Di tutti gli aspetti della vita reale che il gioco del pallone finisce per riassumere in chiave allegorica, quello del passare del tempo è senza dubbio uno dei più suggestivi. Si verifica, cioè, una sorta di sproporzione tra “tempo della storia” e “tempo del racconto”, quantificabile nella discrepanza che intercorre, per esempio, tra la “speranza di vita” di un giocatore e quella di un comune mortale. Se, in sostanza, una carriera calcistica (ovviamente sul campo) si esaurisce a ridosso dei quaranta, è evidente come il dato non corrisponda alla fine di una carriera lavorativa, o all’esaurirsi di un’esistenza-standard, impostata secondo precisi parametri di vecchiaia e conseguente spegnimento.
A partire dall’infanzia ho associato alla mia compulsiva dipendenza dagli sport un’idolatria per personaggi da me ritenuti immortali (Michael Jordan, o Miguel Indurain), e la presa di coscienza della “morte calcistica” mi ha messo di fronte a due distinti ordini di problemi, entrambi ugualmente scioccanti: 1) l’umanizzazione dei miei idoli; 2) la scelta di un giocatore-guida, un atleta eletto a parametro di questa inusuale maniera di calcolare il passare del tempo. Il tutto motivato, credo, dall’idea che affrontare questo trauma in coppia sarebbe stato meno drammatico rispetto ad una gestione del pensiero in solitaria. Prima di ripercorrere, nel dettaglio, le ragioni del mio personalissimo legame con Andrea Lazzari (Bergamo, 3 dicembre 1984), è forse opportuno che chiarisca come è accaduto che maturassi la necessità di rivedermi in lui.
[...]
In attesa di capire che ne sarà di noi, della sua carriera e della mia passione per il calcio, ringrazio Andrea Lazzari per avermi accompagnato ai trenta con serenità. Per i suoi colpi di testa, per il suo poderoso mancino e per i filtranti che ha sempre ricamato in pochi metri. Nella consapevolezza che solo un giocatore del genere, ben più che un Morfeo, potesse farmi da guida ed aiutarmi a far luce su alcune questioni di una certa importanza. Tipo che esistono gli alti e i bassi, e che le passioni, proprio a fronte dei suddetti alti e bassi, vanno coltivate con cura perché possano durare per decenni, o perlomeno il più a lungo possibile. Come, banalissimamente, tutte le cose della vita.