La narrazione tossica della Supercoppa Italiana
di Alex Campanelli | Gennaio 13, 2022
Quando Alex Sandro ha colpito la palla col petto in modo improvvido nel cuore dell’area di rigore al minuto 120, ha danneggiato la Juventus due volte. Perché di fatto ha regalato il gol partita all’Inter, ma anche e soprattutto perché ha fornito un pericolosissimo alibi alla Juve, perpetrando una narrazione errata e fuorviante che sta facendo il male di questa società.
Il piano partita di Allegri era chiaro e fondamentalmente sempre il solito, ed è stato eseguito alla perfezione fin quasi all’ultimo minuto: i bianconeri non hanno mai cercato di contestare il possesso palla dell’Inter (appena 37% per la Juve, secondo peggior dato stagionale dopo la trasferta di Napoli), difendendo coi due blocchi da 4 bassi più Kulusevski a schermare Brozovic, che di fatto è stato limitato in maniera più che egregia finché lo svedese è rimasto in campo.
Nel primo tempo la Juve si è consegnata quasi totalmente all’Inter, passando alla prima occasione da gol, con Kulusevski abile a creare superiorità sull’out di competenza e a cambiare gioco per Morata, poi preciso nel cross per un McKennie lasciato inspiegabilmente solo a centro area. Come accade praticamente sempre, di lì in avanti la Juve si è abbassata, ha concesso campo ai nerazzurri (a tratti troppo titubanti nello sfruttare l’abbassamento) e, anche dopo il rigore, non è mai andata al tiro da posizioni particolarmente vantaggiose, oltre alla conclusione di Bernardeschi sul centro-destra a metà della seconda frazione. I subentranti Kean, Dybala e Arthur non sono riusciti a incidere, anche perché assembrati nella linea maginot di centrocampo che aveva il compito, peraltro svolto in maniera rivedibile, di ritardare l’offensiva dell’Inter.
Nei supplementari la Juve ha definitivamente abbandonato ogni velleità offensiva (2 tiri complessivi in 30′, 0 nello specchio), cercando di portare la gara ai rigori, e l’insistenza della squadra di Inzaghi, che pure ha creato poco in relazione alle lunghe fasi di gara trascorse a campeggiare nella trequarti bianconera, ha trafitto la Juventus proprio mentre l’allenatore ordinava ai suoi di fare fallo per permettere l’ingresso di Bonucci in vista dei tiri dal dischetto.
A fine partita Allegri ha elogiato l’approccio e la prestazione della squadra, giustificando Alex Sandro e confermando alla stampa i segnali di crescita da lui intravisti nelle uscite precedenti. Il vero dilemma è proprio questo: la Juventus è veramente solo quella vista in Supercoppa, e non può proprio essere altro?
In molti a fine gara hanno cavalcato la facile retorica della squadra che suda la maglia, lotta fino all’ultimo e viene punita dall’errore del singolo, si è parlato di prova di carattere e di spirito Juve ritrovato, ma rovesciamo per un attimo il discorso: in una partita come la Supercoppa Italiana, una gara secca contro la rivale di sempre, è davvero così difficile trovare motivazioni e lottare “fino alla fine” pur essendo inferiori? Le 9 squadre che hanno conteso la Supercoppa alla Juve negli ultimi 9 anni, sono scese in campo consapevoli di perdere o hanno cercato di annullare, con l’intensità, la voglia e l’attenzione, il gap tecnico nei confronti della corazzata bianconera?
Al pari dell’errore di Alex Sandro (il quale, intendiamoci, merita 4 in pagella), un altro specchietto per le allodole è quello relativo alle assenze: “con questi giocatori a disposizione, potevamo giocare solo così”. Tale affermazione ha perfettamente senso se si osserva il cammino della Juventus sin qui, dato che era pressoché impossibile aspettarsi una rivoluzione dal punto di vista del gioco da un giorno all’altro (anche se alcuni segnali lanciati dal secondo tempo dell’Olimpico potevano essere colti, ma così non è stato), ma non è vera in assoluto.
Le controprove, in questo caso, sono infinite: dal Napoli che senza metà squadra ha giocato a viso aperto contro Juve e Milan, allo stesso Milan vittorioso con la Roma con Gabbia-Kalulu, fino all’Atalanta che non snatura mai la sua proposta di gioco anche quando è priva di uomini chiave come Gosens, de Roon e Zapata. In generale, una narrazione del genere porterebbe a pensare che ogni squadra che affronta un avversario superiore sia tenuta a doversi trincerare nella propria metà campo, quando invece la Serie A ogni settimana ci fornisce esempi diametralmente opposti e lontani da una concezione del calcio ormai vetusta che stava portando il pallone nostrano lontanissimo dai canoni europei.
Con tutti i titolari a disposizione la partita sarebbe finita in maniera diversa? Non possiamo saperlo, ma è altamente probabile ipotizzare che la Juventus non avrebbe messo in campo un piano gara molto diverso da questo; anche all’andata in campionato i bianconeri, peraltro con l’aggravante di dover recuperare lo svantaggio iniziale e contro un’Inter molto più remissiva di quella vista in Supercoppa, e con quasi tutta la rosa a disposizione, avevano disputato una delle peggiori gare stagionali a livello di prestazione offensiva, creando appena 0,58 xG, rigore escluso (dati Understat).
L’ipotesi di una doppia pelle della Juve, dominante nelle gare con le piccole e reattiva nei big match, non è ammissibile viste le difficoltà incontrate in fase di costruzione anche con le compagini meno attrezzate, ma a preoccupare più di tutti è il farsi strada dell’idea che non ci siano altre vie percorribili, altre strade differenti dal prostrarsi sistematicamente all’avversario più forte cercando di cavalcare l’episodio. Se ammettiamo la veridicità dell’affermazione “la Juventus deve ritrovare il piacere di difendersi”, va anche sottolineato che, una volta recuperato, esso dev’essere affiancato da una proposta offensiva quantomeno credibile, altrimenti siamo al solito lancio di dadi; se esce 6, tiri fuori Juve – Chelsea 1-0, se esce 1 schieri 4 mediani ed ecco il 4-0 di Stamford Bridge.
La Juventus 2021/22 è una squadra prigioniera di preconcetti che è l’ambiente stesso ad autoalimentare, giustificando i propri passi falsi tramite l’enfatizzazione degli elementi utili alla propria narrazione, condannando alla damnatio memoriae tutti gli approcci differenti e demonizzando chi fa calcio in maniera differente (quasi tutti, ormai), trincerandosi dietro a un DNA e a uno stile che sono stati volutamente travisati. Quando toccheremo il fondo, quando rimarremo soli, allora magari troveremo il coraggio di provare a risalire; fino ad allora, a divertirsi saranno sempre e comunque gli altri.