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Moloch
29-10-17, 15:01
CAPO III.

Delle diverse specie di lussuria consumata contro natura.


La lussuria consumata, contro natura, è l'emissione del l'umore seminale, in modo non consentaneo alla generazione, avvenga poi esso all'infuori dell'accoppiamento carnale, ovvero nell'accoppiamento stesso. Tre sono le specie di codesta lussuria, cioè: la polluzione, la sodomia e la bestialità.

ARTICOLO I.
Della polluzione. La polluzione che chiamasi anche incontinenza secreta, o mollezza[5], è l'emissione del seme umano, all'infuori d'ogni accoppiamento carnale.
[5] Il testo latino ha mollities vocabolo che, in italiano, sarebbe forse meglio tradurre colle parole sensualità semi-libidine, ma che od ogni modo non renderebbero mai esattamente il significato della polluzione come non lo rendono affatto nè mollezza nè incontinenza secreta.
Il seme umano è un umore vischioso, destinato dal Creatore alle generazioni e alla conservazione della specie: differisce essenzialmente dall'orina' la quale è una secrezione degli alimenti, che si emette, a sollievo della natura, come gli escrementi.
La polluzione si divide in:

Semplice e qualificata;
Volontaria e involontaria;
Volontaria in sè stessa, e volontaria nella sua origine.

La polluzione semplice è quella a cui non si aggiunge una estranea malizia: vale a dire, è quella di chi, obbligato a nessun vincolo personale con altri, si abbandona al piacere venereo unicamente con sè stesso.
La polluzione dicesi qualificata quando, oltre la sua propria malizia, un'altra ve se ne aggiunge, o da parte d'un oggetto a cui si pensa, o da parte di chi è passivo nella polluzione, o da parte di chi è agente.

La polluzione acquista la peccaminosità dell'adulterio, dello incesto, dello stupro, del sacrilegio, della bestialità o della sodomia sè, nel compierla si pensa ad una donna maritata, ad una parente ecc., ecc. Così quegli che desiderando la Beata Vergine, si abbandonasse alla polluzione davanti alla sua statua od immagine, commetterebbe un orribile sacrilegio.
La stessa peccaminosità acquista se chi è l'oggetto passivo della polluzione è una persona coniugata, ovvero consacrata a Dio col voto o coll'Ordine sacro.
Egualmente, se chi opera la polluzione, è per esempio, un religioso o altro sacerdote.

Tutte queste circostanze è necessario rivelare in confessione, perchè fanno cambiare la specie del peccato.
La polluzione volontaria è quella che si compie in modo diretto o di cui si cerca volontariamente la causa. È involontaria, se avvenga senza la cooperazione della volontà, sia vegliando, sia dormendo.
Siccome la polluzione affatto involontaria non può essere un peccato noi qui non ne parleremo se non in quanto può aver relazione a un peccato.
Perciò noi tratteremo:

Della polluzione volontaria, in sè stessa;
Della polluzione volontaria, nella sua origine;
Della polluzione notturna;
Dei movimenti sregolati;
Norme del confessore verso coloro che hanno l'abitudine di darsi alla polluzione.


§. 1.
Della polluzione volontaria in sè stessa.
Molti probabilisti negarono seguendo Caramuel, che la polluzione fosse per diritto naturale proibita, imperocchè la emissione del seme umano puossi paragonare ad una emissione di sangue, di latte, di orina e di sudore, e per conseguenza, se non la proibisce la legge positiva divina, lecito sarebbe e necessario il compierla ogni qualvolta la natura lo richiedesse. Nessun teologo però è di questo parere.
PROPOSIZIONE.—La polluzione, considerata in sè stessa è un peccato contro natura.
Questa proposizione è provata dalla Sacra Scrittura, dalla autorità di Innocenzo XI, dal consenso dei teologi e dalla ragione.
1. Sacra Scrittura: I. ai Corint. 6. 9. «Sappiate che nè i fornicatori, nè gli adoratori d'idoli, nè gli adulteri, nè i segretamente incontinenti, nè i sodomisti possederanno il regno di Dio.» Ai Gal, 6. 19; «È certo che coloro i quali, come dissi e ripeto, si abbandonano a cose carnali, cioè alla fornicazione, all'impurità, alla impudicizia, alla lussuria e cose simili, non entreranno nel regno di Dio.
Colle parole segretamente incontinenti intendesi alludere a coloro che volontariamente si fanno, o si fanno fare da altri delle polluzioni manuali: questa vergogna va certamente collocata a livello delle impurità e delle impudicizie, l'Apostolo dichiarando, che questi peccati escludono dal regno dei Cieli, non li presenta solo come trasgressioni al diritto positivo, ma evidentemente come cose che deturpano la natura.
2. Innocenzo XI condannava, il 2 marzo 1679, la seguente proposizione di Caramuel: «La polluzione manuale non è vietata dal diritto naturale, e se Dio non la proibisse, spesso essa sarebbe conveniente e qualche volta obbligatoria.»
3. La ragione: E' certo che fu nella mente del Creatore che la destinazione dell'umore spermatico e d'ognì atto venereo fosse quella di provocare e perpetuare la specie umana. Se si permettesse la polluzione per una volta, non si saprebbe capire la ragione, per cui non si potesse permettere ulteriormente: è appunto per questo che non si può permetterla mai. Di più il piacere annesso alla polluzione volontaria espone al pericolo di contrarne l'abitudine; e noi dimostreremo che è un'abitudine questa gravemente colpevole imperocchè conduce a mali enormi: la polluzione dunque, che avviene all'infuori del naturale accoppiamento, è manifestamente contro natura; lo riconobbero gli stessi Pagani, come appare dalle seguenti parole di Marziale, Epig. 42: «Credimi, la stessa natura t'insegna il vero, o Ponticio; ciò che tu perdi colla polluzione manuale, è un uomo.»
Devesi quindi concludere, non essere mai lecito eccitare direttamente la polluzione, nemmeno collo scopo di conservare la salute e la vita; imperocchè non è egualmente lecito il fornicare, collo stesso scopo. Il paragone col sangue, col latte, coll'orina e col sudore, addotto da Caramuel non regge, imperocchè la destinazione di questi umori è ben diversa da quella dell'umore spermatico. Nè giova dire che è talora permesso cavar sangue dalle vene, o tagliar un membro del corpo ed anche i vasi dello sperma, imperciocchè il sangue e i membri sono parti del corpo, subordinate alla salute dell'individuo, e perciò, per salvarlo, possono benissimo essere lese; ma il seme umano non fu creato per la sanità del corpo, ma per la propagazione della specie. Non si va incontro ad alcun pericolo con una cavata di sangue o coll'amputazione d'un membro: ma non è così colla polluzione.

§. II
Della polluzione volontaria nella sua origine.
Si suole distinguere due cause di polluzione, una prossima, e l'altra remota.
La causa prossima è quella che porta per se stessa alla polluzione, come il palpeggiare le proprie o le altrui parti genitali il contemplarle, il parlare d'oscenità o amori, il volgere in mente turpi immagini, ecc., ecc.
E' causa remota quella che meno direttamente spinge alla polluzione, come sarebbe il bere e il mangiare smoderato, lo studio delle questioni veneree, l'ascoltare i peccati al confessionale[6] ecc., ecc.
[6] Preziosa concessione in bocca d'un vescovo: il Sacro Tribunale della Penitenza si schiera imperturbabilmente fra le cause delle polluzioni veneree. Che onore!
Queste cause possono essere lecite, venialmente cattive o mortalmente cattive: così, possono sedurre alla polluzione in modo prossimo o in modo remoto.
Egli è certo: 1° che quegli il quale volontariamente, anche per un istante, si abbandona al piacere della polluzione, sia pure senza un dato intendimento e per sola causa accidentale, pecca mortalmente: nessuno negherà ciò; 2° che pecca pure mortalmente quegli che dà motivo prossimo, diretto, alla polluzione, come sarebbe, per esempio, toccando o rimirando libidinosamente le proprie o le altrui parti vergognose in modo che sembri si voglia la polluzione, ancorchè ad eccitar questa veramente non si miri. Anche questo è evidente.
Esaminiamo ora se la polluzione prodotta da causa lecita, o solo venialmente cattiva, sia peccato e quale peccato.

Fare un'azione lecita in se stessa, ma senza necessità o utilità, e che si prevede ch'essa ecciterà una polluzione, è peccato mortale, perchè si coopera efficacemente ad un risultato mortale, senza alcuna ragione scusante.
Quegli che per vantaggio proprio o d'altrui fa una azione in sè lecita ma che, per ragione di sue particolari disposizioni, ha una prossima influenza sulla polluzione, pecca mortalmente, semprechè esso sia esposto a dare il suo consenso ad un pericolo prossimo di essa, imperocchè nessuno nega che l'esporsi a tale pericolo sia peccato mortale, a meno che ci sia la scusa di una grave necessità.
Se poi urge una grave necessità, e il fine a cui si tende è buono, non v'è peccato, imperocchè è permesso, per grave causa, fare la polluzione in guisa che ne conseguano due effetti, uno buono e l'altro no, e che si dia tutto il proprio assenso al primo, negandolo all'altro. Così un chirurgo, il quale guarda o tocca le parti genitali d'una donna, sia per curarne una infermità o per agevolare un parto, si espone certo all'occasione d'una polluzione, ma esso perciò non pecca, purchè non vi presti consenso alcuno, contuttochè si esponga ad un prossimo pericolo di acconsentirvi.
Non pecca colui il quale, per sua o per altrui utilità, fa una azione, dalla quale prevede che ne può seguire una polluzione, alla quale però egli non si mette nel pericolo prossimo di acconsentire, perchè si suppone ch'egli non provi nè secondi il male che ne può venire. Così S. Tommaso e in generale i teologi. E' permesso di studiare le cose veneree, per un fine onesto; di ascoltare le confessioni delle donne: di conversare con esse utilmente e onestamente; di far loro visite; di abbracciarle decentemente come se fossero parenti; di cavalcare; di usare moderatamente delle bibite riscaldanti, prescritte dalla salute; servire gli infermi; metterli nei bagni; esercitare la chirurgia, ecc., benchè si preveda che ne possa seguire polluzione; ma non ci si deve pensare se non col fermo proposito di non acconsentirvi e colla fondata speranza di perseverare in questo proposito.
Se però, per nessuna utilità o ben lieve, ci fossero da compiere azioni influenti sulla polluzione, bisogna astenersene; se no, si commetterebbe peccato veniale o mortale, a seconda della gravita o leggerezza della polluzione che si provocherebbe. Per esempio: se l'uso del caffè, dell'acquavite, del vino puro, ecc. non suggerito dalla salute come ordinariamente lo è, eccita in te polluzione, devi astenerti da esso, sotto pena di peccato veniale se l'eccitamento è soltanto probabile, e di peccato mortale se, per qualche causa a te particolare, l'eccitamento è diretto e l'effetto quasi moralmente certo.
È peccato mortale fare un'azione venialmente cattiva, la quale influisca in modo prossimo sulla polluzione: ciò risulta da quanto or si dirà. Se alcuno, per ragioni di sua particolare debolezza, è solito provare polluzione guardando voluttuosamente una donna in qualche parte sensuale del corpo; o toccandole una mano; premendole le dita; conversando con lei; abbracciandola onestamente, ma senza una ragione; assistendo a balli, ecc., deve astenersi da tutti codesti atti sotto pena di peccato mortale.
Se dei peccati veniali in materia di lussuria, e a più forte ragione in altra materia, influiscono sulla polluzione soltanto remotamente, come, per esempio, se negli atti or ora esposti essa non avvenga che di rado, la castità non si trova che venialmente lesa. Quanto al sapere se essa sarebbe mortalmente violata, o nella polluzione in sè stessa, o nella causa della polluzione medesima, si può rispondere con una duplice negazione: non nel primo caso, quando si suppone mancare qualsiasi assenso attuale; non nel secondo caso dell'ipotesi, se la causa è lieve, e quindi soltanto lievemente influisce sulla polluzione. Così pensano, con S. Tommaso, molti teologi contro pochi.
Un peccato mortale, diverso dalla lussuria, come, per esempio, l'ira, l'ubriachezza, che solo remotamente influisce sulla polluzione, non si considera che come un peccato veniale di lussuria, perchè l'influenza non dovendosi qui riferire che alla ragione, non può che supporsi essere una influenza lieve. Così S. Lig., l. 3, n. 484, e molti altri dopo di esso.

Evidentemente si dovrebbe dire il contrario, se questo peccato, per speciali circostanze annesse, per esempio la sua frequenza, lo si giudicasse influire sulla polluzione in modo prossimo.

§ III.
Della polluzione notturna.
Per polluzione notturna s'intende quella soltanto che avviene nel sonno. Se il sonno è imperfetto, la polluzione può essere semi-volontaria, e non ne conseguirebbe che un peccato veniale. Se poi il sonno è perfetto, la polluzione non è in modo alcuno volontaria, e non ne deriva peccato: non potrebbe essere peccaminosa se non nella sua origine.
E' certo che quegli il quale predispone una cosa colla intenzione che da essa derivi una polluzione durante il sonno, per esempio, giacendo in letto in un dato modo, coprendosi ben bene, palpeggiandosi, ecc., pecca mortalmente.
Eccettuati questi casi, si deve esaminare quale sia la causa della polluzione notturna e come essa influisca sulla polluzione stessa.
Triplice è la causa secondo S. Tommaso, 22, q. 154, art. 5, ed altri teologi: corporale, spirituale intrinseca e spirituale estrinseca.
I. Cause corporali sono:

La sovrabbondanza di materia seminale, della quale la natura, troppo gravata, si scarica colla emissione spontanea;
Le immagini della fantasia provenienti dalla stessa sovrabbondanza di materia seminale, o da altra disposizione di corpo;
L'intemperanza nel bere e nel mangiare, o le qualità eccitanti dei cibi e delle bevande;
I motivi che sciolgono il seme, come, per esempio, l'equitazione, la vista di cose lascive, o il pensare ad esse nella veglia;
Un certo prudore di umori, un sangue molto caldo, i nervi irritabili, i palpeggiamenti nei sogni, la morbidezza del letto, ecc.;
La debolezza degli organi, che può nascere da un difetto di costruzione, o dalla contratta abitudine alla polluzione; debolezza che frequentemente provoca uno spargimento di seme che spesso reca grave nocumento alla salute.

II. La causa spirituale intrinseca, che S. Tommaso chiama animale, perchè risiede nell'anima, è il pensiero, prima del sonno, di cose lascive; e vi si comprendono i desideri, le protratte fantasie voluttuose, i cattivi discorsi, il frequentar donne, l'assistere a spettacoli e a balli, la lettura di libri osceni, ecc.
III. La causa spirituale estrinseca è opera del Demonio, il quale—secondo S. Tommaso e tutti gli altri dottori—illudendo la immaginazione e commovendo gli spiriti genitali, eccita la polluzione. Questo genere di polluzioni, quando provengono da causa estranea alla volontà, e se vi manca il consenso attuale, non si possono imputare a peccato.
Similmente non sono peccati le polluzioni che avvengono nel sonno per naturale sovrabbondanza di umore simile, per debolezza di organi, per disposizione nervosa, o per il non soddisfacimento d'un'abitudine, semprechè non nascano con deliberato proposito e non sieno perciò in alcun modo acconsentite.
Nelle altre polluzioni è da esaminare se la loro origine sia lecita, se venialmente o mortalmente cattiva, se prossimamente o remotamente influente su di esso: per ciò si giudicherà prudentemente se vi sia peccato e quale peccato sia. Se una cosa, benchè lecita, influisca prossimamente sulla polluzione, non basta la sua utilità, ma richiedesi la necessità, affinchè possa la cosa essere scusata: ove poi l'influenza sia remota, basta una semplice scusa ragionevole.
Si domanda: 1. Cosa deve fare chi, svegliandosi, si avvede di aver compiuta una polluzione.
R. Deve elevare la mente a Dio, invocarlo, fare il segno della santa croce, non compiere cosa alcuna che provochi in seguito l'emissione del seme, rinunciare ad ogni voluttuoso diletto: così operando, può stare colla coscienza tranquilla: ma egli però non è obbligato a far resistenza all'impeto della natura, qualora ei senta che nei vasi spermatici la secrezione dell'umore è già avvenuta; in questo caso è una necessità che l'emissione, subito o no, abbia luogo, altrimenti il seme, già uscito dai reni, si corromperebbe internamente a detrimento della salute.
Si domanda: 2. Se sia permesso compiacersi della polluzione non colpevole, in quanto essa è di sollievo alla natura, o desiderarla sotto questo rispetto.
R. Generalmente i dottori insegnano essere lecito compiacersi dei buoni effetti della polluzione involontaria, sia avvenuta nel sonno, sia nella veglia, perchè sotto questo riguardo, essa non dà un risultato cattivo. E un maggior numero di dottori e con maggiori probabilità insegnano essere lecito per le stesse ragioni, compiacersi di un tale effetto, che la polluzione deve produrre.
Ma è lecito compiacersi della polluzione, volontariamente compiuta o da compiersi, considerandola come un sollievo della natura? Molti affermano, e dicono che da nessuna legge essa è proibita: così S. Tommaso, in 4, Sent. tit. 9, q. I, art. I, dice: «Se la polluzione si gradisce come una scarica o un sollievo della natura, non credesi che sia peccato.» Si avverta che non dice se si gradisce l'effetto della polluzione ma se si gradisce solo la polluzione. Questa opinione sembra a noi molto probabile in teoria, ma molto pericolosa in pratica, e non è quindi a tollerarsi.
Si domanda: 3. Che si deve dire del gocciolìo!
R. Il gocciolìo è una lenta emissione di seme imperfetto o di consimile umore vischioso, senza che vi siano movimenti gravi di concupiscenza. Se ha luogo senza piacere venereo, come se proviene da debolezza d'organi o dal diletto di un prurito insopportabile, lo si deve considerare come si considera l'emissione del sudore: così dicono Cajetanus e i teologi in generale. Ma se avviene volontariamente e copiosamente, o con una notevole commozione degli spiriti genitali, è peccato mortale, perchè implica il pericolo prossimo della polluzione. Così Sanchez, S. Liquori, ecc. Se poi avviene in modica quantità, senza piacere e senza commozione notevole dello spirito, o non è peccato, se la causa risiede nella ragione e nella utilità, o, tutt'al più, è peccato veniale. Ciò è conseguenza di quanto abbiam detto della polluzione indirettamente voluta.
Si domanda: 4. Se sia permesso, per opera di medicamenti prescritti dai medici, sciogliere ed espellere il seme morboso, già sciolto dai reni, e perciò implicante pericolo di vera polluzione.
R. Generalmente i dottori lo affermano, purchè ciò tenda solo a provvedere alla salute, e la polluzione non sia direttamente eccitata, nè desiderata, nè che vi si acconsenta allorchè avviene all'infuori del desiderio, e infine che il seme sia veramente diventato morboso. Così Sanchez, Layman, S. Liquori, ecc., contro P. Concina, Bonacina, La Croix, De Lugo, e molti altri.

§ IV.
Dei movimenti disordinati.
Questi movimenti sono certe commozioni delle parti genitali che più o meno dispongono alla polluzione. Possono essere gravi o lievi: sono gravi se inducono un pericolo prossimo di polluzione; lievi, se il contrario.
E' peccato mortale il compiacersi volontariamente in questi movimenti, ancorchè sieno lievi e nati involontariamente, imperocchè v'ha qui un piacere venereo che probabilmente non implica leggerezza di materia, ed induce nel grave pericolo di andare più oltre. A più forte ragione sarebbe peccato mortale l'eccitarli deliberatamente Vanno poi immuni da peccato, se essi non dipendono dalla volontà nè in se stessi, nè nella loro causa, come spesso avviene, e se non vi si acconsente menomamente. Ove poi la causa di essi sia stata deliberatamente predisposta, bisogna considerarli come polluzione indirettamente voluta, con questa differenza, che la polluzione è sempre una cosa grave, mentre i movimenti possono essere talmente leggeri e così lontani dal pericolo di polluzione, da doversi considerare come piccoli peccati, poco curandosi altresì della loro origine, purchè questa sia onesta.
Or si domanda specialmente, cosa si debba fare quando tali movimenti nascono senza colpa.
E' certo, come già dicemmo, che non si può acconsentire volontariamente ad essi se non peccando mortalmente. Ciononpertanto, non conviene opporre ad essi una forte resistenza, imperocchè in allora lo stesso ritegno infiamma la fantasia e per relazione simpatica, eccita maggiormente gli spiriti genitali. La cosa più sicura è dunque quella d'invocare con calma Iddio, pregare la Beata Vergine, l'Angelo custode, il proprio patrono egli altri santi, fuggire gli oggetti pericolosi, distogliere tranquillamente il pensiero da idee oscene e portarlo su altre cose, applicarsi seriamente ad affari diversi e in ispecial modo a quelli che maggiormente distraggono.
Si domanda se il rimanere indifferente ai movimenti di concupiscenza nati involontariamente, nè approvandoli, nè disapprovandoli, sia peccato e quale peccato.
R. 1. Tutti ritengono che tale indifferenza è almeno un peccato veniale, perchè il pensiero sarebbe obbligato di provare della ripugnanza pei movimenti disordinati della concupiscenza.
2. Sanchez, S. Liguori, l. 5, n, 6, e molti altri dicono che questo peccato, escluso il pericolo prossimo di polluzione, è solamente veniale, perchè—dicono—i movimenti disordinati devono essere respinti per la ragione che è a tenersi inducano alla polluzione o sveglino il consenso della volontà al piacere venereo Ora, se pericolo non esiste od è remoto, l'obbligo d'evitarlo non è grave: ma essi affermano che, sotto pena di peccato mortale, c'è l'obbligo di resistere positivamente non foss'altro per senso di rincrescimento, se vi ha pericolo prossimo o di cadere nella polluzione o di acconsentire al piacere venereo.
Altri generalmente insegnano che la indifferenza da un lato congiunta d'altro canto con una piena attenzione a questi movimenti disordinati, benchè sieno lievi, è peccato mortale, tanto per la loro disordinatezza, quanto pel pericolo che vi ha di acconsentirvi. Così Valentia, Lessius, Vasquez, Concina, Billuart, e nella pratica Habert, Collet, P. Antoine, Dens, ecc.
E' cosa pericolosa il trasgredire in pratica questa sentenza, benchè il parere contrario, considerato teoreticamente non manchi di probabilità: richiedesi dunque che un positivo rincrescimento, almeno virtuale risieda nel pensiero, verso questi movimenti disordinati, sorti all'infuori della volontà,
Questo rincrescimento si ha come sufficiente, quando la volontà opponesi con fermo proposito al piacere venereo, disdegna i movimenti voluttuosi e si rivolge ad altro.
Quanto or s'è detto, non lo intendiamo detto per coloro che scrupolosi per un nonnulla, sono troppo solleciti a tormentare la propria coscienza, affannosamente scrutando se abbiano o no prestato un consenso, molto più che, così operando, non fanno che esporsi viemaggiormente agli stimoli della carne e perpetuarne quasi la loro efficacia: abbiano costoro il fermo proposito di vivere sempre castamente, sdegnino i movimenti disordinati e non si preoccupino menomamente delle regole che soglionsi seguire negli esami di coscienza e nella confessione; l'esperienza prova essere questo il mezzo più sicuro e più breve per liberarsi da scrupoli mal fondati.

§ V.
Norme dei confessori verso coloro che si danno alla polluzione.
Non vi ha vizio più nocivo, sotto qualunque aspetto, ai giovani, e specialmente se maschi, di quello della polluzione, imperocchè, presi da questa prava consuetudine, indurano lo spirito, inebetiscono, dispregiano la virtù, disdegnano la religione; la loro indole diventa malinconiosa, incapace di energia, inetta a qualsiasi proposito tenace; le forze del corpo mancano, gravi infermità sopravvengono, si appalesa una caducità prematura, e spesso si muore di morte vergognosa.
Gli spaventosi effetti della masturbazione, descritti da Ippocrate, ce li riferisce Buchanan, t. 4, p. 567: «Questa malattia nasce dal midollo spinale; essa colpisce i giovani sposi ed i libidinosi; non hanno febbre, e, benchè mangino bene, dimagrano e si consumano; par loro di sentire come un formicolìo scendere dalla testa lungo la spina dorsale. Ogniqualvolta essi emettono gli escrementi ed orinano, perdono abbondantemente un umore seminale acquoso; sono inetti alla generazione; spesso, nei loro sogni, sono intenti all'atto venereo; le passeggiate, specialmente lungo le strade faticose, li scalmanano, li prostrano, e procacciano ad essi pesantezza di capo e susurrii nelle orecchie; infine una febbre acuta termina i loro giorni.»
Egualmente Aretes, medico greco, vivente al tempo di Trajano, dice, l. 2, c. I; «I giovani, dediti a questo vizio, vanno soggetti alle malattie e alle infermità dei vecchi; diventano pallidi, lascivi, cupidi, sfibrati, pigri, stupidi, ed anche imbecilli; il loro corpo s'incurva, le loro gambe più non li reggono; sono malcontenti di tutto, inabili a tutto, e molti cadono nella paralisia.»
Questi giudizii fondamentali, tramandatici da medici antichi, sono ammessi pure da tutti i medici più recenti, e vengono confermati da un'infinità di fatti, di cui noi ne riferiremo alcuni.
Hoffman, celebre professore di medicina in una università della Germania, nel suo Trattato Delle malattie provenienti dall'abuso dei piaceri dell'amore, riferisce «che un giovane di 18 anni, il quale amoreggiava carnalmente con una fantesca, fu colto tutto ad un tratto da debolezza e da fremito generale in tutti i suoi membri; aveva il viso rosso e i polsi debolissimi. In brev'ora si riuscì a toglierlo a questo stato, ma egli restò sempre afflitto da un languore generale.»
Tissot, Dell'onanismo, p. 33, così descrive un giovane, pel quale fu richiesta la sua cura:
«La prima volta ch'io vidi questo disgraziato, ne fui spaventato.
«Sentii più che mai allora la necessità di dimostrare ai giovani l'orrendo precipizio nel quale volontariamente si gettano, abbandonandosi a questo vizio vergognoso.
«L. D*, orologiaio, fu savio e prosperoso fino all'età di 17 anni. A quest'epoca si abbandonò alla masturbazione, ch'egli replicava consecutivamente perfino 3 volte; l'emissione del seme era sempre preceduta e accompagnata da un leggero offuscamento del pensiero e da un movimento convulsivo nei muscoli estensori della testa, i quali la tiravano indietro, mentre che il suo collo gonfiavasi straordinariamente
«Non era ancora trascorso un anno, ch'egli cominciò a sentire una grande debolezza dopo ogni polluzione; la sua immaginazione, tutta in balìa a queste oscenità, non era più capace d'altre idee; e la rinnovazione dei suoi atti colpevoli divenne ogni giorno più frequente, fino a che si trovò in uno stato che faceva temere che morisse.
«Troppo tardi egli se ne impensierì; il male era già andato troppo oltre, ed egli non poteva più essere guarito; le parti genitali eransi fatte così irritabili e così deboli che, anche senza l'azione sua personale, i vasi spermatici vuotavansi da sè. La menoma irritazione provoca all'istante il più completo eretismo, il quale era immediatamente seguito da un'emissione di seme, ciò che aumentava quotidianamente la sua debolezza.
«L'organo ch'egli, sulle prime, non provava che durante la polluzione, e che cessava con essa, divenne abituale, e ne era preso spesso senza alcuna causa apparente, in modo sì violento che, durante l'accesso, che talora durava 15 ore e non mai meno di 8, provava in tutta la parte posteriore del collo dei dolori così forti, che ordinariamente gli strappavano non dei gridi, ma degli urli; e in questo frattempo non gli era possibile mandar giù per bocca alcunchè di liquido o di solido.
«La sua voce era diventata rauca; la respirazione, impedita; le forze gli mancarono totalmente.
«Obbligato a rinunciare alla sua professione, inetto a tutto, oppresso dalla miseria, languì, quasi senza soccorso alcuno, per qualche mese: povero disgraziato! tanto più da compiangere, in quanto che, un resto di memoria (che non tardò però a svanire) era ancor là per rammentargli continuamente le cause del suo malore, accrescendolo con tutto l'orrore dei rimorsi!
«Informato del suo essere, mi recai presso di lui; più che un individuo vivente, trovai un cadavere sdraiato su un pagliariccio, magro, pallido, sudicio, puzzolente, quasi incapace d'ogni movimento: spesso gli colava dal naso un sangue smorto e acquoso; e continuamente gli usciva dalla bocca una bava. Colto da diarrea, egli emetteva gli escrementi in letto, senza addarsene. Lo spargimento dell'umore seminale era continuo; i suoi occhi caccolosi, torbidi e spenti, non avevano più la facoltà di girare; il polso era estremamente debole, ma pronto e frequente; la respirazione, molto imbarazzata; la magrezza, estrema, eccettuati i piedi, i quali cominciavano a diventare tumidi, molli e seriosi.
«Il disordine dello spirito non era minore: non aveva più idee, più memoria; inetto a leggere due frasi; senza riflessione, senza inquietudine sulla sua sorte; non aveva altra sensazione che quella del dolore, la quale lo assaliva penosamente, ogni tre giorni almeno. Era un essere molto al di sotto del bruto, ed offriva in sè uno spettacolo, di cui è difficile immaginare tutto l'orrore. Molto a stento si poteva riconoscere ch'egli una volta aveva appartenuto alla specie umana... Morì dopo poche settimane (giugno 1757) col corpo ch'era tutto un tumore molle e sieroso.»
E Buchan, t. 2, p. 202, dice: «La maggior parte dei giovani che si dànno alle donne e al vizio vergognoso della masturbazione, non vi rinunciano ordinariamente se non quando le forze ad essi più non lo permettono, ma allora la malattia è già diventata incurabile. Io ho visto di ciò un esempio eloquente in un giovane di 22 anni, il quale, malgrado i consigli di savie persone, e di persone che pareva esercitassero maggior autorità su di lui, perdurò costantemente nella mala abitudine, e vi si abbandonava perfino in quel tempo nel quale i medici lo sottoponevano ad una cura per guarirlo dalla malattia. Egli morì miseramente, senza che gli si sia potuto procurare un sollievo.»
I confessori dunque devono colle cure più sollecite tentare di prevenire questa pessima abitudine o di svellerla in coloro ch'essi stimano l'abbiano già contrata. Si guardino bene però, interrogando i giovani, e spcialmenmte le fanciulle, di non maliziare imprudentemente la loro immaginazione e di non essere causa, come spesso avviene,[7] di lussuria nei penitenti. Meglio sarebbe esporsi al pericolo di non ottenere una confessione intera, che contaminare delle anime od offenderla a scapito della religione.
[7] Si noti bene questo: come spesso avviene, confessato da un Monsignore.
Per scoprire, senza pericolo, se vi abbia polluzione, giova procedere in questo modo: interrogare dapprima il penitente sui pensieri, sui discorsi lascivi, sulle nudità al cospetto di altre persone, sui toccamenti compiuti sopra se stessi o sopra altri, ovvero compiuti da altri su noi con nostro assenso. Se il penitente non è ancor giunto alla pubertà, non dev'essere interrogato intorno alla polluzione, imperocchè è probabile ch'egli non la conosca, a meno che la di lui corruzione non appaia manifesta da evidenti indizî. Se egli è poi pubere, ed abbia avuto contatti impudichi con altre persone, specialment se questo avevano più anni di lui, ovvero se abbia giaciuto in letto con esse, è moralmente certo che avvenne spargimento di seme, ed è facile capire che ci fu polluzione. Non pertanto, il confessore può domandare, senza commetere imprudenza: «Avete voi provato dei movimenti nel corpo (o nella carne?) e un piacere giocondo nelle vostre parti segrete e una cessazione di quei movimenti appena cessato il piacere?» Se il penitente risponde affermativamente, è ragionevole l'ammettere che ci fu polluzione, imperocchè la vivacità di quei movimenti, congiunta a quel dato piacere, indica chiaramente che ci fu effusione di seme.
Nei maschi, l'effusione è sempre esterna: ma nelle femmine, se è vero—come sembra probabile—ch'esse non abbiano sperma, la polluzione si effettuerebbe in altro modo. Per causa di movimenti disordinati, si verifica spesso nelle donne un flusso interno e ben raramente esterno, di una specie di umore mucoso, che facilmente si spiega riflettendo che esse provano una sensazione vivamente voluttuosa. Peccano mortalmente le donne che eccitano in sè questo flusso o questi movimenti venerei, oppure volontariamente se ne compiacciono. Ma il confessore, saputi con discrezione da una penitente questi movimenti e contatti libidinosi, deve cautamente astenersi da ulteriori interrogazioni offensive al pudore.
Se si ascolta un maschio che abbia fatto delle oscenità con altri più in età di lui, siccome è probabilissimo ch'egli li abbia visti ad emettere l'umore seminale, così e permesso chiedergli se abbia provato qualche cosa di simile anch'esso.
Alla polluzione chiaramente verificata bisogna applicare convenienti rimedi: fisici e morali. I rimedi fisici possono essere utili per guarire dalle pulluzioni volontarie e involontarie; essi consistono in una grande temperanza, in un riguardoso metodo di vita, nell'astinenza da alimenti calorosi e da liquori molto spiritosi, nel far uso di acqua e di latte, giacere su letto non soffice e dormirvi poco, immergersi in bagni freddi, ed altri rimedi che i medici sogliono suggerire, ma che però raramente sono efficaci. I rimedi morali sono specialmente, il fuggire gli oggetti che sogliono indurre nella mente idee lascive, il vegliare sopra sè stessi; padroneggiare i sensi; mortificare la carne; meditare sui mali che provengono dall'abitudine delle polluzioni; pensare alla morte, al giudizio di Dio, all'inferno, all'eternità; fuggire l'ozio, la taciturnità, la solitudine; pregare e frequentare confessori, ecc., ecc.
I confessori possono anche prudentemente consigliare ai giovani molto corrotti la lettura di llbri, scritti su tale argomento da medici, come, per esempio, l'Onanismo del Tissot, e meglio ancora l'opuscolo del Doussin-Dubreoil, intitolato: Pericoli dell'Onanismo: quest'ultimo libro può essere indicato, come rimedio, ai giovani corrotti, senza pericolo alcuno.
L'esecranda abitudine della masturbazione, se è inveterata fa veramente disperare i confessori; ed è infatti assai difficile il giudicare prudentemente se possano o debbano essere ammessi al sacramento della Penitenza e della Eucaristia quei penitenti che si danno in balìa a questo vizio: è a temersi finalmente che, trattandoli severamente, non si accostino più ai sacramenti e si facciano peggiori: trattandoli d'altra parte con soverchia indulgenza, potrebbero addormentarsi placidamente nel fango di cotesto vizio. E' necessario per ciò usare somma prudenza e gran zelo, affinchè questi infelici penitenti s'accostino di frequente al sacro tribunale della penitenza per esempio, ogni settimana, si dolgano delle colpe commesse, e rinnovino sovente il buon proposito di non più peccare.
Bisogna star bene attenti se le ricadute avvengono: 1° per malizia, trascuranza o difetto di volontà; 2° ovvero per infermità o violenza di tentazione. Nel primo caso, si deve differire l'assoluzione fino che appaia una vera emenda; nel secondo, questi disgraziati penitenti, lottanti contro una tirannica libidine, e veramente contriti, devonsi soccorrere ammettendoli alla grazia dell'assoluzione e della sacra Eucaristia.
Con queste norme si diminuiranno a poco a poco le ricadute e si cancellerà l'abitudine. Diversamente, un soverchio rigore li allontanerebbe dai sacramenti, li getterebbe nel baratro della corruzione, e non splenderebbe più speranza alcuna di emendamento. Perciò sarebbe cosa eccessiva e spesso pericolosa una sospensione dei sacramenti per due mesi, senza una nuova ricaduta, come vogliono Juenin, Collet e pochi altri.—S. Liquori, t. 6, n. 463 e molti altri dopo di lui pensano che la sospensione anche di un solo mese è troppo lunga, e che per ciò l'assoluzione in questi casi non deve essere differita oltre gli otto, i dieci o, al sommo, i quindici giorni, semprechè v'abbiano segni di vero pentimento. Non si può tuttavia determinare, come norma generale, il tempo della dilazione: dipenderà dalla prudenza del confessore accorciarlo o allungarlo secondo che stimerà più conveniente alla correzione del penitente. Si avverta bene però, che quei poveri peccatori che desiderano sinceramente di salvarsi, non devono essere messi a fascio cogli induriti nella colpa, nè gettati nella disperazione da una intempestiva severità: a ciò devono star bene attenti i confessori e agire con somma prudenza.
Talvolta devesi consigliare il matrimonio a coloro che possono contrarlo, essendo esso l'unico rimedio, o almeno il più efficace.
Si deve procedere poi colla massima cautela quando si ha a fare con giovani che stanno per far voto di perpetua continenza. Coloro che sono ingolfati nel vizio della polluzione abbandonandovisi di frequente, ordinariamente prometterebbero di darsi alla castità emettendo un voto spensierato, non maturato, imprudente; essi devono per ciò essere dissuasi dalla professione religiosa e molto più dallo stato clericale, a meno che non dieno segni straordinari di conversione, e colla lunga prova di molti anni dimostrino fermezza di proposito ed offrano pegno di perseveranza.

macs
29-10-17, 15:03
tldr

Moloch
29-10-17, 15:04
tldr

ARTICOLO II.
Della sodomia. Quella mostruosa nequizia, che prende il nome dagli abitanti della città di Sodoma, è così definita da S. Tommaso, 2, 2, q. 154, art. II: Accoppiamento carnale, usando indebitamente del sesso, come fra uomo e uomo, fra donna e donna.
La enormezza di questa iniquità è potente:

Per l'orrore che eccita universalmente;
Per la sua deformità, vera e manifesta;
Per le punizioni inaudite, inflitte da Dio alle cinque città insozzate da questa contaminazione (Gen., cap. 19);
Per l'epistola di S. Paolo ai Romani, l. 18 e seg., che dice, essere stati dati in balìa i Pagani a passioni ignominiose, ad azioni sconvenienti, a brame ardenti, tra femmine e femmine, tra maschi e maschi, in punizione della loro superbia;
Per le gravi pene decretate nel Diritto canonico, e specialmente nella bolla Horrendum illud scelus di Pio V contro i preti sodomi;
Per lo zelo veemente con cui tutti i santi Padri della Chiesa inveirono contro questo delitto.—S. Ciro, nell'omelia 14, epist. ai Rom., fulmina i sodomiti colla sua eloquenza, e prova essere essi assai più bruti dei cani.

Non importa sapere ove avvenga il contatto venereo fra maschi o fra femmine, se cioè nelle parti davanti o nelle parti di dietro, o in qualsiasi altro posto del corpo, imperocchè la peccaminosità della sodomia consiste nella voglia di usare indebitamente del sesso, e, generalmente, è compiuta, per esempio, coll'applicazione della propria parte genitale al corpo di persona di eguale sesso, giacendo assieme come se si trattasse di far un accoppiamento carnale. Perciò non si reputa sodomia, perchè non vi sarebbe concubito, la semplice applicazione delle mani, dei piedi o della bocca alla parte genitale dell'altro, benchè avvenge la polluzione nell'una e nell'altra persona.
La sodomia implica la malizia che è nell'adulterio, nell'incesto, nel sacrilegio, secondo che i sodomiti sieno coniugi, consanguinei, affini, o consacrati a Dio.
Non pochi teologi dicono che il penitente è tenuto a dichiarare se nell'atto della sodomia è stato attivo o passivo, perchè altro è lasciarsi volontariamente sodomitare, altro è prender parte attiva alla sodomia in altrui.
Nel caso poi dell'uomo, passivo—e della donna, attiva, lo invertimento della natura sarebbe ancor più grave.
Molti autori però, con maggior probabilità, negano essere necessaria la dichiarazione di queste particolarità essendo sufficentemente indicata la qualità del peccato dalla semplice confessione del fatto. Così pensa puranco il P. Concina, non sospetto di soverchia indulgenza.
Siccome in questa materia è convenientissimo evitare le questioni superflue, così noi ci asteniamo sempre da simili interrogazioni.
V'ha una specie di sodomia, che può accadere anche fra persone di sesso diverso, quando il commercio carnale avviene all'infuori dell'accoppiamento delle parti genitali, per esempio, quando si mettono in opera la parte deretana, la bocca, le mammelle, le coscie, ecc. Benchè questo genere d'infamia non sia punito egualmente come la sodomia propriamente detta, è certo ch'esso è sempre una grande ignominia contro natura.
Nella nostra diocesi entrambe codeste sodomie, ancorchè non consumate, ma solo tentate con qualche atto che condurrebbe ad esse, è un caso riservato.

Zhuge
29-10-17, 16:52
Cos'è questa roba? L'ha scritta Marge Bouvier? :fag:

Moloch
29-10-17, 16:59
anche i confessori abbisognano delle loro linee guida :sisi:

fulviuz
29-10-17, 17:52
Che pipponi inutili e scervellamenti atti all'aria fritta :asd:

Rondella
30-10-17, 02:07
Stringi il tutto in quattro righe che poi lo leggo

hoffmann
30-10-17, 05:20
Salvatissimo :asd:

Maelström
30-10-17, 06:51
Ha a che fare col cristianesimo?

tigerwoods
30-10-17, 08:27
Ha a che fare col cristianesimo?Se ci aggiungi gente decapitata, anche con l'islam

Zhuge
30-10-17, 09:37
Devo confessarmi se pratico la masturbazione?
21/09/2015

Su internet e confessandomi ho scoperto che masturbarsi è peccato grave; devo sempre confessarmi prima di fare la santa Comunione?


Caro Padre,
vivo in una situazione un pò particolare. Sono un ragazzo di 21 anni e studio all’università. Vado ogni domenica a messa e da un pò di tempo leggendo su internet e confessandomi ho scoperto che masturbarsi è peccato grave. Però non riesco davvero a trattenermi, io voglio prendere la comunione serenamente. Ma devo confessarmi ogni volta per tale peccato? Non posso chiedere perdono a Dio durante l’atto penitenziale della messa della domenica? Il mese scorso mi sono confessato 4 volte! Ero entrato in una tristezza assoluta, perchè sentivo di aver commesso tale peccato grave.
Purtroppo Padre, umanamente ogni tanto tendo a scaricare le mie pulsioni e sono un pò troppo teso. So che non è bello ed è peccato, però uffa.
E’ molto difficile resistere, come è difficile anche stare con una ragazza di cui sei innamorato e non fare sesso fino al matrimonio, è difficilissimo.
Come trovo una ragazza al giorno d’oggi che non abbia mai pensato di fare l’amore SOLO dopo il matrimonio?
Ciao Padre…

Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. La masturbazione è un peccato grave.
San Paolo, quando enumera i peccati che escludono dal Regno di Dio, vi include sempre anche la masturbazione, che viene chiamata impurità o impudicizia: “Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggi e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come ho già detto, che chi le compie non erediterà il Regno di Dio” (Gal 5,19-21);
“Perché sappiatelo bene, nessun fornicatore o impuro,… avrà parte del Regno di Cristo e di Dio” (Ef 5,5);
“Perché questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall’impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni e di libidine, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno offenda o inganni in questa materia il proprio fratello, perché il Signore è vindice di tutte queste cose, come già vi abbiamo detto e attestato. Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste norme, non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che ci dona il suo santo Spirito” (1 Tess 4,3-8).

2. Pertanto prima di fare la S. Comunione devi confessarti.
Se non ti confessi, della Comunione compi solo il rito e danneggi ulteriormente la tua anima.
“Dio non entra in un’anima inquinata dal peccato” (Sap 1,4).
Con gli atti impuri senti che perdi Dio. Ti senti svuotato, frustrato, avvilito.
Ti senti profanato nel corpo e nell’anima.

3. Fare la S. Comunione col peccato grave, senza essere purificati e santificati, è una grave ingiuria fatta al Signore e si peggiora la propria situazione.
Dice San Paolo: “Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. E’ per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti” (1 Cor 11,27-30).

4. L’atto penitenziale, se è vero atto di pentimento, porta non solo a provare dolore per quello che si è fatto, ma anche a compiere tutti i passi necessari per entrare in comunione col Signore. Il passo necessario è la confessione sacramentale.
Pertanto se ti trovi macchiato da questo peccato, prima di fare la S. Comunione devi sempre riconciliarti col Signore col sacramento della confessione.

5. Mi dici che il mese scorso ti sei confessato quattro volte.
Non vedo nulla di strano, soprattutto se penso che vi sono molte persone, tra le quali diversi giovani, che tutte le settimane si confessano senza avere peccati gravi sulla coscienza.
Se si confessano tutte le settimane persone che sono senza peccati gravi, a maggior ragione lo possono fare quelle che si macchiano di peccati gravi.
Su questo punto ti esorterei a conservare questa frequenza, anche una volta che avrai debellato questo peccato.
È una risorsa molto grande la Confessione. Dà sempre un aumento di grazia e previene le cadute.
È sempre gradita al Signore e per questa la Chiesa la consiglia.

6. Non basta però la confessione per debellare questo peccato.
Una certa tensione interiore si scarica in maniera positiva attraverso la preghiera, soprattutto col Santo Rosario. La presenza di Maria porta sempre serenità.
La masturbazione potrà scaricare lì per lì una certa tensione, ma poi fa star male e si è insoddisfatti.
La preghiera invece non ha alcun effetto negativo.
Impegnati a chiedere il dono della purezza a Maria, recitando ogni giorno il Santo Rosario perché ti dia forza, ti liberi da questo vizio e ti renda in tutto gradito al Signore.
Chissà che il Signore non abbia permesso questa debolezza perché tu ti impegnassi verso traguardi più alti?

7. A proposito della Confessione: mantieni la frequenza settimanale e vai sempre dal medesimo confessore.

8. Affermi che “è molto difficile resistere, come è difficile anche stare con una ragazza di cui sei innamorato e non fare sesso fino al matrimonio, è difficilissimo”.
Se uno vive in grazia ed evita le occasioni prossime di peccato, è molto meno difficile di quanto non si pensi.
Circa poi il fare sesso (bruttissima espressione!) prima del matrimonio: dipende dai valori che una persona ha in testa e dal modo in cui si impegna a viverli.
Molti purtroppo prima del matrimonio si limitano a fare sesso. Ma bisogna dire che qui c’è poco amore puro (per essere benevoli).
Proprio per questo tante esperienze di coppia finiscono miseramente prima del matrimonio, dopo aver fatto tanto sesso. Ciò significa che di amore puro ce n’era poco. Perché se si fosse trattato di amore vero, questi atti l’avrebbero accresciuto e non spento.
Come è bella invece la purezza che il magistero della Chiesa definisce come “energia spirituale che libera l’amore dall’egoismo e dall’aggressività”!

9. Infine concludi: “Come trovo una ragazza al giorno d’oggi che non abbia mai pensato di fare l’amore SOLO dopo il matrimonio?”.
Che le ragazze e anche i ragazzi pensino talvolta di fare l’amore prima del matrimonio non mi scandalizza. Si tratta di pensieri e di tentazioni. Tutti ne possono avere.
Ma non è vero che oggi non vi siano ragazzi e ragazze che arrivano al matrimonio come vuole il Signore.
Ne ho testimonianza diretta dall’esperienza pastorale, da ragazzi e ragazze di cui celebro il matrimonio e anche dalla testimonianza di molti proprio in questo nostro sito.
Mi auguro che anche tu sia tra questi.
Se i tuoi intendimenti sono puliti, il Signore ti farà trovare prima o poi la ragazza pulita, che finora non ha contaminato il proprio corpo e il proprio affetto.

Anche per questo tuo futuro ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.

GenghisKhan
31-10-17, 20:34
Mamma mia il wot

Numero_6
31-10-17, 23:23
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Conte Zero
31-10-17, 23:57
La sodomia spacca, senza se e senza ma.

ZTL
01-11-17, 00:04
HO COMMESSO ATTI IMPURI (AKA EDGING PER UN'ORA)

von right
01-11-17, 00:11
Corcazzocheleggotutto è peccato grave?

Moloch
01-11-17, 09:50
ARTICOLO III.
Della Bestialità.
La bestialità è l'unione carnale con un essere che non è della specie umana. Così S. Tommaso. Esso è un gravissimo peccato, secondo il Levit. 20, 15 e 16, che dice: «Chiunque si accoppierà carnalmente con un giumento o con una pecora, sarà punito colla morte: sarà uccisa eziandio la bestia. La donna che si sarà accoppiata con un giumento, muoia con esso. Che il loro sangue ricada sul loro capo.»
Questo nefando delitto, essendo, secondo le regole della ragione, assai più esiziale di quanti altri sono peccati contro la castità, è reputato gravissimo ed è da tutti abborrito. Un tempo le leggi civili condannavano alle fiamme assieme alla bestia colui che non si vergognava di perpetrare tanta nequizia. Oggi, il colpevole di questo o di consimile delitto, perpetrato in pubblico, verrebbe condannato alla pena del carcere e ad una multa pecuniaria.
La diversa specie e il diverso sesso degli animali non mutano la natura del peccato, imperocchè la malvagità di esso risiede nel disordine contro natura. Non è quindi necessario enunciare in confessione la specie, il sesso o altre qualità della bestia, ma soltanto se il delitto fu consumato colla effusione del seme, ovvero se fu solo tentato. In qualunque modo, è questo, nella nostra diocesi, un caso riservato.
Tutti i teologi parlano dell'unione con il Demonio in forma d'uomo, di donna o di animale, ovvero raffigurato semplicemente nella immaginazione, e dicono essere consimile tale peccato al peccato della bestialità, e siccome esso implica una malizia particolare, deve questa essere confessata; la malizia è qui una superstizione consistente in un patto con il Demonio. In questa nefandezza rinvengonsi necessariamente due specie di malizia, una contro la castità, l'altra contro la religione. E' chiaro poi, che se un atto sodomitico si compie col Demonio sotto la forma apparente d'uomo, è questa una terza specie dello stesso peccato. Se il Demonio si presenta sotto l'aspetto d'una consanguinea o di una donna maritata, vi ha incesto o adulterio; se invece sotto l'aspetto di un animale, vi ha bestialità.
L'orrore che ispira un fatto incredibile, quale è quello del congiungimento carnale col cadavere di una donna, ci costringe a chiedere in quale categoria di peccati si deve porre tale congiungimento.
Alcuni vogliono riporlo fra i peccati di bestialità, altri fra quelli di fornicazione, ed altri finalmente fra i peccati di polluzione. E' tanto orribile questo delitto che, messa in disparte la questione speculativa, a noi sembra chiaro che la circostanza della donna morta devesi necessariamente dichiarare in confessione, come devesi dichiarare se questa donna, in vita, era una consanguinea, un'affine, una donna maritata, o una professante voto religioso.

- - - Aggiornato - - -

:marmist:

Valido e non in uso
01-11-17, 10:05
"trattandoli d'altra parte con soverchia indulgenza, potrebbero addormentarsi placidamente nel fango di cotesto vizio"

ecco.

Moloch
01-11-17, 10:07
CAPO IV.

Dei peccatori di lussuria non consumata.


E' lussuria non consumata quella che non va fino alla emissione dell'umore seminale. E' lussuria non consumata: i pensieri voluttuosi; i baci, i contatti e gli sguardi impudichi; gli abbigliamenti femminili, le pitture e le sculture che sono indecenti; i discorsi e i libri osceni; le danze, i balli e gli spettacoli.
Di queste cose tratteremo brevemente dal punto di vista pratico.

ARTICOLO I.
Diletti voluttuosi del pensiero.
Sotto questo titolo comprendonsi tutti i pensieri cattivi in fatto di lussuria, cioè, desiderî, compiacenze e voluttà della immaginazione.
Il desiderio lussurioso è un atto della volontà che accenna ad un'azione cattiva, per esempio, alla fornicazione, o che cerca veramente di compierla, e allora il desiderio si chiama efficace. Il desiderio è invece inefficace quando, pensando al conseguimento di una data cosa, si dice fra sè, per esempio: «Io vorrei fornicare con quella tal persona», sapendo che ciò è impossibile. Il desiderio dunque riguarda sempre il futuro.
La compiacenza lussuriosa al contrario riguarda sempre il passato, ed è la soddisfazione nel ricordare una cattiva azione, come, per esempio, il compiacersi ricordando cattivi discorsi o un congiungimento carnale. Della stessa specie è il rincrescimento di non aver fatto, in una data occasione, una cosa cattiva, per esempio, sedotta una ragazza, allorchè si viene a sapere che sarebbe stato facile il sedurla.
La voluttà immaginativa[8] (pensieri voluttuosi è il libero compiacimento in una cosa cattiva che il pensiero s'immagina reale, senza però che vi sia il desiderio di effettuarla; per esempio, allorchè colla immaginazione si finge di fornicare; e senza aver l'intenzione di compiere realmente l'atto, ci compiaciamo, con libero assenso, nella sua apparente illusione.
[8] Il testo latino ha delectatio morosa, che, essendo un termine tecnico della Teologia morale, si suole anche tradurre in italiano letteralmente colle parole dilettazione morosa. Noi in testa al presente articolo, lo traducemmo colle parole: Diletti voluttuosi del pensiero.
Questa dilettazione dicesi morosa[9], non per la durata reale del compiacimento, poichè basta un unico istante per consumare internamente ll peccato, ma perchè il pensiero si sofferma e riposa su qualla idea, che si sa essere peccato.
[9] Da mora che vuoi dire indugio: da ciò, il termine legale, essere in mora. (Nota del traduttore).
Ciò detto:
1. E' certo che il desiderio d'una cosa cattiva é peccato della stessa indole e della stessa specie della cosa che si desidera, perchè la volontà è la sede del peccato; e dove esiste desiderio di conseguire una cosa cattiva, la volontà è piena.
Da ció consegue che questo peccato si specifica considerandone l'oggetto. Le qualità dell'oggetto dasiderato e le sue circostanze che mutano la specie del peccato, o lo aggravano senza mutarnè la specie, devonsi dichiarare in confessione; per esempio, l'aver desiderato una consanguinea o una affine è una circostanza da dichiararsi unitamente al grado della consanguineità o della affinità, ancorchè, per un'astrazìone dèlla mente, si sia desiderato l'abbracciamento carnale senza badare al vincolo dl consanguineità o di affinità, imperocchè la malizia dell'incesto non può essere, per astrazione, separata dall'oggetto ma la cosa sarebbe altrimenti, se il penitente ignorasse la circostanza della consanguineità o dell'affinità.
Non basta dunque che il penitente dica in generale d'aver avuto cattivi desideri, d'aver desiderato cose impure: egli deve specificare ciò che ha desiderato, cioè se desiderò l'accoppiamento carnale, o dei semplici contatti o il solo atto di guardare, con una persona in genere, e di qual sesso, ovvero, se con una determinata persona, libera, o in qualche modo vincolata, ecc.
2. Non è meno certo che il libero compiacimento della volontà sopra un atto di lussuria di già avvenuto, implica la malizia contenuta nell'atto stesso, imperocchè la volontà abbraccia l'intero oggetto rivestito di tutte le sue circoetanze, e perciò si presenta rivestita di tutta la malizia. Dicasi lo stesso,—ed è evidente,—se alcuno si duole di non aver fatto cosa cattiva in un'occasione passata.
3. È egualmente certo essere peccato mortale il libero compiacersi della mente in una cosa venerea che la immaginazione si figura come reale. In questo caso, la cosa è mortalmente cattiva. e quegli che con libero consenso aderisce ad essa, per esempio, figurandosi di fornicare realmente contraviene per ciò stesso alla legge di Dio.
Nel libro Della Sap., l. 3. leggesi: «I pensieri cattivi separavo da Dio;» e nei Proverbii, 4, 23: «Poni ogni cura a conservare intatto il tuo cuore.»
Molti autori dicono che la dilettazione morosa non si qualifica per l'oggstto esteriore, ma per l'oggetto raffigurato nella mente; ed in ciò differisce dal desiderio. La ragione di questa differenza è, che il desiderio mira l'oggetto reale e trae con sè necessariamente tutte le note malizie ad esso inerenti, indipendentemente da qualsiasi particolare astrazione, mentre la semplice dilettazione risiede nel semplice oggetto immaginato. Perciò, quegli che volontariamente si diletta nel pensiero dell'abbracciamento carnale con una donna maritata, consanguinea, affine, o monaca considerandola però semplicemente come femmina, e non altro, probabilmente non cade nella peccaminosità dell'adulterio, dell'incesto o del sacrilegio. Così C. De Luogo, Bonacina, Layman ed altri non pochi citati da S. Liquori, l, 5 n. 15, il quale dice essere questa opinione assai probabile. Ciononpertanto, molti altri asseriscono essere più probabile l'opinione opposta, imperocchè ad essi non sembra fondata l'esposta differenza fra il desiderio e la semplice dilettazione, e dicono che questa, come quello, abbraccia tutto l'oggetto non ostante le astrazioni che può aver fatto la mente. Così S. Antonino, Cajetanos, Lessius, Sanchez Suarez, Sylvius, P. Antoine, Collet, Dens, ecc.
Entrambe le opinioni sona probabili, la seconda o è più sicura, ma è spesso difficile ottenere dai penitentl la confessione delle circostanze annesse all'oggetto pensato; allora i confessori prudenti, appoggiati alla prima opinione, devono astenersi da importune domande.
4. Quegli che s'avvede di dilettarsi in una cosa venerea, presente alla sua immaginaz.one, e la tollera con indifferenza, probabilmente pecca mortalmente, abbenchè non provi movimenti disordinati, imperocchè aderisce in un certo modo alla cosa cattiva, o almeno si espone al grave pericolo di aderirvi. Tale è, pratica, l'opinione di tutti i teologi.
5. Giova notare la rilevante differenza che corre fra il pensiero di una cosa cattiva e la dilettazione in una cosa cattiva. Ci spiegheremo con un paragone: quegli che volontariamente si diletta, si compiace d'un omicidio che a sua immaginazione gli presenta come affettivo, certo pecca mortalmente. Ma quegli che semplicemente pensa o parla d'un omicidio perpetrato o da perpetrarsi da altri non pecca perciò. Dicasi lo stesso circa le cose impudiche: la semplice idea di questo o quel piacere impudico, non è peccato in sè, come non è peccato il riflettere ad esso; il ricordarlo, prevederlo. Se fosse altrimenti, i medici, i teologi, i eonfessori, i predicatori, che su questa materia studiano o scrivono, parlano o discutono, necessarimente peccherebbero: il che nessuno ammette.
Vi ha però questa differenza fra il pensiero d'un omicidio o d'altra consimile cosa cattiva e il pensiero d'una cosa impudica, che, cioè, quest'ultimo è sempre pericoloso in causa della nostra naturale concupiscenza; non è così dell'altro, perchè in noi non esiste una naturale propensione verso di esso. Per ciò, è peccato veniale, o mortale secondo il pericolo, l'immaginare cose oscene, a meno che ciò non sia scusato da qualche fine onesto.
È ancora da notarsi la differenza che corre tra il sentire la dilettazione, e lo acconsentire ad essa. Il sentire è spesso una necessità, e può essere quindi non peccaminoso, ma l'acconsentire dipende sempre dalla volontà. Una cosa è ben diversa dall'altra.
Molti, confondendo assieme senso o consenso, pensiero d'una cosa cattiva e dilettazione in una cosa cattiva, disordinano le loro idee e tormentansi cogli scrupoli. Essi devono su ciò istruirsi ben bene, affine di togliersi dalle tenebre della confusione e dalle ambascie.
Quegli che prediligono sinceramente la castità posson star certi ch'essi non hanno acconsentito a moto alcuno di concupiscenza ogniqualvolta la loro mente vi si arrestò soltanto nella confusione delle idee o nella incertezza, imperocchè se vi avessero veramente acconsentito, avrebbero avvertito in se stessi un cambiamento di proposito e l'avrebbero ritenuto nella memoria.
Quegli invece che hanno la perniciosa consuetudine di abbandonarsi alla libidine, ove dubitino di avere o no acconsentito ad essa, devono persuadersi di avervi acconsentito perchè se si fossero opposti alla loro inclinazione naturale, avrebbero presenti alla memoria gli sforzi fatti; e siccome i peccati di lussuria moltiplicansi straordinariamente in breve tempo, possono ragionevolmente dire col profeta penitente: «Le mie iniquità sono diventate padrone di me.... esse sono più numerose dei capegli della mia testa». Solm. 39, 13.
Si domanda se sia permessa ai fidanzati e ai vedovi di dilettarsi nel pensiero degli abbracciamenti carnali futuri, o passati.
R. 1. I fidanzati e i vedovi non peccano pensando al diletto annesso agli abbracciamenti, nè prevedendolo nel futuro, nè rammemorandolo come cosa passata, imperocchè è evidente che questo pensiero non è la vera dilettatazione in una cosa venerea. Se c'è peccato, esso sta nel pericolo di commetterlo, andando più oltre: e il pericolo c'è sempre.
R. 2. Se i fidanzati o i vedovi acconsentano alla dilettazione carnale, che sorge prevedendo il futuro accoppiamento, o rammentando gli accoppiamenti passati, peccano mortalmente, imperocchè si figurino il congiungimento venereo come effettivo e vi si dilettano volontariamente. Ora, l'atto carnale raffigurato come reale è, per essi che non sono coniugi, una fornicazione.
R. 3. Il conjuge che si diletta, in assensa dell'altro coniuge, figurandosi l'atto matrimoniale come effettivo, probabilmente pecca mortalmente, in ispecial modo se i suoi spiriti genitali si commovono grandemente, non già perchè acconsenta ad una cosa in sè stessa proibita, ma perchè si espone per solito al grave pericolo della polluzione. Se poi egli si compiace liberamente nel pensiero dell'accoppiamento futuro o passato, senza incorrere nel pericolo della polluzione, molti teologi dicono ch'esso pecca soltanto venialmente. Così Sanchez, Bonacina, Lessïus, Cajetano, La Croix, Suarez, S. Liquori.
Molti altri sostengono, moralmente parlando, che vi ha sempre peccato mortale, tanto pel pericolo, quanto per la disordinata commozione degli spiriti genitali, che non può essere qui connestata da fine legittima. Così Navarrus, Azor, Vasquez, Layman, Nenno, P. Antoine, Collet, ecc.
Devonsi redarguire quindi i conjugi che così si dilettano, ed esortarli ad abbracciare il partito più sicuro. Non si devono però trattare con troppa severità, nè importunarli con domande odiose.

Zhuge
01-11-17, 10:54
>tratteremo brevemente
>wottone

seems legit :sisi:

Moloch
01-11-17, 11:02
ed era solo l'articolo 1 :sisi:

- - - Aggiornato - - -

ARTICOLO II.
Dei baci, dei toccameti, degli sguardi
impudichi e dell'abbigliamento delle donne. E' da notarsi innanzi tutto che qui non si tratta dei baci, dei toccamenti, ecc., ecc., fra conjugi, ma soltanto fra persone libere: dei conjugi parleremo altrove.

§ I.
Dei baci.
I. I baci in parti oneste, come sulla mano o sulla guancia non sono, per indole loro, cose cattive, ancorchè fra persone di diverso sesso. Questa è la costante opinione degli uomini, comprovata dalla pratica universale.
Da ciò: 1° I baci che solitamente si danno tra fanciulli, incapaci di libidini, non implicano male alcuno; 2° I baci delle madri, delle nutrici, ecc., ch'esse danno ai loro fanciulli o ai fanciulli a loro affidati non si imputano a peccato; 3° Egualmente dei baci che, almeno ordinariamente, altre persone danno a fanciulli di tenera età, sieno maschi o femmine.
II. I baci, ancorchè onesti, dati o ricevuti per motivo di libidine, fra persone dello stesso sesso o di sesso diverso, sono peccati mortali.
I baci in parti inusitate del corpo, per esempio, sul petto, sulle mammelle; o, come usano i colombi, introducendo la lingua nella altrui bocca, stimansi fatti con intendimenti libidinosi, o almeno inducono nel grave pericolo della libidine, e perciò non vanno esenti da peccato mortale.
III. E' certo che i baci, anche se onesti, che inducono nel prossimo pericolo di polluzione o di veementi commozioni di libidine, sono da reputarsi peccati mortali, a meno che non esista una grave ragione per darli ad altri o per permetterli sopra sè stesso, imperocchè l'esporsi a quel pericolo, senza necessità, è peccato mortale.
IV. Al contrario, è certo che gli onesti baci, soliti a darsi, senza morale pericolo di libidine, in segno di urbanità, di benevolenza, d'amicizia, per esempio, partendo o ritornando, non sono in modo alcuno peccati: così si pensa dovunque.
Egualmente non si può dire pei religiosi o pei monaci, nè pei preti secolari, i quali non possono ordinariamente scambiar baci con persone di sesso diverso senza una certa tal quale indecenza e senza generare scandalo ed offendere la religione.
V. I baci in sè stessi onesti, fatti come comporta l'uso comune, ma per leggerezza o per giuoco, senza grave pericolo di libidine, non sono più di un peccato veniale: essendo supposti onesti, non possono essere cosa cattiva: la loro peccaminosità sta in ragione del pericolo di libidine, ma nel caso nostro si suppone che questo pericolo sia pressochè nullo.
Da ciò consegue:
1. Quegli che chiede in matrimonio una giovane e che, per esempio, alla partenza e all'arrivo, l'abbraccia onestamente, senza pericolo di emozioni libidinose, o almeno senza pericolo di acconsentirvi, non si può accusare di peccato mortale. E molto meno pecca quegli che ha una ragione per coonestare questo atto, per esempio, il timore fondato di apparire troppo scrupoloso o strano, o di essere deriso o di diventare il ludibrio d'altri.
2. Per questa ragione è scusata quella ragazza che non può esimersi da onesti amplessi senza esporsi alla derisione o senza spiacere al giovane che la chiede in isposa.
3. Non devono essere troppo facilmente accusati di grave peccato i giovani d'ambo i sessi, che in certi giuochi si abbracciano vicendevolmente con decenza e senza pravo intendimento: si devono però prudentemente stornare da questo genere di giuochi, per il pericolo che sovente vi è annesso: ma importa alla loro salvezza di non incolparli, così alla leggera, di peccato mortale.

§ II.
Dei toccamenti impudichi.
1. Io qui alludo al toccare sè stessi o altri con intendimenti libidinosi: in questo caso c'è peccato mortale.
2. Se questi contatti avvengono per pura necessità, per esempio, per curare delle infermità non sono in modo alcuno peccati, benchè commovano gli spiriti genitali, o eccitino polluzione, semprechè non vi sia il consenso della volontà; ciò è chiarito da quanto si è detto circa la polluzione.
3. Se, all'infuori d'una legittima causa, toccansi in modo veramente lascivo altre persone dell'uno o dell'altro sesso, non si va esenti da peccato mortale, in forza dell'evidente pericolo di emozioni veneree e di polluzione, in cui s'incorre.
Così devonsi giudicare i toccamenti sulle parti genitali o intorno ad esse; egualmente, se si pone la mano, voluttuosamente, sulle mammelle d'una donna, ancorchè siano coperte dalla veste, perchè, per simpatia, esiste grave pericolo di emozione venerea e di polluzione. Se poi toccansi soltanto leggermente le vesti d'una donna, credesi non vi sia peccato mortale, imperochè cotesto atto non è tale da svegliare direttamente la lussuria.
La Croix, l. 3, n. 902, crede probabile che non commettano peccato mortale le fantesche che toccano le parti genitali dei fanciulli vestendoli, a meno che esse non facciano ciò con deliberato diletto. Non penso però che si possano scusare se fanno ciò senza necessità, perchè qui vi ha pericolo per se stesse e pericolo pei fanciuli, che cominciano a diventar grandicelli, e specialmente se sono maschi. Sorveglino i genitori con somma cura le fantesche di perduti costumi, le quali spesso insegnano malizie ai teneri fanciulli.
4. Non v'ha dubbio che mortalmente peccherebbe quella donna che anche senza passione di libidine, permettesse che la si toccasse nelle parti genitali, o vicino ad esse, o nelle mammelle, imperocchè evidentemente si esporrebbe a pericolo venereo e certo prenderebbe parte alla libidine altrui è perciò tenuta a respingere subito chi la tocca, rimproverarlo, percuoterlo, allontanare con forza le di lui mani, fuggire, o gridare se potesse mai aver speranza di soccorso.—Billuart, t. 31, p. 478.
5. Il dilettarsi toccando SENZA RAGIONE, le parti veneree è peccato veniale o mortale a seconda del pericolo che si corre soffermandosi in questo atto: il pericolo non è euguale per tutti: molti si commovono anche per un leggerissimo fatto sensuale e corrono il pericolo prossimo d'una polluzione; altri invece sembrano di legno e sasso, e non sono perciò obbligati ad avere tante precauzioni come coloro che sono sensibilissimi ai piaceri venerei.
Dissi senza ragione, imperocchè non sono peccaminosi questi toccamenti se si compiono per un motivo ragionevole e senza prava intenzione, per esempio, per pulirsi o per calmare un pizzicore.
Ben più, purchè non v'abbia pericolo di consenso, è lecito toccare se stesso, anche prevedendo commozione venerea o polluzione, d'altronde involontaria, se esiste un grave motivo, per esempio, per curare un'infermità, o, a detta di molti, per calmare un intollerabile prurito, come sovente avviene alle donne. Vedi S. Liguori, l. 3. n. 419.
6. Non si reputano peccati mortali i contatti fatti, per leggerezza o giuocando, sulle parti genitali d'altra persona dell'uno e dell'altro sesso, senza che vi sia grave pericolo, di libidine; qui tutta la malizia risiede nel pericolo, e noi supponiamo che in questo caso il pericolo sia leggiero. Perciò, lo stringere la mano d'una donna, premere le sue dita, toccarle leggermente il collo o le spalle, porre il piede sopra il suo piede, ecc. non è peccato mortale, a meno che, a motivo della personale gracilità dell'uno o dell'altra, non esista grave pericolo di libidine.
Al contrario, il giovine che fa sedere una ragazza sulle sue ginocchia e ve la trattiene, o abbracciandola la preme su se stesso ordinariamente commette peccato mortale, e la donna non va immune dallo stesso peccato, se volontariamente a tutto ciò acconsente.
L'esperienza prova abbastanza che atti di questo genere, anche fra persone del medesimo sesso, generano sovente il grave pericolo di abbandonarsi a cose oscene: cotesti atti devono quindi essere fuggiti o prevenuti; e non devono con facilità essere considerati come peccati non mortali, specialmente quando provengono da passione sensuale.
Questi e consimili atti non sono peccati mortali fra impuberi, perchè non v'ha in essi pericolo di Polluzione. Pure devonsi i giovani tener prudentemente lontani da questo genere di spassi, perchè non è mai troppo presto ch'essi apprenderanno le regole della decenza, e in questa materia é bene sieno cautamente messi in condizione di non commettere neanche dei peccati veniali.
7. Il toccare libidinosamente le parti genitali dei bruti è peccato mortale che appartiene alla bestialità: è pure peccato mortale il palpeggiarle per curiosità, per giuoco, per leggerezza fino a farne versare l'umore spermatico, e ciò non tanto per la dispersione del seme della bestia, quanto perchè tale azione eccita violentemente la libidine in chi tocca la bestia stessa. Così S. Liguori, l, 3, n. 420. Collet, Billuart, e molti altri, contro Diana e Sanchez, il quale ultimo ha poscia modificato la sua opinione.
Secondo La Croix, Sanchez, e S. Liguori non sarebbe peccato mortale il toccar le parti genitali d'una bestia senza intenzioni libidinose, sempre che non avvenga perdita di seme; Concina, Collet, e Billuart, ecc. affermano l'opposto e sostengono che questa azione è gravemente pericolosa.
Colui dunque che predilige la castità deve astenersi da questi atti; e i confessori devono comportarsi con molta prudenza verso coloro che peccano su questa materia, affine di non conturbarli senza frutto o con pericolo.
Quelli che sono da necessità obligati ad aiutare nei loro accoppiamenti gli animali domestici, come i cavalli, i tori e i porci, non peccano, benchè sorgano in essi dei movimenti libidinosi, ai quali però essi non acconsentano. E' questa opinione universale.

§ III.
Degli sguardi impudichi.
L'esperienza dimostra che la vista influisce meno sulla lussuria che il tatto: nullameno non si può negare essere gli sguardi impudichi spessissimo un peccato mortale o veniale secondo l'intenzione, il consenso, o il pericolo:
1. E' certo—ed è evidente—che certi sguardi, benchè in se stessi onesti, sono peccati mortali quando avvengono accompagnati da prava intenzione.
2. Sarà pure un peccato mortale se il guardare impudico eccita i moti della cuncupiscenza e si presta ad essi assenso.
III. Se, senza necessità o una rilevante utilità, guardansi deliberatamente le parti veneree o le parti ad esse vicine d'una persona più grande, di sesso diverso, anche senza passione libidinosa, si pecca mortalmente, imperciocchè questi sguardi eccitano moralmente i movimenti lussuriosi ed anche la polluzione.
Ho detto: 1. deliberatamente, perchè il cadere dello sguardo sulle parti vergognose d'una persona d'altro sesso, leggermente e per caso senza bravo intendimento, non è peccato mortale.
Ho detto: 2. d'una persona più grande perchè lo sguardo sopra fanciulli non eccita la libidine, e non è perciò peccato mortale. Donde le fantesche e le nutrici che così guardano i fanciulli ad esse affidati, non peccano mortalmente, almeno che non lo facciano con compiacenza, o con senso di libidine, o con proprio pericolo.
Similmente gli impuberi che scambievolmente guardansi nudi non peccano mortalmente, perchè non sono essi ancora capaci di libidine; diversamente però dovrebbe dirsi, se essi si esponessero a grave pericolo.
IV. Quegli che si compiace rimirando le proprie parti veneree, pecca mortalmente, perchè è impossibile che non provengano da ciò dei movimenti di libidine: la cosa sarebbe diversa, se si guardasse per mera curiosità e leggermente, ed in special modo se ci fosse luogo a presumere che non si è incorsi in grave pericolo. Se poi ci fosse una necessità od una utilità a far ciò, purchè sia escluso qualsiasi pericolo di libidine, non ci sarebbe peccato alcuno.
E' peccato mortale il dilettarsi guardando le mammelle nude d'una donna avvenente, perchè è insito in questi sguardi un pericolo. Ma non peccano coloro che, senza incorrere in uno speciale pericolo, vedono le madri e le nutrici nell'atto di allattare i loro bambini. Ciò non pertanto, codeste donne devono prudentemente tenersi nascoste per non dare incautamente uno scandalo ad altri e specialmente a giovani.
V. E' spesso grave peccato il fissare gli occhi sopra una bella persona d'altro sesso, perchè una tale attenzione è piena di pericoli: cionondimeno, se, tutto esaminato, il pericolo non sia grave, e manchi l'intenzione lasciva, il peccato non è che veniale.
Non è necessario perciò di camminare ad occhi bassi e di non guardare nessuno bisogna saper tenere, naturalmente e senza sforzo alcuno, una via di mezzo.
VI. Quegli che, senza emozioni lascive e senza attenzione voluttuosa, guarda d'una donna qualche parte nuda ma onesta, per esempio, i piedi, le gambe, le braccia, il collo, le spalle, senza che vi sia uno speciale pericolo, non pecca mortalmente imperocchè tali sguardi, di solito, non eccitano gravemente la lussuria, in ispecial modo se è usanza comune il tener nude quelle parti, come avviene fra le persone d'ambo i sessi che d'estate lavorano assieme nei campi. Così Sylvios, Billuart, S. Liguori, ecc.
VII. Il gettare gli occhi, per curiosità o per leggerezza, sulle parti genitali di persona del medesimo sesso, come avviene fra uomini nuotatori o donne che insieme si lavano, credesi non sia peccato, a meno che non esista un intendimento libidinoso o uno speciale pericolo, imperocchè in quel modo di guardare non c'è grave eccitamento di sensi. E' chiaro che deve dirsi ll contrario se invece si guardasse con un certo compiacimento voluttuoso del pensiero. Così dicono i citati autori.
I nuotatori e i bagnanti però provvedano di non esporsi nudi agli occhi altrui e specialmente a persone di sesso diverso, se vogliono conservar rispetto al pudore cristiano. Si lavino solitari e in luoghi appartati, od almeno tengano sempre coperte modestamente le loro parti pudiche.
VIII. Non è peccato mortale il guardare per sola curiosità o per leggerezza le parti genitali dei bruti e il loro accoppiarsi, imperocchè da ciò non sorge grave pericolo.
IX. Dicasi lo stesso del guardare pitture e scolture poco decenti, che non turbano gravemente lo spirito, come sono le immagini o le scolture d'angeli o fanciulli nudi o quasi nudi che stanno esposte nei tempii cristiani. Ma i Dottori accusano di peccato mortale coloro che dilettansi guardando quadri o statue che presentano completamente nude le parti vergognose di persone d'altro sesso e più adulte, a meno che essi non sieno tutelati contro il pericolo dell'età fanciullesca, dalla vecchiaia o da un temperamento insensibile. S. Liguori, l. 3, n. 334, ecc.
E' da notarsi che i baci e i toccamenti si specificano dal loro oggetto, e perciò, quando sono peccati mortali, devonsi confessare le circostanze di persona. Non così pensano gli Autori se si tratta di sguardi; molti però intendono di specificarli anch'essi secondo il loro oggetto; per ciò, la cosa più sicura è quella di rivelar sempre tutte queste circostanze. Chi oserebbe affermare, per esempio, che non si debba confessare la circostanza di un figlio che guarda libidinosamente le parti genitali della madre, ovvero desidera di guardarle?

§ IV.
Dell'abbigliamento delle donne.
Dell'abbigliamento della donne trattano S. Tomaso; in 2, 2, q. 169, art. 2, Sylvius, t. 3, p. 871, Pontas, Collet, Billuart, ecc.
E' da notarsi che quest'argomento può essere considerato sotto quattro aspetti, cioè:
1. Proteggere il corpo contro le ingiurie dell'atmosfera;
2. Coprire le parti pudibonde della natura;
3. Conservare, a seconda dei costumi del paese nativo, la decenza del proprio stato;
4. Accrescere l'avvenenza e piacere ad altri.
Il 1° e il 2° sono necessari; il 3° è conveniente e lecito, imperocchè la ragione stessa approva che ciascuno conservi sempre, secondo gli usi della sua patria, la decenza del proprio stato.
Parleremo dunque dell'abbigliamento del senso come al n. 4°, e ci occuperemo specialmente dell'abbigliamento delle donne, perchè le donne sono sempre molto più degli uomini proclive verso questo genere di peccati e perchè attirando colla loro toeletta gli sguardi degli uomini, offrono ad essi occasione di spirituale rovina. Per conseguenza:
1. Una donna maritata può decentemente adornarsi colla intenzione di piacere a suo marito; lo dice S. Paolo, I, ai Corint. 7, 34, con queste parole: «La donna maritata pensi alle cose di questo mondo e a piacere a suo marito» e con queste altre. I, a Timot. 2, 9: «Le donne devono ornare il loro abbigliamento con verecondia e con sobrietà.»
Perciò possono adornarsi decentemente, a seconda del proprio stato, per piacere ai loro mariti.
2. La ragazza o la vedova che, giusta la sua condizione, si adorna con decenza per piacere castamente e per provare uno sposo, non pecca, imperocchè il matrimonio è in sè stesso lecito: essa può quindi far uso di quanto è necessario per fare un matrimonio conveniente.
3. Le donne che non hanno marito nè vogliono averlo nè sono in condizione di averlo peccano mortalmente, come dice S. Tomaso, se si adornano colla intenzione di ispirare amore negli uomini, in quanto che, in codesto caso, sarebbe un amore non tendente al matrimonio, e per ciò necessariamente impuro.
A più forte ragione peccherebbero mortalmente le donne che hanno marito, le quali con tali ornamenti volessero ispirare amore in altri uomini.
Se poi così si abbigliano per leggerezza o per vanità o per parata, generalmente non peccano mortalmente, ma solo venialmente. Così S. Tomaso, Sylvius e molti altri.
4. Lo imbellettarsi per nascondere qualche difetto naturale, per piacere al marito, al fidanzato o ad un giovane col quale la donna amoreggia, non è peccato, giusta San Tomaso, S. Francesco di Sales, Sylvius. S. Liguori, ecc.; ma è peccato mortale se lo si fa per piacere agli uomini senza tendere a leggittimo matrimonio: anche i S. Padri dichiarano ciò grave peccato. E' peccato veniale IN SÉ, quando non ci sia che vanità. Così S: Tomaso 2, 2, q. 169, art. 2, contrariamente al suo seguace Tournely, t. 6. p. 304, e a molti altri teologi.
Dissi peccato veniale in sè, perchè potrebbe darsi diventasse peccato mortale a cagione del pericolo, dello scandalo o di altre circostanze annesse.
5. L'adornarsi con capelli altrui, come si usa adornarsi colla lana, col lino, colle pelli degli animali, non è peccato, dice Sylvius, od è soltanto veniale se questo abbigliamento e, relativamente al proprio stato, superfluo o vanitoso. Per lo stesso motivo non è peccato o è peccato soltanto veniale l'andare a faccia scoperta e l'arricciarsi i capelli. Egualmente, se cotesta foggia d'abbigliarsi, quantunque fosse nella comune usanza, pure la si adottasse con cattive intenzioni ed è in questo senso che devono essere interpetrate le parole di S. Paolo, I a Timot, 2, 9: «Non capelli arricciati, od ornati d'oro o di margherite, non vesti preziose» e le altre di S. Pietro, I Epist. 3, 3.
6. E' evidente peccato mortale l'indossare le vesti di un altro sesso con intenzioni lascive, o con grave pericolo di lussuria, o con notevole scandalo: ma non è peccato se, escluso ogni scandalo e pericolo, si indossano per necessità, verbigrazia, per occultarsi, o perchè non si hanno altri vestimenti. Se invece s'indossano per gioco o per sola leggerezza, escluso scandalo e pericolo, è soltanto un peccato veniale. Così Sylvius, interpretando S. Tomaso, dice che il precetto del Deut. 22, 5: «non indossi la donna abiti mascolini nè l'uomo vesti femminee, imperocchè tal cosa è abbominevole in faccia a Dio» è in parte positivo, e per questa ragione obbligava sotto pena di peccato mortale gli israeliti; ma la nuova legge lo abrogò: ed è in parte naturale e sotto questo rispetto obbliga ancora, secondo le circostanze, sotto pena di peccato mortale o veniale.
7. Per la stessa ragione devesi dire che coloro i quali fanno uso di maschere non peccano sempre mortalmente, p. e. se ciò fanno per spasso o per leggerezza, escluso ogni pericolo ed ogni scandalo, specialmente poi quando non indossano vesti dell'altro sesso, ma soltanto quelle d'una altra condizione sociale, come se un servo vestisse gli abiti da padrone, o una domestica figurasse collo abbigliamento di signora. Questa opinione è però contradetta da Pontas e da Collet.
Raramente vanno immuni da peccato mortale quelli che usano strane e singolari vesti o maschere in publici ritrovi, e ciò in causa della indecenza, del pericolo e dello scandalo che provocano. Egualmente dicasi di coloro che fanno professione di comporre e vendere tali vesti e maschere destinate ai soli travestimenti. Ma non è così di coloro che divertonsi guardando i mascherati, a meno che essi stessi non diano, sotto qualche aspetto, uno scandalo come se fossero, per esempio, preti.
8. Mettere a nudo le poppe e coprirle con una veste così fina che esse traspaiano, è peccato mortale, imperocchè è questo un grave incentivo alla libidine; così Sylvius, t. 3. p. 872. Il denudare però moderatamente il seno, conforme a consuetudini ammesse, e senza che ci sia mala intenzione e pericolo, non è peccato mortale. Così S. Antonio, Sylvius, S. Liguori, l. 2, n. 55, ecc.
A più forte ragione, non è di sua natura grave peccato snudare le braccia, il collo e le spalle secondo le usanze del proprio paese, ovvero leggermente coprirli. Ma però, a detta dei citati Autori, ritiensi che pecchino mortalmente coloro che introducono quelle usanze.

Zhuge
01-11-17, 11:09
Cruciani, se ci leggi, hai di che parlare per i prossimi 15 giorni :asd:

Moloch
01-11-17, 11:22
20


ARTICOLO III.
Dei Turpiloqui, dei Libri osceni, delle
Danze o dei Balli e degli Spettacoli.

§ I.
Dei Turpiloquii.
1. Il discorrere intorno a cose oscene non è IN SÈ assolutamente un male, e lo prova l'esempio dei medici, dei teologi, dei confessori, ecc. che possono parlare di queste cose senza peccare.
2. Sono peccati mortali, al contrario, tutte le parole oscene ed anche le semplici frase ambigue dette con intenzioni lascive o con volontario diletto carnale, o con grave pericolo di trascinare sè od altri ad acconsentire alla lussuria. Questo peccato s'aggrava in ragione del numero delle persone che ascoltano e alle quali nuoce. La cosa è evidente.
Così, il parlare gravemente osceno, come il nominare le parti vergognose dell'altro sesso, il parlare dell'accoppiamento carnale e dei modi di questo accoppiamento, ancorchè si parli senza piacere voluttuoso, ma per leggerezza affine di eccitare il riso, è reputato peccato mortale, perchè tale linguaggio eccita, di sua natura, movimenti libidinosi, specialmente nelle persone (sia che parlino o che ascoltino) le quali non sono conjugate e sono ancor giovani: e ciò dice pure S. Paolo, I ai Corint., 15, 33: «I cattivi discorsi corrompono i buoni costumi.» Io dissi, persone specialmente non conjugate, per la ragione che certamente i conjugi non si commoverebbero tanto facilmente essendo essi già assuefatti agli atti venerei.
Coloro però che dicono parole oscene in presenza di persone conjugate ma che non sono però coniugati fra loro, è ben difficile che non pecchino mortalmente.
3. Le parole leggermente oscene e le frasi equivoche proferite per vano sollazzo o per ischerzo non sono peccato mortale, a meno che gli astanti non sieno tanto deboli da sentirne il pericolo. Per lo che quegli intercalari meno onesti ehe i mietitori, i vendemmiatori, i mugnaj ed altri operai sogliono proferire, non sono generalmente peccati mortali, imperocchè ordinariemente commovono ben poco e chi li dice e chi li ascolta. Così S. Antonio, Sanchez, Lessius, Bonacina, Sylvius, Billuart, S. Liguori, ecc. Sarebbe a dirsi diversamente, se ci fosse grave pericolo, o si desse scandalo.
4. Quegli che ascoltano cose oscene, o hanno autorità su coloro che le proferiscono, o non l'hanno: se lo hanno, si debbono ad essi opporre per quanto moralmente lo possono; se non l'hanno, sono obbligati ad ammonirli, o almeno a risponder loro col silenzio; specialmente le donne devono procurare di non sembrare che acconsentano a quelle lubricità, imperocchè se vi acconsentissero rinfocolerebbero negli uomini l'ardore libidinoso.
Non si deve però con facilità osseverare che peccano mortalmente coloro che, per ridere, ascoltano turpiloquii che sono peccati mortali in chi li proferisce, imperocchè può essere che il riso sia piuttosto provocato dal modo con cui si dicono quelle cose, che dalle cose in sè stesse: in questo caso, non si pecca mortalmente, a meno che non ne risulti uno scandalo. Ma lo scandalo è facilmente provocato se coloro che, ridendo, ascoltano questi discorsi osceni, sono religiosi, preti, o persone che godono riputazione di virtù cristiana.
6. Quelli che esercitano autorità su altri, e soprattutto i pastori e i confessori, devono diligentemente procurare che gl'inferiori ad essi affidati non contraggano l'abitudine di parlare o di cantare, poco castamente, memori delle seguenti parole di S. Paolo: «Non si parli tra voi di fornicazione.... e d'altre impurità;... siate come santi, e ritenete sconveniente a voi ogni turpitudine, ogni stolta parola, ogni scurilità.» (Ef. 5, 3 e 4).
7. I colliqui affettuosi tra persone di sesso diverso, specialmente se sono lunghi, sovente ripetuti, e tenuti in luoghi appartati, sono occasioni molto pericolose e sintomi che la castità è vicina a far naufragio: devonsi quindi cautamente evitare, benchè sia permesso il non considerarli sempre come peccati mortali.
8. I confessori più giovani devono soprattutto procurare di non mettersi in rapporti troppo sensibili colle fanciulle e colle spose, perchè ciò produce frequentemente perdizione di anime e discredito alla religione: e quando si avvedessero di qualche primo sintomo di disordinata affezione, non temano di rintuzzarla con violenti propositi, e se ciò non basta, confidino le loro penitenti ad altri confessori: altrimenti, esse saranno incautamente perdute, ed assieme ad esse si perderanno pure essi medesimi.
In nome della gloria di Dio e della loro salute eterna noi scongiuriamo tutti i sacerdoti affinchè, ottemperando fedelmente agli statuti dei Concilii, non tengano mai con sè giovani donne, nè vadano a visitarle, nè parlino troppo famigliarmente con esse, e molto meno le abbraccino o le conducano nella loro camera da letto. Oh! quanti mali provennero da ciò, e quanto obbrobrio alla religione!!!

§ II.
Dei libri osceni.
Qui non si parla de' libri eretici ed empii, ma soltanto dei libri opposti ai buoni costumi, specialmente di quelli che volgarmente si chiamano Romanzi, i quali solitamente contengono amori illeciti e narrazioni così congegnate e disposte da poter eccitare disordinate libidini.
1. Quelli che scrivono libri gravemente osceni peccano mortalmente, imperocchè dànno a molti occassione di rovina spirituale, e non possono quegli scrittori invocare ragione alcuna che li scusi.
2. Similmente è impossibile trovare una giustificazione sufficente per coloro che fanno professione di vendere cotesti libri: peccano mortalmente dunque quei librai che li tengono nel loro negozio, che li espongono e li vendono al pubblico.
3. E', DI REGOLA, peccato mortale leggere libri di questa fatta, sia che si leggono per libidine, sia per leggerezza, per curiosità, o per ricreazione, perchè, di loro natura, commovono i sensi e conturbano la immaginazione, ed accendono in cuore fiamme impure. Dico di regola, perchè non voglio assoverare che pecchino mortalmente coloro che, per sola curiosità, leggono tali libri, se la loro provetta età, per il loro temperamento freddo, o per la abitudine di trattare questioni veneree, non incorrono in grave pericolo.
4. V'hanno libri che raccontano amori leciti o illeciti, i quali non suscitano gravemente la libidine, non commovono i sensi, non espongono a notevole pericolo, come sono molte tragedie, commedie o altri poemi: quelli che, senza grave pericolo per sè e senza scandalo per altri, leggono tali libri per mera curiosità, non peccano mortalmente; se poi ciò facciano per causa legittima, per esempio, per istruire, per acquistare o perfezionare l'eloquenza non peccano, supposto sempre, che non ammettano né trascurino i doveri ad essi imposti dal loro stato. Raramente possono i preti darsi a queste letture senza peccare, perchè facilmente negligerebbero i loro doveri, o darebbero scandalo ad altri. La esperienza prova, non fosse altro, che, cosí facendo, essi prendono a noia la pietá, si sentono incapaci di proseguire nelle loro opere, si estingue in essi lo spirito della devozione e del fervore, ecc.[10].
[10] E sono questi precisamente gli effetti che produce sui preti—specialmente se sono giovani—Lo studio ch'essi fanno sul Manuale dei confessori. (Nota del traduttore)
Questa specie di libri, di cui a questo n. 4° si parla, sono spesso assai più nocivi, ai fedeli di quello che se fossero interamente osceni, imperocchè in quest'ultimo caso susciterebbero nausea. Bisogna quindi allontanare i penitenti da coteste letture.
Coloro che scrivono questa specie di libri, benchè non sieno libri gravemente osceni, pure peccano non di rado mortalmente perchè senza una sufficiente ragione trascinano molti a rovina; ma credesi che così gravemente non pecchino coloro che li vendono, imperocchè, da quanto dicemmo, molti li possono leggere senza peccare o almeno senza peccare mortalmente, e perciò, comperandoli, peccherebbero, tutt'al più, venialmente. I librai poi che li tengono nei loro negozi e li vendono ai richiedenti, possono star tranquilli; essi non peccano.
5. I padri di famiglia, i maestri di scuola, i direttori e tutti coloro a cui sono affidate altre persone devono stornare quanto possono i loro inferiori dalla lettura di questi Romanzi ed assuefarli invece a studii pii, santi e gravi: questo è il solo mezzo per formare uomini eruditi, sensati, amanti della virtù, difensori della religione e della società idonei a dirigere la propria famiglia, e adatti, a qualunque affare.

§ III.
Delle danze o dei balli.
Danze e balli sono vocaboli sinonimi, che esprimono certi modi di divertimento o di ricreazione, noti a tutti. Ci sono tre generi di danze: 1° fra persone dello stesso sesso, fra maschi, o fra femmine, senza atti, gesti o parole impudiche; questo genere di danze è, non v'ha dubbio alcuno, lecito; 2° fra persone dello stesso sesso o di sesso diverso, con modi non onesti o con pravi intendimenti; e ciò è, senza dubbio, da doversi biasimare da tutti; 3° fra maschi e femmine, con modi onesti e senza pravi intendimenti; ed è su quest'ultimo genere di danze che gli Autori non s'accordano punto.
«Gli scrittori di teologia morale—Dice Benedetto XIV, Ist. 75—con unanime giudizio affermano che non commettono peccato alcuno coloro che si danno alla danza.... Ma i S. Padri invece proclamano che le danze nuocono perchè invitano al peccato.»
Cionompertanto i teologi moralisti e i S. Padri con ciò non si contraddicono, per la ragione che i primi parlano delle danze guardate solo in sè medesime, e gli altri avvertono, principalmente che esse ponno indurre in pericolo. Così P. Segneri e S. Liguori, l. 3, n. 429, nei loro commenti a Benedetto XIV, ecc.
Ecco dunque sul tappeto due opinioni controverse, cioè:

I balli non sono, per sè stessi, illeciti.
I modi consueti di ballare sono pieni di pericoli.

Ciò premesso, è cosa di grave momento lo stabilire in pratica delle regole di condotta per dirigere le anime.
1. È peccato mortale assistere a danze gravemente disoneste, sia per le nudità che vi appaiono, sia pel modo di danzare, o per le parole, pei canti, pei gesti che vi si fanno: per ciò, il ballo tedesco chiamato walser non può mai essere permesso, né generalmente i balli con maschere o con abiti che lasciano nude le parti disoneste del corpo.
2. Coloro che, per debolezza personale, soggiaciono a grave pericolo di lussuria nei balli, devono astenersene sotto pena di peccato mortale, a meno che—cosa impossibile—non vi sieno costretti da urgente necessitá, ma anche in questo caso devono non essere nel pericolo di prestarvi il loro consenso volontario.
A questi peccatori, fino a che non si sieno emendati, o sinceramente promettano di astenersene in seguito, devesi negare l'assoluzione.
3. Coloro che dànno scandalo, benchè danzino non disonestamente peccano mortalmente, a meno che non sieno scusati da una necessità, se pure in questo caso è possibile una necessità. La cosa è evidente. I monaci, i religiosi, i preti inferiori, che danzano in publici balli, non vanno immuni da peccato mortale, quantunque danzino castamente. Tale sembra l'opinione di molti teologi e fra essi Benedetto XIV, il quale nelle Istit. 76, già citate, interdice rigorosamente le danze ai sacerdoti e ai preti, e dimostra la sua interdizione con ragionamenti e con testimonianze.
Lo stesso Pontefice, secondo S. Tomaso, dice: «Se le danze si fanno da preti e sacerdoti, fra loro, non in presenza di laici, per solo sollazzo e leggerezza, sono peccati, ma non mortali.»
4. Non è peccato il ballare moderatamente, o l'assistere a danze oneste per qualche necessità o per convenienze sociali, senza però che vi sia pericolo alcuno di lussuria.
In questi casi non ci potrebbe esere peccato se non allorquanto si offrisse occasione di far peccare altri, o di partecipare agli altrui peccati; ma nella nostra ipotesi vi ha sufficiente ragione per permettere una cosa che avviene all'infuori della propria volontá.
Una donna avvenente, abbigliata con decenza, non è tenuta ad astenersi dall'andare in chiesa o ai pubblici passeggi per il pretesto che puó essere dessa per molti una occasione di peccato. Dicasi egualmente, pei balli onesti ed in sè stessi non pericolo per lei, se per andarvi essa ha una ragione sufficente: il che verrà poi determinato secondo i casi speciali: per esempio, una giovine fidanzata non potrà esimersi dall'assistere ai balli che nella casa paterna o presso i vicini o parenti si fanno onestamente, nè potrà ricusare l'offerta fattale di danzare senza esporsi alla derisione o senza spiacere ai genitori o al suo fidanzato che la invita alla danza. Essa, ballando decentemente e con intenzioni pure, non pecca.—S. Francesco di Sales così dice nella Introd. alla vita devota, 3 part. ch. 23:
«Io vi parlo delle danze, o Filoteo, come i medici parlano delle varie specie dei funghi: i migliori funghi non valgono nulla, dicono essi, ed io vi dico egualmente dei balli migliori: non sono buoni. Cionondimeno, se bisogna, proprio mangiare dei funghi, state attenti a che sieno molto ben preparati. Se per qualche circostanza, che voi non potete proprio evitare, dovete recarvi a un ballo, badate a che il ballo sia bene preparato. Ma come deve essere egli bene preparato? Dev'essere preparato con modestia, con decoro, e buone intenzioni.—Mangiatene pochi e di rado (dicono i medici parlando dei funghi), perchè, quantunque ben preparati, la loro quantità può essere un veleno.—Danzate poco e di rado, o Filoteo, perchè, diversamente facendo, voi vi mettete nel pericolo di appassionarvi ai balli.»
Non è fuor di luogo l'osservare che il pio Vescovo vuole che i balli si facciano modestamente, con pure intenzioni, e di rado: e notisì che a quei tempi, essendo i costumi molto più semplici che adesso, tali divertimenti erano molto meno pericolosi.
5. L'assistere e il prender parte decentemente a danze oneste, senza che vi sia grave pericolo è notevole scandalo, ma però senza che vi sia una ragione sufficiente per giustificare la danza, è peccato, ma soltanto veniale: che sia peccato, nessuno lo mette in dubbio; che poi sia peccato soltanto veniale, risulta dalla stessa ipotesi proposta. I teologi però più rigidi non ammettono quelle ipotesi, e sostengono che in ogni ballo ove danzano promiscuamente uomini e donne c'è sempre il pericolo grave di lussuria; nè doversi prestar fede a coloro che dicono non provare nel ballo movimenti disordinati nè compiacenze voluttuose. Ma non è sopra presunzioni che devono essere giudicati i penitenti, e quando si sieno con prudenza interrogati, non devono essere creduti più rei di quanto appare dalle stesse loro dichiarazioni, a meno che non risulti evidentemente ch'essi si illudano ovvero che vogliono ingannare. Se malgrado una diligente attenzione, il confessore si sarà ingannato e concederà l'assoluzione, sarà sempre innocente davanti a Dio; ma se, al contrario, sopra una semplice presunzione avesse respinto un penitente ben disposto di coscienza, sarebbe colpevole di una grave ingiustizia.
Non bisogna dunque temerariamente giudicare indegni di assoluzione degli uomini e delle donne perchè hanno danzato od assistito a danze; e spesso non è nemmeno cosa prudente esigere da essi, sotto pena di negar loro l'assoluzione, la promessa che non danzeranno più, né più assisteranno a danze.
6. Nonpertanto, le danze, come soglionsi ora fare, sono sempre pericolose; perciò i confessori, i parroci e tutti coloro a cui è affidata la cura d'anime devono tenerne lontani, quanto più possono, i giovani d'ambo i sessi. Non potendo impedire i balli, devono diminuirne per quanto é possibile i pericoli annessi, esigendo, per esempio, di non ballare in giorni di penitenza, durante i divini uffici, nei ridotti ove convengono uomini e donne dissolute d'ogni conio, e a notte avanzata.
I sacerdoti non possono mai dare positiva approvazione a questi sollazzi, o partecipare ad essi, o ad essi assistere; li devono anzi continuamente disapprovare, come pericolosi almeno come poco conformi alle virtù cristiane; ma altro è disapprovarli, altro il ricusare i sacramenti della Chiesa indistintamente a quelli che fanno uso di questi sollazzi.
7. Quel sacerdote che prudentemente giudica, che, usando molto rigore, riuscirebbe a far scomparire dalla sua parrocchia i balli, può sospendere od anche negare l'assoluzione a quelli che accorrono ai balli, imperocchè se v'ha chi non pecca mortalmente in queste danze, tuttavia, favorendole, o ostacolandole l'abolizione, non fanno che apprestar lacci ad altri, e perciò, sotto questo rispetto non vanno facilmente immuni da grave peccato.
8. Se poi nessuna speranza ci fosse di toglier di mezzo questi balli, come bene spesso avviene, una soverchia severità nuocerebbe alla salvezza delle anime. Infatti, molte persone pensano essere questi sollazzi leciti, o non gravemente illeciti, e rifiutano perciò di astenersene, sacrificando ad essi anche la confessione, la Eucarestia e le sacre funzioni. Sciolti in allora d'ogni freno, s'ingolfano in ogni genere di esiziali dissolutezze: e se inoltre v'ha in queste persone ignoranza, corruzione, abitudini con uomini perduti, pregiudizi contro la religione e i suoi ministri, allora indurano sempre più nella perversità e non si correggono più: spesso nel matrimonio si comportano indegnamente, scandalizzano i domestici, educano male i figli, e così l'empietà si sviluppa, e la depravazione dei costumi aumentando ognor più, non lascia loro via alcuna per fare il bene.
Date queste circostanze, devonsi trattare benignamente i penitenti che assistono alle danze, stornarli da questi pericoli colla persuasione e colle preghiere, dare ad essi salutari consigli in proposito; se mai ricadessero, redarguirli paternamente, differire l'assoluzione; e riconosciuti finalmente contriti, benchè non siano ancora immuni di ogni peccato, assolverli, ammetterli alla comunione almeno alla Pasqua: in tal modo, si provvede più efficacemente alla loro salute e si fa del bene alla religione.
Dai suesposti principii scendono queste conseguenze che qui notiamo, cioè:
1. Ove le danze sono in uso e reputansi lecite ovvero cose indifferenti, non sono da proscriversi pubblicamente; è permesso tuttavia predicare contro i peccati che soglionsi in esse commettere, facendolo però con caste parole affine di non offendere menomamente le orecchie pudiche dello uditorio. Conviene altresì parlare con molta cautela delle persone che frequentano quelle riunioni o che le tengono in propria casa; non devono perciò essere queste notate di infamia. E, prudentemente, non devonsi mettere in pubblico tutti coloro che ballano o che ai balli assistono, e dire che essi non sono ammessi, per questo motivo, alla comunione pasquale
2. Il confessore non può dunque respingere indistintamente tutti coloro che non vogliono rinunciare affatto alle danze, peraltro oneste; come non può tutti assolverli senza differenza alcuna, Perciò, deve ben bene pesare tutte le circostanze dei balli, circostanze di luogo, di tempo di durata, di persone astanti, dal pericolo a cui i penitenti si espongono, ecc. ecc.
3. Coloro che tengono pubblici balli, ove convengono giovani d'ambo i sessi senza distinzione alcuna, come sogliono fare molti per mestiere, non possono essere assolti; per la ragione che tali riunioni si reputano semenzai di vizii e di corruttele; e l'esperienza lo prova. Per lo stesso motivo, non possono essere ammessi alla assoluzione i suonatori che presenziano i danzatori in questi balli, a meno che non promettano di abbandonare questo loro mestiere.
4. Non devono essere trattati colla stessa severità coloro che, per straordinari divertimenti celebrati per ordine della pubblica autorità, o abbiano prestato la loro casa, o procurato i suonatori, o, suonando essi stessi, abbiano assistito alle danze: e ciò perchè, se pure ne risulta un pericolo, vi ha ragione sufficiente per ammetterlo, e per esimere, se non da peccato veniale, certo da peccato mortale. Del resto, i parroci e i confessori devono prudentemente dissimulare ciò che, in questi casi, non possono impedire.
5. Io non credo poi rei di peccato mortale quelli che, soltanto qualche volta durante l'anno, per esempio, nella epoca della messe, nei giorni della vendemmia sogliono offrire balli alla famiglia, ai vicini, o ai lavoratori. Li biasimerei, ma alla comunione pasquale li assolverei: egualmente mi comporterei coi suonatori; e a più forte ragione con loro che, senza uno speciale pericolo, avessero, in questi casi, danzato.
6. Nè vorrei rigorosamente negare l'assoluzione a tutti quelli che, nelle pubbliche feste da ballo, danzano qualche volta. Vi possono essere delle ragioni che scusano, non da ogni peccato, ma dal più grave, il peccato mortale per esempio, se un giovane si esponesse, non danzando, alla derisione dei compagni, o se una ragazza venisse sprezzata dal suo fidanzato quando rifiutasse di danzare, per lo contrario, non ammetterci scusa per quei suonatori che in queste pubbliche feste da ballo fanno professione di suonare, perciocchè, senza una giustificazione sufficente, favoriscono in molti l'occassione di peccare.
7. Credo che non si possa assolvere, nemmeno a Pasqua, quegli che vogliono frequentare di giorno e di notte pubblici balli, perchè espongorsi a pericolo evidente, e infatti l'esperienza ci dice che costoro sono quasi tutti gente corrotta.
Non sarà fuor di proposito riferire qui parola per parola la decisione che il dottissimo e sapientissimo Tronson, consultato da un vescovo sulla questione dei balli, emise il 29 maggio 1684, relativamente alle ragazze che vogliono danzare. Così egli si esprime: «1. I confessori devono stornare, per quanto lo possono, le loro penitenti dalla danza, soprattutto se a danzare vi sono dei giovani: 2. Devono negare ad esse l'assoluzione, se il ballo è per esse un'occasione di peccato, sia in causa di cattivi pensieri o d'altro, e se esse non vogliono promettere di astenersene,: 3. Se poi il ballo non è per esse un'occasione di peccato, e se non e in alcun modo scandoloso, stenterei molto a condannare i confessori che dessero ad esse l'assoluzione, supposto che il vescovo non abbia espressamente vietato di darla; 4. Siccome molto spesso vi ha pericolo nella danza e avviene sovente che quelle ragazze stesse a cui non è occasione di peccato, vi si affezionano, i confessori possono dar loro per penitenza di astenersene per un tempo più o meno breve, secondochè essi le troveranno più o meno disposte, e secondo la necessità del caso; o rifiuterassi loro l'assoluzione, se esse non voglion promettere di astenersene. Ad ogni modo, credo che in questi casi sia sempre necessaria molta prudenza.»
Il pio dottore dice allo stesso vescovo che, imbattendosi egli in tali difficoltà, soleva seguire prudentemente il consiglio che S. Agostino dava al vescovo Aurelio, pur deplorando le gozzoviglie che in Africa erano frequenti nei cimiteri col pretesto di celebrare col cibo e colle bevande la memoria dei martiri: «(Epist. 22, t. 2. p. 28). Non è certamente, per quanto io penso, colle asprezze, colle durezze, nè con modi imperiosi che si ponno togliere quegli inconvenienti: ma più coll'insegnare che col comandare, più consigliando che minacciando. È così infatti che bisogna agire coi più: la severità non può esercitarsi che contro ben pochi peccatori.»
Cajetano e Azor insegnavano che i balli non dovevansi proibire nei giorni domenicali e festivi, perchè essi non erano infine che segni di letizia, e perchè specialmente se fatti sotto la sorveglianza del pubblico, non implicavano alcun pericolo; di più, perchè essi aprivano l'adito a matrimonii, e perchè, specialmente nelle campagne, tolto questo svago, si correva incontro a un maggior pericolo, a quello cioè dell'oziosità, dei colliquii intimi e dei propositi insidiosi.
Più rettamente giudica Sylvius, t. 3, p. 801: «Non doversi inibire le danze ai contadini, come se, ciò facendo, dovessero essi peccare mortalmente: doversi invece con buoni consigli e colla persuasione dissuaderli, facendo loro vedere che il più delle volte da quelle danze nascono molti peccati, ancorchè fatte in pubblico; né è facile evitare i falli, permettendole.» E questo è pure il sunto della nostra dottrina.
Ciò che abbiamo detto dei balli—salve le proporzioni—é a dirsi pure dei notturni convegni, volgarmente detti veglie o veglioni. Tuttavia, in questi non ci sono generalmente tutti quei pericoli che si riscontrano invece in certi altri balli. Del resto, per giudicare rettamente gli uni e gli altri conviene ben ponderare tutte le circostanze; se essi hanno luogo fra parenti, fra vicini, fra amici fra persone costumate, sono certamente assai meno pericolosi: guardiamoci bene adunque da una soverchia indulgenza come da una soverchia severità; atteniamoci sempre ad un giusto mezzo.

§ IV.
Degli spettacoli.
Tutti ammettono che gli spettacoli non sono per sè stessi un male, perciò si videro un tempo rappresentate delle tragedie anche nei collegi religiosi. Se le produzioni teatrali dunque non fossero invereconde, nè atte ad accendere la libidine, si potrebbero rappresentare, e a più forte ragione, si potrebbe assistere ad esse. Ma essendo esse generalmente pericolose, o in sè stesse, o per le conseguenze che ne derivano, conviene stabilire delle norme pratiche.
I. Quelli che compongono o rappresentano commedie notabilmente sconcie, peccano assolutamente di grave peccato, in causa dello scandalo dato, benchè da essi non voluto: così anche i teologi non sospetti di severità come S. Antonino, Silvestro, Angelo, Sanchez, S. Liguori ecc. Nè può essere addotto, come ragione scusante, il grosso lucro che da esse se ne ritrae, imperocchè in allora non si capirebbe più perchè non fosse egualmente scusata la prostituzione.
II. E' pure peccato mortale incoraggiare commedie notevolmente oscene col danaro e con gli applausi in teatro, perchè in questi casi c'è positiva cooperazione a cose mortalmente peccaminose. Così pensa, contrariamente a qualche teologo, S. Liguori, l, 3. n. 427, il quale attesta di aver mutato parere dopo di essere stato di opinione contraria.
III. Ordinariamente, anche chi scrive commedie e tragedie non molto oscene o le rappresenta in teatro, pecca di peccato mortale, in causa del pericolo annesso a queste rappresentazioni, o dello scandalo che da esse deriva. Perciò gli attori e le attrici furono nel Concilio d'Arles (anno 314 can. 5), scomunicati, e, «almeno in Francia,» vennero fin qui considerati come infami: perciò ricusati ad essi i sacramenti della Chiesa, anche negli estremi di vita, a meno che non promettano di rinunciare alla loro professione.
Ho detto almeno in Francia perchè in Italia, in Germania, in Polonia ed in altri, paesi, non vengono esclusi dai sacramenti della Chiesa coloro, uomini e donne, che prendono parte a rappresentazioni teatrali; ma è libero ai confessori di accoglierli o respingerli a seconda della natura della rappresentazione scenica a cui avranno partecipato.
IV. Lo assistere a scene teatrali notevolmente sconcie, è peccato mortale in causa di pensieri libidinosi che esse suscitano. Ciò è evidente: se poi ciò avvenga per sola curiosità o per vano sollazzo, stimasi sia soltanto un peccato veniale purchè non v'abbia pericolo di acconsentire alla lussuria; ma questa opinione è troppo indulgente e deve invece reputarsi un peccato mortale, sia per la ragione dei pericolo, dello scandalo, e della cooperazione che si presta ad un'azione mortalmente cattiva.
V. Ma se le produzioni teatrali non sono notevolmente oscene, ne rappresentate in modo osceno, non è peccato mortale l'assistere ad esse, semprecchè non v'abbia uno speciale pericolo e scandalo. L'azione dell'assistere a coteste rappresentazioni non può essere peccato mortale, se non in quanto essa cooperi a far abbracciare la professione d'attore: ora, il semplice assistervi—escluso lo scandalo—non è certo un cooperare a far degli attori. Così Sanchez, S. Liguori e in generale i teologi stranieri.
Non ci sarebbe peccato alcuno, se una causa ragionevole di necessità, di utilità o di convenienza sociale persuadesse qualche persona ad assistere a spettacoli non osceni, nè gravemente pericolosi in sè, imperocchè c'è sempre qualche sufficiente ragione di scusa là dove non si può che molto indirettamente a far peccare altrui o, se si espone sè medesimi in qualche pericolo, è un pericolo molto lontano.
A simili spettacoli possono assistere senza peccato:

Le donne maritate, purchè ciò non dispiaccia ai loro mariti;
I domestici e le domestiche, per servizio dei loro padroni;
I figli e le figlie di famiglia, se tale è la volontà dei loro parenti;
I soldati e i magistrati, incaricati di vegliare al mentenimento del buon ordine;
I re e i principi, affine di conciliarsi l'affetto dei loro sudditi;
Le persone che seguono il principe, ecc.

Tutti costoro non peccano, ma ad una condizione, cioè che assistano agli spettacoli senza intenzioni lubriche e senza acconsentire a emozioni voluttuose, caso mai insorgessero.
Contro gli spettacoli scrissero espressamente il Principe De Conti, Nicole, Bossuet, Desprez-De-Boissy: li hanno pure condannati, l'autore dell'opera intitolata: «CONTE DI VALMONT« Tromageau, Pontas e quasi tutti i nostri teologi. Lo stesso G. G. Rousseau, in una lunga ed eloquente lettera a D'Alembert, li biasimò fortemente. Molti altri si potrebbero citare, come Racine, Bayte, La Mothe, Presset, Riccoboni, i quali enumeravano tutti i pericoli del teatro, e, dolenti di avervi cooperato, opinavano che gli spettacoli potevano abolirsi.
Non intendiamo certamente opporsi a tanti uomini illustri, nè vogliamo in modo alcuno sostenere ch'essi errarono o che furono troppo rigorosi nella loro condanna ai teatri. Diremo volentieri con P. Alessandro (l. 40, in-8°, p. 358) »La frequenza agli spettacoli e alle commedie è pericolosa alla castità, e nociva in molte guise all'anima: talchè un cristiano può appena appena assistervi senza peccare.»
Essendo gli spettacoli pericolosi, ne consegue direttamente che si deve avere ogni cura per allontanare i cristiani, ma non ne deriva perciò che tutti coloro i quali vi intervengono anche senza una causa scusante, pecchino mortalmente e sieno indegni di assoluzione.
Quegli che colle parole o cogli scritti intendono provvedere alla integrità dei costumi o difenderla, esaminino bene ciò che v'ha di lecito e d'illecito nei divertimenti teatrali; espongano diffusamente le circostanze dalle quali provengono conseguenze perniciose; e raccolgono molte testimonianze di S. Padri, di Concilii e di dottori, a conferma della verità che inculcano.
Ora stabiliamo le norme pei confessori. Per quanto è possibile dobbiamo distinguere il peccato mortale dal veniale, imperciocchè chi è reo di peccato mortale deve essere trattato molto diversamente da chi si è macchiato soltanto di peccato veniale.
Io non assolverei:

Gli attori e le attrici, nemmeno negli estremi di vita, a meno che non rinneghino la loro professione;
Gli scrittori che compongono opere piene di illeciti amori, da rappresentarsi in teatro;
Quelli che direttamente cooperano alle rappresentazioni teatrali, come le cameriere che abbigliano le attrici, e coloro che fanno professione di vendere, noleggiare o fabbricare bastimenti destinati al solo uso dei teatri;
Quelli che, assistendo alle rappresentazioni sceniche, dànno grave scandalo, come sarebbero tutte quelle persone che godono riputazione di cristiane virtù, a meno che non vi sieno spinte da grave necessità;
Quegli che, per proprie circostanze personali, si mettono in un grave pericolo di lussuria;
Quelli che, senza un ragionevole motivo di scusa, intervengono con frequenza a tali divertimenti, benchè non incorrano in grave pericolo nè diano scandalo, imperocchè una simile abitudine non può conciliarsi colla vita cristiana;

Assolverei, per lo contrario, e ammetterei alla comunione pasquale:

Quelli che ponno dare al peccato un motivo sufficiente di scusa;
Quelli che qualche volta soltanto, o solo in determinate citcostanze, assistono a spettacoli in sè stessi non notabilmente disonesti, semprecchè non vi abbia pericolo, nè scandalo;
Quelli che cooperano alle rappresentazioni teatrali soltanto in modo lieve e indiretto, per esempio, facendo pulizia nel teatro, restaurando un edificio, ecc., ecc.

Del resto, in molti paesi stranieri i confessori non negano l'assoluzione a quei penitenti che alle produzioni teatrali, che ordinariamente si rappresentano, vi assistono per mera curiosità o per sollievo, e senza gravo pericolo: nè la negano egualmente a coloro che cooperano a rappresentazioni sceniche nè direttamente nè indirettamente oscene.
S. Francesco di Sales, pur confessando che gli spettacoli sono, come i balli, pericolosi; crede non pecchino coloro che vi assistono senza emozioni disordinate. Leggesi nella sua Introduzione alla vita devota (1 parte, c. 23): «I giuochi, i balli, i festini, le pompe, commedie non sono, in sè stesse, cose cattive, anzi sono indifferenti, potendo esse esser fatte tanto convenientemente quanto no, ma ad ogni modo implicano sempre un pericolo: e il pericolo diventa tanto più grave quanto più s'affeziona ad esse. Io dico dunque, o Filoteo, che ancorchè sia permesso giuocare danzare, adornarsi, assistere a commedie oneste, banchettare; nondimeno, l'affezionarsi a queste cose, è contrario alla vita devota, e grandemente nocevole e pericoloso. Il male non istà in esse, ma sta nell'affezione che ad esse si può portare.» E noi, nella nostra dottrina circa i balli e gli spettacoli, non ci allontaneremo dai principii trasmessici da un tanto pio maestro.
Si domanda: Che deve dirsi dei commedianti e dei loro spettacoli?
R. Circa i commedianti e i loro spettacoli, così scrive S. Tomaso, 2, 2, q. 168, art. 3, al 3: «Fra le cose utili al consorzio umano possono collocarsi alcune lecite occupazioni. La professione di commediante, allorchè serve a procurare un sollievo agli uomini, non è, in sè stessa, illecita; e i commedianti non sono in istato di peccato, ogniqualvolta usino moderatamente della loro arte, cioè, non usino parole o atti illeciti non facciano servire l'arte a cose indebite, nè la usino in circostanze non permesse. Da ciò segue che coloro i quali moderatamente li retribuiscono, non peccano, imperocchè non fanno che dare una mercede al loro lavoro. Ma quelli che sciupano in tali cose il loro avere, o aiutano in qualche modo commedianti che rappresentano cose illecite, peccano, imperocchè diventano fomentatori di peccato.»
A questa opinione di S. Tomaso, sottoscrivono altri teologi.
Ora, se la professione di commediante non è, per sè stessa, illecita, a più forte ragione non è peccato o almeno non è mortale, assistere per curiosità a quei divertimenti dei commedianti che, in sè stessi, non sono osceni nè nuocciono direttamente. Dicasi lo stesso degli spettacoli che si fanno col mezzo di animali, per esempio cavalli, ecc.
Importa nondimeno guardar bene di non dar scandalo come avverrebbe ordinariamente se un religioso, un monaco, un prete assistesse a tali divertimenti, specialmente in presenza di laici; ovvero se il divertimento fosse meno che onesto, o se i commedianti o giuocatori si esponessero a pericoli di morte, come non di rado avviene nei giuochi equestri.