È ok non vivere al day one – L'Opinione

“Oh no, sta per uscire un nuovo gioco…”

È abbastanza inevitabile: ad ogni nuovo annuncio o evento che parte con un countdown, esplode nella propria bolla social e sui portali, per poi generare spasmodica attesa, c’è sempre il rischio di sentirsi soverchiati, trascinati, magari pure controvoglia, oppure sentirsi in difetto perché un determinato prodotto non ci interessa o una console costa troppo per il periodo che stiamo vivendo. Può essere inconscia o più tangibile, ma il timore di “non starci dietro” è comune, soprattutto quando si è appassionati di un mondo che va a 1000km/h. Il tempo è poco, la voglia di fare è tanta, sentirsi “esclusi” è un sentimento comprensibilissimo. A volte viene proprio da dire “oh Madonna è vero che sto mese esce sto gioco, e adesso? Ne ho già una cifra nel backlog!”, quasi fosse un peso, un modo per chiedere a noi stessi e all’industria di rallentare. Eppure, non solo è naturale, non riuscire a giocare/avere/seguire tutto senza doversi fare problemi o sentirsi giudicati (anche da sé stessi), fuori dai discorsi, senza niente da dire su un certo argomento – “ma che seriamente non ci hai ancora giocato?!” – ma sarebbe cosa buona e giusta concedersi il tempo di approfondire, recuperare, perché no, rigiocare per ricordarsi una particolare sensazione.

Prendersi il proprio tempo

il videogioco è un tipo di artigianato molto complesso per essere semplicemente cotto e mangiato

Porto il mio esempio perché è abbastanza esemplificativo di quello che intendo; per anni ho letteralmente accumulato materiale, giocando se andava bene 1/10 di quello che acquistavo, mentre negli ultimi tempi ho drasticamente abbassato la quota di software acquistati, comprando solo quello che volevo davvero giocare e recuperando quello che mi ero procurato, un po’ compulsivamente, negli anni precedenti. Ora sto vivendo una sorta di periodo slow gaming estremamente piacevole, che mi ha portato anche a scrivere molto meno sui social, se non quando sento davvero il bisogno di condividere un’esperienza videoludica particolare. A volte è semplicemente tutto troppo e il videogioco è un tipo di artigianato molto complesso per essere semplicemente cotto e mangiato come un veloce pasto da pausa pranzo, almeno per come lo vivo io. Ci sono troppi dettagli da cogliere, dettagli che pure gli stessi sviluppatori sanno che saranno visti da una ristrettissima cerchia di giocatori. Ma soprattutto, ci sono tanti videogiochi, spesso molto belli, che vivono fuori dall’hype, in quella terra di nessuno all’ombra delle next big thing, da scoprire smettendo, anche solo per un periodo, di seguire il flusso del mercato.

day one

Poi ci sono cose che fanno vacillare pure me, ci mancherebbe!

E se acquistare a scatola chiusa, lasciandosi magari ispirare da qualche screenshot o trailer, spulciando i negozi online, è più un’idea romantica che pratica (una breve ricerca per la paura che sia una porcheria si è sempre portati a farla), gli abbonamenti e gli sconti sono sempre un ottimo modo per ricordarsi dell’esistenza di un titolo di cui magari abbiamo sentito belle cose ma che, tra una roba e l’altra, ci siamo persi, o addirittura che abbiamo sullo scaffale (virtuale o meno) da anni. Io l’anno scorso ho giocato e recensito (e amato alla follia) Lorelei and the Laser Eyes di Simogo, un’opera stupenda, di quelle che mi sono rimaste più impresse negli ultimi anni, eppure totalmente ignorata, ma proprio in un modo che trovo inspiegabile, ed è quel tipo di gioco che mi avrebbe fatto esplodere la testa se recuperato tra qualche anno.Lorelei and the Laser Eyes ps5 Penso, per esempio, di aver giocato Hyper Light Drifters a distanza di 5-6 anni dall’uscita, adorandolo. Questo per dire che ognuno ha i suoi tempi ma anche che la sorpresa, la bellezza, la gioia, non sono solo appannaggio dei giochi in uscita, anzi, non c’è nessuna data di scadenza oltre la quale un videogioco non è più consumabile; possono esserne usciti di migliori, nel frattempo, certo, ma quello specifico piccolo mondo, con la sua storia, la sua estetica e il suo gameplay, resterà sempre in attesa di accogliere un nuovo giocatore.

Non c’è nessuna data di scadenza oltre la quale un videogioco non è più consumabile

A volte sembra abbia questa caratteristica un po’ mistica, ma il nuovo non sovrascrive (quasi mai) quello che c’è già, e non approfittare di “quella” finestra d’uscita non svaluta in nessun modo il prodotto. Fare quello che ci si sente di fare, quando lo si vuole fare, per lo meno nel nostro tempo libero, è il miglior modo per rispettare noi stessi e i giochi con cui vogliamo arricchire quel tempo, con buona pace del buzz, dell’hype, delle attese premiate o deluse. E sia chiaro, pure il day one è un modo di nutrire la propria passione, se non lo si fa per “dovere” ma per puro piacere. Mi sono sentito di scrivere questo editoriale perché a volte noto che è molto facile dimenticarsi dei videogiochi, quasi fossero una roba poco importante, di semplice contorno, quando invece basterebbe un po’ più di consapevolezza (che pure io ho cominciato ad acquisire dopo anni e anni) per godere pienamente di un’esperienza che, altrimenti, sarebbe un vero peccato rimanesse superficiale.

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