Cesarino
13-10-17, 20:34
Non solo Rosatellum, Matteo Salvini vi ha già fregati tutti
In quattro anni la Lega è arrivata ai suoi massimi storici nei sondaggi, e raccoglie consensi anche a Sud. Salvini, sottovalutato da tutti, rischia seriamente di mettere tutti gli altri (i geni della politica) nel sacco
Alzi la mano chi pensava che Matteo Salvini avrebbe salvato la Lega Nord, nel dicembre 2013, quando il giovane europarlamentare, allora segretario della Lega Lombarda, aveva vinto le primarie del partito, raccogliendo il testimone di partito moribondo, schiantato dalle inchieste su Umberto Bossi e il tesoriere Belsito, i diamanti in Tanzania e la laurea albanese di Renzo “Il Trota”. Un partito che dieci mesi prima, alle elezioni politiche, aveva raccolto il 4% e portato a casa la miseria di 19 deputati e 12 senatori.
Tempo quattro anni scarsi e stiamo parlando di una Lega Nord ai suoi massimi storici, stabilmente attorno al 14-15% dei consensi. Un consenso figlio di una tranquilla tenuta al Nord, dove la sinistra-moderna-che-parla-al-ceto-produttivo di Matteo Renzi gli ha fatto il solletico, e dove anzi la Lega stessa ha fatto da forza motrice alle due storiche vittorie della regione Liguria e della città di Genova. Soprattutto, un consenso figlio di uno sfondamento al Sud su cui chiunque aveva ironizzato - «Ma chi, Salvini? Quello di senti che puzza, scappano anche i cani…» - che invece pare cominci a dare i suoi frutti: ci sono alcuni sondaggi, uno di Demos in particolare, che accordano al movimento di Salvini il 10% dei voti nel Mezzogiorno.
Fosse anche la metà, sarebbe un risultato da celebrare nei libri di scienze politiche: come se gli indipendentisti catalani sfondassero in Andalusia. E in questo, in effetti, sta la ricetta vincente di Salvini: quella di essere riuscito a mantenere forti le radici nordiste - in questo senso il referendum sull’autonomia rappresenta, anche se perdente, un importante segno identitario - ampliando la sua offerta politica con il nazionalismo e l’anti-europeismo.
A questo, si unisce la capacità di lettura degli umori dell’opinione pubblica. C’è chi usa gli algoritmi, chi ai sondaggi, chi si affida al fiuto del leader. Salvini e la Lega Nord hanno mantenuto intatta la solita ricetta, mutuata dal partito comunista di un tempo: radicamento territoriale e ascolto della base. Cui hanno aggiunto una strategia social che fa mangiare la polvere a tutti gli altri partiti e il talento situazionista del “Capitano” che né Bossi, né Maroni hanno mai avuto: Salvini è uno che ha avuto il coraggio di andare ai cancelli dell’Ilva, più di una volta, a manifestare con gli operai, a prendersi gli insulti a Napoli, a visitare i centri di richiedenti asilo in rigorosa diretta Facebook. I luoghi ostili lo esaltano, ed esaltano la sua capacità di sfondare la bolla, di andarsi a prendere il consenso in luoghi che, in teoria, non sarebbero i suoi.
Tutte cose, queste, che gli hanno permesso di dettare l’agenda per quattro anni filati e di portare molti dei suoi avversari ad avvicinarsi alle sue posizioni. Due su tutte: le critiche all’Unione Europea e alle politiche di accoglienza dei migranti. Di esempi ce ne sono quanti ne volete: l’Europeismo critico di Renzi, l’“aiutiamoli a casa loro” (perché “non possiamo accogliere tutti”) contenuto nel suo libro, le critiche alle Ong di Luigi di Maio, il piano Minniti. Tutte battaglie leghiste cui gli altri partiti si sono progressivamente accodati.
Il bello, poi, è che lo sottovalutano tutti. Prendete la nuova legge elettorale, il Rosatellum Bis. Mentre Pd, Cinque Stelle e i partitini di sinistra baruffano su preferenze, fiducia, listini bloccati e sospensioni di democrazia, Salvini si frega le mani. Già oggi, con la sola quota proporzionale, si porterebbe a casa una sessantina abbondante di deputati.
Gli riuscisse il colpo gobbo di prendersi buona parte dei collegi uninominali al nord rischierebbe di arrivare a quota cento, soglia che è stata superata solo nel 1994, quando un inesperto Berlusconi consegnò a Bossi quasi tutto il nord Italia. Dovesse succedere, ci sarebbe solo da alzarsi e applaudire. E poi girarsi verso tutti gli altri, i geni della politica che non hanno mai visto nella Lega una minaccia, e che hanno sprecato tutto il loro tempo e la loro energia a fare battaglie identitarie e fratricide a sinistra, e chiedergli il conto del capolavoro.
In quattro anni la Lega è arrivata ai suoi massimi storici nei sondaggi, e raccoglie consensi anche a Sud. Salvini, sottovalutato da tutti, rischia seriamente di mettere tutti gli altri (i geni della politica) nel sacco
Alzi la mano chi pensava che Matteo Salvini avrebbe salvato la Lega Nord, nel dicembre 2013, quando il giovane europarlamentare, allora segretario della Lega Lombarda, aveva vinto le primarie del partito, raccogliendo il testimone di partito moribondo, schiantato dalle inchieste su Umberto Bossi e il tesoriere Belsito, i diamanti in Tanzania e la laurea albanese di Renzo “Il Trota”. Un partito che dieci mesi prima, alle elezioni politiche, aveva raccolto il 4% e portato a casa la miseria di 19 deputati e 12 senatori.
Tempo quattro anni scarsi e stiamo parlando di una Lega Nord ai suoi massimi storici, stabilmente attorno al 14-15% dei consensi. Un consenso figlio di una tranquilla tenuta al Nord, dove la sinistra-moderna-che-parla-al-ceto-produttivo di Matteo Renzi gli ha fatto il solletico, e dove anzi la Lega stessa ha fatto da forza motrice alle due storiche vittorie della regione Liguria e della città di Genova. Soprattutto, un consenso figlio di uno sfondamento al Sud su cui chiunque aveva ironizzato - «Ma chi, Salvini? Quello di senti che puzza, scappano anche i cani…» - che invece pare cominci a dare i suoi frutti: ci sono alcuni sondaggi, uno di Demos in particolare, che accordano al movimento di Salvini il 10% dei voti nel Mezzogiorno.
Fosse anche la metà, sarebbe un risultato da celebrare nei libri di scienze politiche: come se gli indipendentisti catalani sfondassero in Andalusia. E in questo, in effetti, sta la ricetta vincente di Salvini: quella di essere riuscito a mantenere forti le radici nordiste - in questo senso il referendum sull’autonomia rappresenta, anche se perdente, un importante segno identitario - ampliando la sua offerta politica con il nazionalismo e l’anti-europeismo.
A questo, si unisce la capacità di lettura degli umori dell’opinione pubblica. C’è chi usa gli algoritmi, chi ai sondaggi, chi si affida al fiuto del leader. Salvini e la Lega Nord hanno mantenuto intatta la solita ricetta, mutuata dal partito comunista di un tempo: radicamento territoriale e ascolto della base. Cui hanno aggiunto una strategia social che fa mangiare la polvere a tutti gli altri partiti e il talento situazionista del “Capitano” che né Bossi, né Maroni hanno mai avuto: Salvini è uno che ha avuto il coraggio di andare ai cancelli dell’Ilva, più di una volta, a manifestare con gli operai, a prendersi gli insulti a Napoli, a visitare i centri di richiedenti asilo in rigorosa diretta Facebook. I luoghi ostili lo esaltano, ed esaltano la sua capacità di sfondare la bolla, di andarsi a prendere il consenso in luoghi che, in teoria, non sarebbero i suoi.
Tutte cose, queste, che gli hanno permesso di dettare l’agenda per quattro anni filati e di portare molti dei suoi avversari ad avvicinarsi alle sue posizioni. Due su tutte: le critiche all’Unione Europea e alle politiche di accoglienza dei migranti. Di esempi ce ne sono quanti ne volete: l’Europeismo critico di Renzi, l’“aiutiamoli a casa loro” (perché “non possiamo accogliere tutti”) contenuto nel suo libro, le critiche alle Ong di Luigi di Maio, il piano Minniti. Tutte battaglie leghiste cui gli altri partiti si sono progressivamente accodati.
Il bello, poi, è che lo sottovalutano tutti. Prendete la nuova legge elettorale, il Rosatellum Bis. Mentre Pd, Cinque Stelle e i partitini di sinistra baruffano su preferenze, fiducia, listini bloccati e sospensioni di democrazia, Salvini si frega le mani. Già oggi, con la sola quota proporzionale, si porterebbe a casa una sessantina abbondante di deputati.
Gli riuscisse il colpo gobbo di prendersi buona parte dei collegi uninominali al nord rischierebbe di arrivare a quota cento, soglia che è stata superata solo nel 1994, quando un inesperto Berlusconi consegnò a Bossi quasi tutto il nord Italia. Dovesse succedere, ci sarebbe solo da alzarsi e applaudire. E poi girarsi verso tutti gli altri, i geni della politica che non hanno mai visto nella Lega una minaccia, e che hanno sprecato tutto il loro tempo e la loro energia a fare battaglie identitarie e fratricide a sinistra, e chiedergli il conto del capolavoro.