VENEZIA Spaccia droga, è «socialmente pericoloso» ma per i giudici di Venezia non può essere espulso perché la questura non ha tenuto conto che «tiene famiglia»....
La storia è quella di Edison Isufi, 35 anni, albanese residente in provincia di Vicenza. Di lui si occuparono i carabinieri nel luglio del 2015 quando, con la collaborazione dei finanzieri di Gico, lo fermarono mentre girava per le strade di Concordia Sagittaria al volante della sua utilitaria. Gli investigatori scoprirono che nel sistema di areazione aveva ricavato un piccolo vano all’interno del quale, nascosti sotto la plancia, c’erano sei etti di eroina e un chilogrammo di cocaina. Arrestato, l’albanese finì in carcere a Pordenone.
Nel frattempo, negli uffici della questura di Vicenza era arrivata la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, presentata proprio da Isufi. Ma dopo essersi cacciato in un guaio simile, la risposta della polizia doveva essergli apparsa piuttosto scontata: il 9 ottobre del 2017 l’istanza era stata respinta «sul presupposto che, con sentenza del 14 settembre 2015 del tribunale di Pordenone, divenuta irrevocabile il 12 luglio 2016, lo straniero era stato condannato alla pena di tre anni, sei mesi e venti giorni di reclusione e 20mila euro di multa per il reato di cessione di sostanze stupefacenti». Per la questura berica, lo spacciatore albanese doveva lasciare immediatamente l’Italia perché rappresenta un pericolo per la società: «Il comportamento tenuto - si legge nel provvedimento - evidenzia un grave pregiudizio per l’ordine e la sicurezza pubblica e consente di ritenere che il medesimo sia da annoverarsi nella categoria dei soggetti pericolosi (...) categoria in relazione alla quale è prevista l’espulsione dal territorio nazionale».
Decisione inoppugnabile? Non proprio. E infatti Edison Isufi ha trascinato il ministero dell’Interno di fronte al Tar del Veneto chiedendo l’annullamento del provvedimento con il quale il questore gli aveva negato il permesso di soggiorno. Un rifiuto «illegittimo - è la tesi esposta dal suo avvocato Fabio Crea - per avere la questura automaticamente correlato il giudizio di pericolosità sociale alla sentenza di condanna, senza tenere in considerazione i vincoli familiari e la durata del suo soggiorno nel territorio». Nei giorni scorsi i giudici hanno depositato la sentenza, stando alla quale la ragione sta proprio dalla parte dello spacciatore. Per i magistrati è vero che una condanna per droga «è vincolativamente ostativa all’ingresso nel territorio nazionale e comporta il rifiuto del rinnovo o la revoca del permesso di soggiorno». Però «è altresì vero che, nei confronti dello straniero che abbia legami familiari nel territorio dello Stato, l’eventuale diniego del permesso di soggiorno deve essere preceduto da una valutazione che tenga conto dell’interesse dello straniero e della sua famiglia alla conservazione dell’unità familiare, dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché della durata del suo soggiorno». Insomma, la questura di Vicenza non ha apprezzato a sufficienza il fatto che Isufi «vive da diversi anni in Italia insieme alla moglie e ai due figli di quattro e sei anni». Non ne ha tenuto conto, limitandosi a puntare il dito sul solo fatto che è un uomo pericoloso. Ma «l’esistenza di una condanna, per quanto relativa a un reato grave e tale da comportare allarme sociale - ribadisce il Tar - non è sufficiente a giustificare il diniego qualora sussistano legami familiari e una stabile permanenza in Italia». Per questo motivo, il provvedimento del questore è stato annullato. «È una sentenza innovativa - esulta l’avvocato dell’albanese - perché mette nero su bianco un principio: la salvaguardia dei rapporti familiari viene al primo posto, anche di un eventuale giudizio di pericolosità».