Città finte, città virtuali, città vere – L'Opinione

La rappresentazione delle città nei videogiochi è complessa praticamente da sempre. Cosa funziona e cosa meno? Quali sembrano vere, quali sembrano villaggi e quali sembrano dei parchi giochi?

Cover Videogames Cities

Lo scorso dicembre sono stato all’inaugurazione di alcuni padiglioni realizzati da Farm Cultural Park in occasione di Agrigento Capitale della cultura 2025. Si tratta di una realtà che si occupa di riqualificazione urbana e riflessioni sul vivere gli spazi pubblici, cose sempre un po’ al limite tra l’esempio da seguire e il radical chic borghese lontano dalla realtà. In particolare uno di questi padiglioni, New Cities, built from scratch, nella ridente (si fa per dire) cittadina di Aragona, sfrutta un Auditorium incompiuto da trent’anni – di fatto un ecomostro – per parlare di città del futuro nate per essere (eco)sostenibili e diventate (o sulla via per diventare) anch’esse degli ecomostri. Quasi tutte facilmente etichettabili come realtà distopiche frutto di quest’epoca tardo capitalista.

Città del futuro nate per essere (eco)sostenibili e diventate (o sulla via per diventare) anch’esse degli ecomostri

Le città di cui si parlava erano Astana, Forest City, Nusantara, Songdo, e The Line (ancora solo immaginata). Astana a parte, si tratta di fatto di progetti urbani ancora in corso tutti nati con l’intento di costruire città del futuro ecologiche e pensate per soddisfare ogni bisogno di vita degli abitanti. Esemplare (in negativo) è il caso di Forest City, in Malesia, iniziata nel 2006, oggi pronta ad ospitare 700.000 abitanti ed effettivamente abitata da circa 500 persone. Prezzi delle case altissimi, manco a dirvelo. Ricordano un po’ quei quartieri satellite che nascono attorno a Milano in cui paghi mezzo milione di euro un trilocale e hai tutto quello che un essere umano può volere: il parco, il cinema, il centro commerciale, la palestra. Non ti servirà nemmeno entrare nel caos della grande città per cui stai pagando 10k al metro quadro.

Luoghi artificiali o artificiosi?

Questi luoghi in cui l’uomo s’impegna ad architettare contesti di vita finti mi fanno riflettere sul (poco) senso di plasmare la realtà artificialmente, piuttosto che adeguare le realtà già abitate alle necessità di chi le abita. Ho pensato a quanto le città nei videogiochi siano altrettanto costruite attorno alle necessità del giocatore, quanto vivano in funzione di esso, si accendano quando lui sta passando e si spengono subito dopo. Un po’ come se fossimo Truman Burbank.

È difficile realizzare la scala di una città e contemporaneamente riempirla di NPC ed edifici realmente interagibili, che appaiano vivi e vissuti

Un paio di settimane fa su queste pagine Stefano scriveva di mondi virtuali che percepiamo come vivi. Tutto giusto e tutto molto interessante, fa diversi esempi che rendono perfettamente l’idea di come possa una simulazione illuderci di vivere una quotidianità fittizia, di fatto costruita attorno ai bisogni del giocatore. Tuttavia sul costruire le città i videogiochi hanno quasi sempre fatto fatica, anche molti di quelli che cita. Del resto è difficile realizzare la scala di una città e contemporaneamente riempirla di NPC ed edifici realmente interagibili, che appaiano vivi e vissuti. Il rischio è sempre quello di mettere in piedi città molto piccole che sembrano più dei villaggi, o di realizzarne di estremamente vuote, o ancora di far crollare immediatamente la sospensione dell’incredulità a causa di script e asset troppo reiterati ed evidenti.

Esempi virtuosi e altri un po’ meno

Tra i videogiochi che hanno ottenuto discreti risultati su questo fronte vanno sicuramente citati quelli Rockstar. Bisogna anche dire però che tra questi solo la Saint Denis di Red Dead Redemption 2 riesce davvero a mascherare la sua natura di sandbox asservito al divertimento del giocatore. Sarà per via degli infiniti sistemi all’opera dietro le quinte dell’epopea di Arthur Morgan, che muovono in modi incredibilmente verosimili tutti i personaggi non giocanti a schermo, sarà per l’estrema importanza narrativa che ricopre questa cittadina, di fatto la rappresentazione del progresso che avanza e si appresta a spazzare via il far west, ma Saint Denis funziona. Non si può dire lo stesso della Los Santos di GTA V, ad esempio, che spessissimo mette da parte qualunque intento di sembrare reale pur di concedere al giocatore la totale libertà di infrangere qualunque regola e devastare qualunque essere animato o meno sulla propria strada.

Aggiornamento per la community di Grand Theft Auto - Rockstar Games

Un altro esempio di città videoludica che funziona è Novigrad in The Witcher 3. La sua realizzazione minuziosa, l’architettura cittadina che crea una netta distinzione tra i quartieri e le varie classi sociali che li abitano, le routine ben mascherate dei suoi variegati e numerosi NPC, rendono la capitale il cuore pulsante di tutto l’open world di CD Projekt.

In fondo vogliamo solo essere illusi che le cose siano verosimili, non serve davvero che si comportino come nella realtà, che forse le renderebbe noiose

E se una cura anche maggiore si può riscontrare nell’architettura della Night City di Cyberpunk 2077, non si può dire lo stesso dei sistemi che ne muovono le fila e tradiscono continuamente la natura fittizia che circonda il giocatore. Bisogna anche sottolineare che il realismo non è il fine ultimo dei videogiochi. E probabilmente non deve esserlo, che sarebbe un grosso limite. Certo è che per un gioco che si propone come realistico (o quantomeno verosimile, quando si parla di fantasy/sci-fi) la credibilità del mondo assume una discreta importanza. Detto anche che in fondo vogliamo solo essere illusi che le cose siano verosimili, non serve davvero che si comportino come nella realtà, che forse le renderebbe noiose.

Urbanistica virtuale

Un ultimo caso di città videoludiche che voglio citare sono quelle di Mini Motorways, piccola chicca indie a cui ho giocato recentemente, che trovate anche su Apple Arcade. Si tratta di una serie di livelli che ricreano città del mondo reale che man mano vanno crescendo, aggiungendo case e luoghi di lavoro. Il compito del giocatore è costruire strade che collegano i vari punti della città cercando di evitare gli ingorghi, facendo in modo che ogni posto di lavoro venga raggiunto da un sufficiente numero di dipendenti in ogni momento.

new york challenge : r/MiniMotorways

Si tratta chiaramente di una ipersemplificazione di quella che di fatto è pianificazione urbanistica, ma sovverte tutti i discorsi fatti finora. Laddove le città videoludiche sono costruite interamente a servizio del giocatore, perfino nelle fondamenta geografiche (fiumi, colline, montagne), qui deve essere il giocatore a costruire collegamenti per assecondare una natura prestabilita e una crescita randomica ma verosimile della popolazione e di conseguenza del traffico.

Ci si accorge di quanto le città stesse, quelle vere riportate in Mini Motorways, vivano in funzione della vita (virtuale) che ci scorre dentro, si evolvono, si adattano

Quello che appare inizialmente come un giochino finisce per essere una grossa riflessione tanto sulla vivibilità delle grandi città di oggi quanto sulla difficoltà di sostenere l’urbanistica di queste stesse città e le vite dei milioni di persone che le abitano.

In effetti giocando a Mini Motorways si rischia facilmente di cedere al pensiero che costruire da zero città preimpostate per accogliere centinaia di migliaia di persone sia una soluzione. Città automatizzate, mosse da sistemi che rispondono automaticamente alle esigenze degli abitanti e ne facilitano la vita quotidiana. Al tempo stesso ci si accorge di quanto le città stesse, quelle vere riportate in Mini Motorways, vivano in funzione della vita (virtuale) che ci scorre dentro, si evolvono, si adattano. In fondo forse una città del futuro architettata a tavolino rischia di essere esattamente come quelle dei videogiochi: un’illusione facile da smascherare.

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