Satan Shark
05-05-16, 21:41
Forum, social network e in generale la Internet ludica, in questi giorni, non fa altro che parlare di Dark Souls III, del suo gameplay così punitivo nei confronti del giocatore. Accade giustamente, perché I'ultima fatica di From Software è di quelle da leccarsi i baffi (oltre che le ferite), come ci racconta il nostro Marietto nella recensione che trovate su questo numero. lo, di mio, aggiungo che non è roba per me. Non me ne vergogno, e non ne ho mai fatto mistero. Ci ho provato, con il primissimo DS su PC, ma ho mollato dopo un paio di ore di frustrazione totale, contento del fatto che altri lo adorino, e altrettanto sereno che la mia vita di videogiocatore potesse andare avanti tranquillamente con altro. Poi però c'è la faccenda TrackMania. Ne parlavo qualche giorno fa proprio con Mario: lui era afflitto, poverino, dopo essere stato massacrato una sessantina di volte da uno dei boss finali di Dark Souls III; io, dal canto mio, stavo cercando l'oro in una pista blu di TM Turbo, e come numero di tentativi eravamo suppergiù dalle stesse parti. II che, da un certo punto di vista, mi ha fatto pensare che — forse — i due titoli, seppur così agli antipodi, forse tanto diversi non sono. C'è un fattore che li accomuna, ed è la capacità di tirar fuori nel giocatore la voglia di dare il massimo, di riuscire a portare a casa il risultato nel migliore dei modi possibili, a costo di provare e riprovare, fin quando non ci si riesce. Che poi è quello che i videogame hanno sempre fatto, fin da quando hanno cominciato a fare breccia nei nostri cuori, fin dai tempi del primo Pong, spronandoci a essere migliori dell'avversario computerizzato che muoveva (un po' barando, secondo me) la sua stanghetta bianca, cercando di battere il record del mondo nel salto in alto in Track'n'Field, convincendoci a infilare una monetina dopo l'altra nel cabinato di Ghosts'n'Goblins per riuscire ad arrivare alla prima posizione nella tabella dei punteggi. Dark Souls, da questo punto di vista, non inventa davvero un bel niente. Cambia la forma, mutano lo stile e l'essenza, ma in fondo stiamo sempre parlando di "High Score"; quello che una volta scrivevamo con tre lettere su uno schermo a tubo catodico, e che adesso diventa il miglior tempo sul giro, o il boss sconfitto con particolare perizia. Un concetto naturalmente (nel senso più letterale del termine, ossia secondo natura) trasversale, che va oltre gli anni di chi gioca, e che fa leva su pilastri emotivi propri dell'essere umano, di qualsiasi età: entusiasmarsi per essere riusciti a superare un ostacolo all'apparenza insormontabile, aver conseguito un risultato importante, migliorare le proprie performance. Per chi ha qualche anno sulle spalle, giocare a TrackMania o Dark Souls è un modo per ritrovare la competitività che dominava la scena ludica della nostra adolescenza; per le generazioni più giovani, è la scoperta di uno dei (tanti) modi possibili di vivere il videogioco. Efficace tanto oggi quanto vent'anni fa. Oramai i videogame sono capaci di tante cose: raccontare storie emozionanti, costruire mondi affascinanti e coinvolgenti, ma anche tirare fuori lo spirito competitivo e la voglia di vincere che è innata in ciascuno di noi. Che si chiamino Dark Souls o TrackMania. Ed è sempre bellissimo.
Claudio "Keiser" Todeschini
Claudio "Keiser" Todeschini