon gusto ma senza depotenziare il messaggio e, così, la ricerca di confronto su temi sensibili e delicati. Buona lettura!

ATTENZIONE: Questo articolo nuoce gravemente all’autostima.

Devo ricordarmi di non mangiare mai più la pizza con prosciutto e funghi, o perlomeno di assicurarmi della provenienza di questi ultimi. Durante una delle mie ultime abbuffate devo aver esagerato un pochino, pagandone le conseguenze con una notte tormentata da incubi. Ero finito in un mondo in cui il protagonista di tutti i videogame ero io. Meraviglioso? No davvero, anzi, terribile. Avreste dovuto vedere in che modo mi stroncavano nelle recensioni, finanche sulle pagine di TGM, serpi in seno. Un quote di Feronato’s Creed recitava “Tra tutti i protagonisti della saga, Feronato è il peggiore. Sono balzato giù da un palazzo per effettuare una stealth kill, ma all’impatto col suolo si è rotto un femore, ha mancato il bersaglio ed è stato finito a calci da un semplice mercante”. Mentre Feronato Souls veniva fatto a pezzi con “Ho provato la nuova classe Feronato, ma non appena ho bevuto una pozione per ripristinare dei punti vita persi durante un combattimento contro un semplice ragnetto, il PG ha iniziato a vomitare, per poi avere crisi di dissenteria, lordare tutto il dungeon e morire disidratato”.

eroi action

Per forza mi sono rotto un femore, mi han fatto saltare da un edificio di due piani! È già tanto, alla mia età, che non mi sia rotto l’osso del collo. Riguardo l’episodio di diarrea dell’avventuriero, volete provare voi a bere un liquame rossastro abbandonato in un luogo umido da chissà quanti anni, oggetto di attenzioni urinarie da parte di ratti? Fortunatamente, mi sono svegliato proprio un momento prima di conoscere le reazioni al mio ancheggiare inguainato nella tutina di Bayonetta. Semmai mi fosse mai passata per la mente la malsana idea di pretendere che i protagonisti dei videogame mi rappresentino in qualche modo, ora so che va decisamente accantonata.

GLI EROI SONO GLI EROI, E NOI SIAMO NOI

Vi è però una corrente di pensiero che vorrebbe avvicinare gli eroi degli action game, ma anche di molti lavori cinematografici, a noi comuni mortali, per farci sentire in qualche modo rappresentati da loro e inclusi in quei mondi fantastici. Purtroppo non è così semplice. Puoi reimmaginare la Sirenetta come una ragazza afroamericana, ma l’etnia è un particolare ininfluente in una creatura mezzo uomo e mezzo pesce in grado di respirare sott’acqua. Nel mondo dei videogiochi c’è anche un termine per questa operazione ritenuta da taluni un mezzo di inclusione: reskin. E come critico, ma anche come semplice gamer, sono più che abituato a guardare con sufficienza quando non mi pare di scorgere altro che un paio di texture aggiunte qua e là. Dunque, come i boomer che non autorizzano Meta a utilizzare le proprie foto, anche io nego il consenso di inserire i Feronato tra i personaggi degli action game.

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A che serve donar loro il mio aspetto, quando è in deficit tutto il resto? O pensate che Sam Lake, che davvero donò il volto a Max Payne, sia in grado di attivare il bullet time? No, la tanto ambita rappresentazione si limita alla foto della sua patente appiccicata a un modello 3D. Sam Lake è Sam Lake, e Max Payne è Max Payne, e tra i due vi è un abisso, come è giusto che sia. Perché mai dovrei poter trovare qualcuno con le mie caratteristiche all’interno di un gioco? Non avrebbe senso. Sono già me stesso, tutto il giorno, tutti i giorni. Quando mi diverto, voglio provare altro. Come tutti. Da sempre. Anche prima dei videogame. Da piccolo sono stato alieno, astronauta, cowboy, indiano, cavaliere crociato con una scintillante spada di legno, sono stato Zoff e sono stato Zico. Senza essere realmente nessuno di loro. Se avessi detto “no, non possiamo giocare a guardie e ladri, non ci rappresenta. Siamo guardie? Siamo ladri? No, giochiamo piuttosto a bambini qualsiasi”, mi avrebbero picchiato. A ragione.

Se voglio vedere la normalità, la trovo da questa parte del monitor

A un certo punto della storia, i videogame hanno smesso di essere diavolerie pixellose partorite in garage da gente stramba, assurgendo allo status di opere d’arte in alta risoluzione. E a una parte rilevante dell’espressione artistica non importa rappresentare la realtà. È nata per mutarla, stravolgerla, e in alcuni casi avvicinarla alla perfezione. Lasciamo allora che gli one-man army possano pure essere alti, snelli, attraenti, atletici, indomiti, e dotati di tutte le virtù che in noi latitano. Anche se non ci rappresentano. Anzi, proprio perché non ci rappresentano. Se voglio vedere la normalità, almeno per quel che mi riguarda, la trovo da questa parte del monitor.

RAPPRESENTARE LA REALTÀ DEGLI EROI? QUANDO MAI?

La storia insegna: tutt’oggi molti atleti e modelli, nonostante i progressi di qualità di vita, scienza e alimentazione, sfigurano dinanzi al Discobolo di Mirone, realizzato anche grazie al Canone di Policleto, una specie di cheatsheet che spiega come dovrebbe essere l’uomo perfetto, sfociando poi nel celebre Doriforo. Tutto questo nel 450 a.C. Quanti abitanti della Terra di 2500 anni fa, con l’aspettativa di vita minata da tetano, morbillo, carestie e guerre, si sarebbero davvero potuti riconoscere nei modelli raffigurati dalla scultura greca? Due?

Esageriamo, cinque, di cui tre dotati di smisurata autostima? O davvero pensiamo che i 300 Spartani di Zack Snyder avessero tutti 300 il six pack? Ma l’elogio alla bellezza non è solo retaggio di un passato barbaro, posto che si possa definire “barbara” la cultura greca, dato che proprio oggi tocca livelli altissimi con i bishōnen, giovanissimi ragazzi dall’aspetto androgino, ed è uno spettacolo vedere Sephiroth e Cloud Strife in Final Fantasy finalmente in 4K, nonostante non rappresentino probabilmente alcun autoctono delle lande del Sol Levante, luogo in cui è nato questo canone estetico. E che dire della Barbie, icona di una bellezza femminile irraggiungibile? Da un punto di vista anatomico, le misure della gallina dalle uova d’oro di Mattel sono impossibili, ma lei non lo sa e vende a tonnellate, proprio come il calabrone che non è fatto per volare ma se ne infischia e si libra nel cielo ugualmente.

Da un punto di vista anatomico, le misure della gallina dalle uova d’oro di Mattel sono impossibili

È un problema per milioni di ragazzine giocare con una bambola che non le rappresenta? Anche rendendo la sua fisicità più realistica, parliamo sempre di una persona che vive in una casa di quattro o cinque piani, con camper, macchina, yacht, piscina, e tutto il tempo libero necessario a godersi il suo status. Direi che a questo punto le sue gambe chilometriche siano il problema minore. Lasciamogliele dunque, che male fanno? E se doveste rabbuiarvi pensando a un modello fisico a voi irraggiungibile, pensate che in fondo nessuno vi obbliga ad assomigliare a nessuno. Non come Schwarzenegger e Momoa che han dovuto sputar sangue per avvicinarsi a Conan il Barbaro. Fallendo, se li paragoniamo al fumetto. Che dovrebbero dire loro?

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No, senti, cambia i bicipiti di Conan perché così proprio non ci siamo, non è rappresentabile. Ma Conan è Conan, e noi, come direbbe il marchese del Grillo, siamo altro. Dunque, ben vengano i personaggi esageratamente belli, forti, invincibili. Alla peggio, vi concedo un disclaimer simile a quanto si vede sui pacchetti di sigarette: questo prodotto nuoce gravemente all’autostima. Ricordo le risate in sala quando è uscito Thor in sovrappeso in Avengers: Endgame. E non era né body shaming né grassofobia, ma solo ilare sorpresa, riassumibile con un “WTF Thor, tu dovresti essere strafigo”.

E SE VI DICESSI SEMPLICEMENTE “NICE TRY”?

Nonostante molte richieste di cambiare alcune caratteristiche degli eroi action paiano effettivamente partire da una parte del pubblico, nessuno riesce a togliermi dalla testa un pensiero un po’ più malizioso e machiavellico. Esiste veramente l’esigenza di un’inclusione a 360 gradi, o siamo di fronte a un calo di creatività che propone minimi aggiustamenti venduti come visionarie rivoluzioni? “Dovremmo inventare un nuovo personaggio, sentite che idea: un uomo venuto da un altro pianeta, invulnerabile, che può volare, fortissimo, con la vista a raggi X. Così però sarebbe troppo invincibile, allora facciamo che se viene in contatto con un frammento della sua terra natale, perde tutti i poteri. Ah, esiste già e si chiama Superman? Non è un problema, cambiamo il suo mestiere da giornalista a rider, modifichiamo qualche tratto somatico, e aggiungiamo un neo sulla spalla.

Sarà irriconoscibile, e il pubblico plaudirà il nostro coraggio di sfidare gli schemi. E daremo della vecchia cariatide a chiunque osi obiettare. Anche perché altrimenti qui ci tocca davvero inventare un supereroe nuovo e il concept più interessante che ci è pervenuto è quello dell’Uomo Preservativo”. No, cari miei, non funziona così. Non ve la caverete rifilandoci un Bruce Wayne col mutuo o un James Bond gay. Batman rimane ipermilionario, l’agente 007 continua la sua carriera di impunito donnaiolo e voi vi sparate un brainstorming di tre mesi a pane e acqua se necessario, ma uscite con qualcosa di nuovo e carismatico. E sapete cosa vi dico? Non ci credo che le cosiddette “minoranze” bramino di vedersi raffigurate in questo o quell’eroe, proprio come a me non importa nulla che Blade, uno dei miei Marvel preferiti, sia di un’etnia diversa dalla mia. Sinceramente, non ci avevo mai pensato prima che esplodesse questo ipotetico problema, e no, non mi interessa minimamente assistere a un reboot del Diurno in versione caucasica.

GUARDA, FINGO CHE SIA COME TE

Ci sono però dei giochi in cui gli eroi sono proprio persone comuni come noi, che si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato e già che erano in ballo, hanno ballato. Gordon Freeman, per esempio. Uno di noi. Perchè qui dentro tutti quanti abbiamo un dottorato di ricerca al MIT, io tra poco prendo il quinto, anche se poi fatico a seguire un tutorial su YouTube. Anche Ellie è una di noi. Una quattordicenne qualsiasi, che uccide infetti senza problemi quando mia figlia, sua coetanea, urla quando vede una cimice. La verità è che nulla ci rappresenta, nemmeno le foto che noi stessi postiamo sui social ci rappresentano, dato che sono frutto di infiniti scatti, decine di filtri e improbabili prompt ai software di intelligenza artificiale. Qualcuno ha mai uppato una foto profilo in cui è venuto male? La corsa verso la bellezza, o quella che viene ritenuta tale, conta un numero spropositato di persone, ne sono testimoni creme rassodanti, antiage, antiacne, anticellulite, antitutto. Lasciamo che lo facciano anche i creativi, quando lo ritengono necessario.

Non sarà la peluria sul viso di Aloy a renderla simile a noi, dato che non maneggiamo armi con quella destrezza. E nemmeno allontanare la protagonista di Fable dai comuni canoni di bellezza renderà il gioco più inclusivo. Servirà solo, come sta accadendo, ad accendere inutili polemiche, con persone che invece di contare i giorni che mancano al day one si stanno scervellando per capire se sia biologicamente uomo o donna. Avete mai letto polemiche di questo tenore su Lara Croft? No. Ma vedo che fingendo di voler rappresentare tutti, si riesce a creare un bel buzz, magari facendo arrivare il nome Fable anche all’orecchio di chi non ha mai sentito parlare della saga iniziata da Big Blue Box. Acclamare scelte stilistiche di questo tipo potrebbe trasformare gli appassionati in pedine, scopo non certo nobile da parte di una software house.

ACCETTARE E PRETENDERE

Ci troviamo così di fronte a una apparentemente dicotomia: accettare e pretendere. Accettare che il lato B di Lara Croft, spesso generosamente in favor di camera, sia nella maggior parte dei casi inarrivabile. Accettare i centimetri di meno di altezza, o i centimetri in più nella circonferenza di zone che si preferirebbero più snelle. Del resto, sentirsi insoddisfatti perché non assomigliamo abbastanza a un personaggio di fantasia, forse è sintomo di un disagio più profondo che non dovrebbe esistere in quest’epoca di body positivity, che dovrebbe promulgare l’accettazione di sé stessi piuttosto che la modifica degli altri. Che siano le gambe della Barbie, il sorriso di Brad Pitt, o la chioma di Pino Scotto, nessuno dovrebbe sentirsi sminuito di fronte a nessuno.

Allo stesso tempo, a mio modesto e personale parere, è lecito pretendere che l’industria abbandoni l’idea di vincere facile giocando su trucchetti inclusivi e ricominci a lavorare sugli eroi. Perché se nessuno di noi ha scelto il proprio aspetto, ciascuno dei designer ha scelto il proprio mestiere. Pretendo quindi che si sforzino come fece Policleto per partorire qualcosa che mi faccia dire “uao”, non per reskinnare personaggi.

Chiedendo una semplice rappresentazione dell’uomo comune, si finirà per condannare la creatività

Chiedendo una semplice rappresentazione dell’uomo comune, si finirà per condannare la creatività, e la capacità di giocare di ruolo, a morte. Morte che, non c’è bisogno di dirlo, può anche far battere qualche cuoricino, ma solo se si presenta come Joe Black. Gli eroi noi sono e non devono essere come noi. Mai. 

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