Allora, metto subito in chiaro una cosa di questo mio feticismo: non vi sto per raccontare di una mia strana devianza sociale o nella sfera sessuale. È solo che, anche se qui a Milano e dintorni non sembra, sta arrivando la bella stagione e, con la bella stagione, risboccia ogni anno il mio amore per le console portatili. Forte, mai sopito, direi quasi atavico, parte del mio DNA. Nello specifico sto riscoprendo 3DS, probabilmente la mia console preferita di sempre e, secondo me, tolta Switch, la più riuscita e completa made in Nintendo (affermazione controversa, me ne rendo conto, ma con delle solide basi).
Sarà il design a conchiglia che fa sempre chic (un po’ l’equivalente dei fari pop-up di certe auto sportive), sarà una ludoteca assolutamente identitaria, dove varie serie storiche sono rinate (Fire Emblem su tutte ma pure Metroid con Samus Returns, Kirby, le versioni migliori di due classici come Ocarina of Time e Majora’s Mask) affianco ad opere uniche di altissimo livello; sarà quell’effetto 3D stereoscopico che, pur basilare e quasi sempre estetico, a me pare ancora stregoneria, capace di dare una metrica al gioco, una dimensione fisica, come se a console racchiudesse veramente una varietà di mondi, che è più una questione psicologica che pratica ma forse, proprio per questo, risulta così determinante. Avete mai provato a giocare Star Fox 64 3D? È pazzesco!
ISOLE DI GAMEPLAY
Ma, più in generale, c’è una soddisfazione, una rilassatezza e un comfort unico nel giocare su una console portatile. La libertà totale di utilizzo e conseguente, terapeutico, “svacco”, laddove “portabilità” non significa per forza “giocare in giro”, ma più che altro “giocare in giro per casa”, dando un senso ludico ad ogni stanza. Ed evidentemente questo è un bisogno che non ha mai abbandonato i giocatori. Proprio durante la generazione del 3DS, col fallimento prematuro (in termini commerciali più che ludici) della rivale PS Vita e l’esplosione del gaming mobile, si era data l’estrema unzione alle console portatili “classiche”, le discendenti dirette di Game Boy, eppure ci si stava preparando semplicemente ad un’evoluzione.Vuoi perché il modello free-to-play va bene solo per un certo (e numerosissimo) pubblico, o perché la mancanza di certi titoli, di certi sviluppatori, di controlli spesso limitanti ha sempre lasciato spazio di manovra alle portatili; ma anche la sensazione di non uscire mai dalla simbiosi con lo smartphone ha avuto il suo effetto sui giocatori, un fattore psicologicamente importante per godersi il gioco, staccare, evadere dal quotidiano. E infatti Switch ha poi fatto il botto, proponendo un modello ibrido con le radici ben piantate nel terreno della sua tradizione portatile, un successo talmente enorme da spingere la stessa Valve a percorrere quella strada, ibridandola al gaming PC, così come hanno fatto poi Lenovo e ASUS, con Legion GO e Rog Ally, fino alla più limitata Portal di PlayStation.
OLTRE IL MIO FETICISMO
Chiaro, da una parte a me dispiace che, esperimenti bizzarri e simpaticissimi come Playdate a parte, si sia ormai abbandonata (credo definitivamente) l’idea di avere una console portatile pensata per essere solo quello, con titoli esclusivi pensati attorno ad un hardware unico. Ricordo ancora la meraviglia di Nintendo DS o di PSP, la loro unicità, i titoli totalmente fuori dagli schemi e il bisogno, ciclico, di tornare a giocare certe perle, perché non esistono alternative a titoli come Electroplankton o Patapon. La console portatile in questi casi diventa un mondo a sé stante, con una personalità ben più definita della maggior parte delle macchine casalinghe e, per questo, refrattaria all’invecchiamento, perché già costruite attorno a limiti tecnologici ben precisi e, per questo, aggirati con una creatività necessaria, vitale.
Isole felici, arcipelaghi di idee e buon umore, ecosistemi ludici incontaminati che racchiudono tutta l’essenza del videogioco, ritornando all’immediatezza, al gameplay-centrismo, al genio della gimmick hardware sfruttata a dovere che fa esplodere il cervello; tipo soffiare nel microfono per spegnere le candele fuori dal tempio del fuoco in Zelda: Phantom Hourglass. Una roba così semplice; eppure, così croccante e indimenticabile. Giocare con una di queste console è uno state of mind, un capriccio vintage come ascoltare un vinile, nostalgia hipster che nutre l’anima ed esalta l’ego, costruendo un contesto che esalta il puro e fondamentale piacere/bisogno del gioco. Tipo chi va ancora in giro con 3DS per scattare foto stereoscopiche: sappiate una cosa, vi amo.