Flint: Treasure of Oblivion – Recensione

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Oggi vi parlerò di un gruppo metal scozzese che risponde al nome di Alestorm. È una compagine di quattro eroi che, tra una schitarrata e l’altra, hanno infiammato i palcoscenici di mezza Europa con capolavori come “Drink”. No, non è vero: oggi è il turno di capitan James Flint, personaggio di quel gran capolavoro letterario de L’Isola del Tesoro.

Sviluppatore / Publisher: Microids / Savage Level Prezzo: N.D. Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 16+ Disponibile Su: PC (Steam, Epic Games Store, GOG), PS5, Xbox Series X|S Data di lancio: 18 dicembre 2025

Ohhhhhh, colpo di mille balene. È una citazione. È uno stile di vita. È un po’ come quel classico, ma mai stucchevole, “Ricordete questo giorno come il giorno in cui avete quasi catturato capitan Jack Sparrow”. Bene, d’accordo, è un parallelismo un po’ coraggioso quello che unisce il personaggio inventato da Jerry Bruckhaimer a uno dei più spietati marrani dei Sette Mari. Anche se, e qua è bene sottolinearlo, Stevenson non descrisse mai Flint come un personaggio abietto. Anzi, parlò di lui come un uomo di grande intelletto che, grazie al suo acume e a una sicura dose di fascino, arrivò a sgraffignare il più gran tesoro al mondo, giungendo là dove nessuno si era mai spinto.

Non è mai semplice riuscire a essere fedeli ai romanzi. Non è stato semplice quando Poirot si è trovato a diventare un personaggio fondamentale nelle produzioni di Microids, e non lo è neppure oggi, quando a dover rispondere agli interrogativi è proprio James “Pazzoinculo” Flint. Sottolineo che l’epiteto è un modo come un altro per garantirmi like a profusione ed essere artificioso. Tralasciando i deliri che è bene lasciare in disparte, Flint: Treasure of Oblivion non è solamente un tattico a turni, ma è soprattutto un RPG. Non c’è un personaggio da creare dal nulla, se qualcuno se lo sta chiedendo, e per l’appunto il buon James Flint è il protagonista delle vicende che mi trovo qui a narrare per voi con una certa enfasi.

Non è mai semplice riuscire a essere fedeli ai romanzi. Non è stato semplice quando Poirot si è trovato a diventare un personaggio fondamentale nelle produzioni di Microids, e non lo è neppure oggi, quando a dover rispondere agli interrogativi è proprio James “Pazzoinculo” Flint

Vi parlo da grande appassionato dello scrittore scozzese, una delle più grandi penne al mondo, nonché colui che diede una solida base ai romanzi d’avventura per come li conosciamo oggi. Savage Level, incaricato da Microids di trascendere il bello del mare in tutte le sue sfumature, ha raggiunto il nirvana riuscendo nel complesso compito di essere fedele totalmente al romanzo dello scrittore, riuscendo a enfatizzare il carattere un po’ burbero, ma soprattutto leale, del buon capitan Flint, che ricordo essere comparso qualche anno fa in una serie televisiva angloamericana, Black Sails, attualmente disponibile su Prime Video.

CIURMAAAAA ANDIAMO TUTTI ALL’ARREMBAG… NO, FERMO: HO SBAGLIATO FRANCHISE

Cavolo, non ci voleva questo parallelismo. Flint: Treasure of Oblivion segue le vicende del nostro in un mare di tante avventure, in cui, un po’ per sbaglio, si ritrova in gatta buia. Scoperto a doversi barcamenare tra l’oblio e i consigli vivaci dell’amico Billy Jones, il nostro trova una misteriosa mappa in un cimitero da una tomba di un vecchio pirata morto in chissà che modo. Non facendo esagerati spoiler sul videogioco di Savage Level, e neppure sul libro di Stevenson, la produzione, in sintesi, parla del grande viaggio del più affascinante pirata della letteratura internazionale alla ricerca dell’Isola del Tesoro, un luogo che, davvero, non è presente su alcuna mappa.

Come nei fumetti. Stile fighissimo, a mio modo di vedere.

O meglio, non su quelle conosciute. Intravedere le sagome che riprendono in modo fedele le parole dello scrittore scozzese, è un po’ come restare ammaliati dallo stile graphic novel che lo coinvolge. Già, il videogioco di Savage Level incastra un aspetto fumettistico che riesce a rendere la narrazione pregevolissima. Mette al centro i dialoghi e i personaggi, che riescono a confermarsi davvero ben scritti e proposti in modo oculato, non appesantendo mai la narrazione, riuscendo a essere centrali, totali, davvero avvolgenti da scoprire. Si capisce proprio, in tal senso, quanto è stato preso di buono dal romanzo di Stevenson, che è il reale protagonista delle vicende descritte nel titolo.

Molta fedeltà e tanta passione per il materiale originale

Quando fu scritto, L’Isola del Tesoro doveva portare la consapevolezza dell’ignoto e dell’oblio, di quanto sia bene guadagnare tutto semplicemente cercando sé stessi attraverso un viaggio. Nel caso di Flint: Treasure of Oblivion, l’intenzione è quella di scolpire nel cuore un personaggio iconico che l’avventura è là dove nessuno immaginerebbe. La produzione, dunque, riscopre questo valore, ed elargisce al giocatore la scoperta attraverso la crescita di un personaggio che impara, parafrasando un altro grande pirata vissuto nell’Età d’oro della pirateria in un altro videogioco “In una vita senza oro, saremmo stati eroi”. Ebbene, pure Flint impara questa cosa, restando a serio contatto con ogni membro della ciurma e imparando, quindi, la condivisione, che si esprime nel game design. Qua uno mica si arricchisce per sé stesso. È una ciurma che ha letto Marx, questa.

FLINT: TREASURE OF OBLIVION, ALEA IACTA EST

Il dado è tratto. E quel dannato dado, proprio come in Baldur’s Gate e in New Arc Line, torna a tormentarmi. L’altro pirata Alteridan, quel vile marrano, ha parlato molto di questo oggettino che ormai è propagato ovunque. Torna in questa occasione in una veste un tantino diversa. In primo luogo, Flint: Treasure of Oblivion è un tattico a turni con elementi RPG. La personalizzazione del personaggio è tuttavia limitata così come quella dei companion che si uniscono alla lotta nel corso dell’avventura. La visuale isometrica, ben implementata e comoda sia su pad che su mouse e tastiera, permette di avere sempre una bella visuale dell’insieme, specie quando Flint, l’unico personaggio che si può muovere nel corso dell’esperienza, è alle prese con gli altri filibustieri.

Attaccare simultaneamente è sempre la parte più complessa. Meglio cercare strategie diverse.

Ben integrato e coinvolgente, il sistema di combattimento a turni, per quanto semplificato se paragonato ad altri esponenti del genere, riesce a coinvolgere a tessere adeguatamente un bel modo di arrivare alla vittoria. Intanto, la cosa molto divertente è che non esiste un livello di difficoltà: al videogioco è bene imparare a giocare e capire come andare avanti, se non si vuole schioppare facilmente senza neppure passare dal via. Il gameplay, dunque, spazia in due elementi cardine: quello esplorativo e il battagliero

.Ben integrato e coinvolgente, il sistema di combattimento a turni, per quanto semplificato se paragonato ad altri esponenti del genere, riesce a coinvolgere a tessere adeguatamente un bel modo di arrivare alla vittoria

Il primo consente di acquisire oggetti utili per le fasi di combattimento. In tal senso, esplorare diventa fondamentale anche per apprendere nuove soluzioni e reclutare dunque nuovi membri dell’equipaggio. Gli stessi si possono trovare ovunque si decida di approdare, e molti di essi cambiano l’assetto tattico delle fasi di combattimento, integrate ottimamente al suo interno. Flint è un personaggio che, qualsiasi cosa accade, deve sopravvivere. È una regola scritta a chiare lettere quando inizia un qualunque combattimento, che si svolge in un’arena con esagoni – ah, come in tante altre pubblicazioni del genere – in cui è necessario avere la meglio. Oltre alle già citate e approfondite armi da fuoco, che vanno ricaricate, si può fare del male a un nemico in qualunque modo. Avanzando nell’avventura, Flint e compagni possono equipaggiare armi in qualunque momento prima di attaccare. Intanto, specifico che ciascun personaggio dispone di due punti azioni a turni. Essi possono essere usati per muoversi o, che so, per attaccare un nemico. È bene riuscire ad alternare i momenti e a cogliere la palla al balzo per arrivare alla vittoria, seppure non sia sempre facile e ciò richieda un bel po’ d’impegno. Gli scontri sono complessi, soprattutto quando si arriva a un punto focale del viaggio e serve dover optare per diverse strategie.

Ambientazioni davvero molto belle da vedere e curate.

Come accennavo prima, l’importanza dei dadi è fondamentale. Oltre a decidere l’ammontare dei danni da arrecare al prossimo, possono anche provocare dei malus agli avversari, come il sanguinamento, causato da una lacerazione. Tutto si basa, in realtà, sull’arma equipaggiata in quel determinato momento. Flint: Treasure of Oblivion riesce a convogliare due anime in una e convince perché, tra una rissa e l’altra, mantiene alto il livello qualitativo. A non luccicare molto, purtroppo, è la visuale e i comandi, a volte davvero complessi da capire per bene. E ciò che non convince molto, tanto da essere un pochino deboluccio, è il tutorial. Tutto si apprende nel lungo viaggio messo in campo del team francese, che a me non ha appesantito ma che, in realtà, potrebbe scontentare coloro che vogliono solo un pochino più di immediatezza.

BEN OLTRE UNA SOLIDA AVVENTURA

Giocare Flint: Treasure of Oblivion è un po’ come tornare indietro nel tempo e perdersi in stilemi ludici che hanno fatto la storia del medium. Eppure, è bene sottolinearlo: di videogiochi che hanno davvero alimentato le storie di pirati ce ne sono a bizzeffe, come il recentissimo Rogue Waters e l’apprezzabile e ben coinvolgente Shadow Gambit: The Cursed Crew.

Una grande avventura disponibile anche su console

Il titolo di Savage Level, abbracciando un paradigma già chiaro e portato in auge con altre pubblicazioni, arriva all’obiettivo in modo inaspettato. Complice un bel sonoro, delle buonissime musiche e un pregevole impatto visivo, il titolo risulta davvero freschissimo e un buon modo per riesplorare L’Isola del Tesoro.

In Breve: Avventura piacevolissima e coinvolgente, Flint: Treasure of Oblivion arriva all’obiettivo senza stravolgere tuttavia il genere e non inventandosi nulla di particolarmente nuovo nello scenario dei tattici con elementi RPG. Rimescola le carte in tavola prendendo ispirazione da Baldur’s Gate 3, inserendo la meccanica dei dadi e, nel frattempo, dettaglia una storia intensa tirata a lucido per arrivare a più giocatori possibili. Se non avete letto L’Isola del Tesoro, volete avvicinarvi a Stevenson e poi acquistare questo giochillo qua, allora questa avventura potrebbe regalarvi delle emozioni inaspettate.

Piattaforma di Gioco: PC
Configurazione di Prova: i5-12400F, 16 GB RAM, GeForce RTX 3080, SSD
Com’è, come gira: Sulla mia configurazione non ci sono stati problemi di alcun genere. Tutto è filato liscio.

 

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Pro

  • Avventuroso e piacevole / Un'ottima longevità / Il sistema di combattimento a turni, inserendo la dinamica dei dadi in salsa D&D, è un'ottima trovata

Contro

  • I combattimenti, in certe occasioni, sono alquanto caotici / Interfaccia non ottimale e, a volte, confusionaria / Sembra sciocco ripeterlo, ma i comandi su pad non sono precisissimi (meglio con mouse e tastiera)
8

Più che buono

Cosa succede se unite letteratura, tanta curiosità e un mix letale di videogiochi indipendenti e di produzioni complesse? Otterrete Nicholas, un giovane virgulto che scrive tanto e vuole scrivere di più. Chiamato "Puji" ben prima di nascere, dovete dargli una penna per tenerlo calmo. O al massimo un pad.

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