The Crew e diritti dei consumatori – L’Opinione

Ciò che sta accadendo in queste settimane potrebbe rappresentare una svolta – da verificare se in positivo o in negativo – sul versante dei diritti dei consumatori e della preservazione dei videogiochi.

31 dicembre 2024: Ubisoft spegne i server di The Crew. Pochi giorni più tardi, il publisher francese inizia a revocare le licenze digitali regolarmente acquistate dagli utenti. Il risultato? The Crew a oggi non solo non è più giocabile perché è sempre stato un titolo “always online”, sebbene perfettamente godibile in solitaria e con una componente multiplayer tutto sommato trascurabile, ma è anche diventato impossibile effettuare il download dei file di gioco da parte di chi – tra cui il sottoscritto – in passato ha deciso di pagare bei soldini per acquistarne una copia.

Potrebbe citofonare un energumeno armato di martello pronto a frantumare la mia schedina di Child of Light per PS Vita

Ammetto di essere stato ingenuo quando, qualche mese fa, provai a dare un’interpretazione diversa alle parole di Philippe Tremblay. L’esponente di Ubisoft dichiarò che i giocatori devono “sentirsi a proprio agio nel non possedere il proprio gioco”. Non pensavo che Tremblay e colleghi intendessero applicare tale concetto in maniera testuale, addirittura arrivando a strappare The Crew dalle mani dei giocatori. Scherzando con alcuni amici ho ipotizzato che rappresentanti di Ubisoft potessero addirittura piombare a casa per sequestrare le copie fisiche dei videogiochi in mio possesso. D’altronde oggi è toccato alle copie digitali, ma domani potrebbe citofonare un energumeno armato di martello pronto a frantumare la mia schedina di Child of Light per PS Vita o il DVD di Dark Messiah of Might & Magic.

Verrà il giorno in cui ci toglieranno anche Assassin’s Creed?

Arrivati a questo punto, però, la battaglia non si combatte più sul campo della preservazione dei videogiochi, ma si è estesa fino a diventare una vera e propria guerra con al centro i diritti dei consumatori. È per questo motivo che è nata l’iniziativa Stop Killing Games da parte di Ross Scott.

Sempre più prodotti videoludici sono ascrivibili alla categoria gioco-servizio

L’obiettivo di Scott è quello di spingere i legislatori a osservare attentamente quello che sta accadendo in questi anni. Sempre più prodotti videoludici sono ascrivibili alla categoria gioco-servizio, ossia venduti sulla carta come beni ma progettati sin dalla nascita come servizi che diventano del tutto ingiocabili nel momento in cui le varie aziende decidono di staccare la spina ai server. Secondo Ross, non è abbastanza chiaro se questo modello di business sia legale o meno, tant’è che spesso le aziende si muoverebbero in una zona grigia proprio perché mancano dei paletti legislativi. È dunque necessario che le istituzioni competenti agiscano per fare chiarezza una volta per tutte, sperando che tali azioni siano a favore dei consumatori.

Ricordate Babylon’s Fall? Nessuno ci informò che sarebbe stato giocabile per meno di un anno.

Tra i tanti punti a favore di questa teoria vi è il fatto che il consumatore non è a conoscenza della durata del servizio nel momento in cui acquista un determinato videogioco. I cosiddetti game-as-a-service sono per definizione dei prodotti con una scadenza, ma al momento dell’acquisto nessuno può sapere se i server di un videogioco chiuderanno dopo dieci anni o dopo dieci giorni. In qualsiasi momento le aziende possono così riservarsi il diritto di limitare o addirittura revocare l’accesso a un prodotto regolarmente acquistato senza che il consumatore possa fare nulla.

Secondo Ross, il caso di The Crew potrebbe diventare un precedente importante e rappresentare uno spartiacque per i diritti dei consumatori: “Il videogioco ‘The Crew’, pubblicato da Ubisoft, è stato recentemente distrutto per tutti i giocatori e contava una base di almeno 12 milioni di utenti. A causa delle dimensioni del gioco e delle forti leggi francesi sulla tutela dei consumatori, questa rappresenta una delle migliori opportunità per ritenere un publisher responsabile delle sue azioni. Se riusciremo a portare avanti le accuse contro Ubisoft, ciò potrebbe avere un effetto a cascata sul settore dei videogiochi così da impedire agli editori di distruggere altri giochi.

Dopo la fine del servizio ufficiale, Knockout City è stato reso giocabile su server privati hostati dagli utenti.

Naturalmente l’iniziativa Stop Killing Games non pretende che tutti i videogiochi vengano supportati in eterno, anche perché sarebbe materialmente impossibile, tuttavia viene richiesto che i publisher e gli sviluppatori implementino dei piani per far sì che i giochi-servizio possano essere accessibili anche dopo la fine del supporto ufficiale. Nel caso di The Crew, per esempio, sarebbe bastato pubblicare una patch per rimuovere il requisito della connessione perenne ai server, così da permettere a chiunque possegga il gioco di continuare a giocare offline in modalità single player. Invece è stata scelta la strada di rimuovere il prodotto dalle librerie degli utenti, revocandone la licenza affinché nessuno possa più avere accesso ai file del gioco.

I contratti di licenza non possono contravvenire alle leggi dei singoli paesi

A questo punto qualcuno potrebbe ribattere che i videogiochi sono venduti su licenza, dunque il consumatore non ha mai la proprietà del software, tuttavia secondo Ross questa è una di quelle aree grigie che avrebbero bisogno di un approfondimento legislativo. In linea di massima, i contratti di licenza non possono contravvenire alle leggi dei singoli paesi, e in alcuni casi le leggi a protezione dei consumatori potrebbero impedire determinati comportamenti da parte di sviluppatori e publisher, tra cui la revoca della licenza.

Al di là di tutto, però, mentre attendiamo eventuali interventi giudiziari e/o legislativi, una decisione l’ho già presa: non acquisterò più videogiochi di Ubisoft. Devo abituarmi a non possedere più i videogiochi prodotti dalla società francese? Benissimo, di contro la società francese deve abituarsi a non possedere più i miei soldi. Mi sembra uno scambio equo, anche perché voglio poter giocare ai miei videogiochi quando e come voglio. Finché ciò non sarà possibile, mi dispiace, ma eviterò di comprare determinati prodotti e rischiare di rimanere con un pugno di mosche.

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