Jessica Fletcher diceva che solo i deboli sentono il bisogno di dover dimostrare qualcosa :snob:
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perche' Jessica Fletcher non aveva a cha fare con reclute
Ma si vedono J e K con la piattola in un quadro?
Nuovo trailer
https://www.youtube.com/watch?v=F3lJwV7ZIIk
Potrebbe essere carino
Ma sì...
parrebbe simpatico...
pare faccia cagare :sad:
https://www.ign.com/articles/2019/06...ational-review
That lack of tension pervades the entirety of International. It feels like Men In Black by numbers, a trudge from one set-piece to the next untidily glued together by weak gags and sharp suits, never getting us to care about its characters or the world-changing stakes. In fact, like the first film’s Bug bad guy, it feels as though something unfamiliar is wearing Men In Black’s skin - except what’s inside is, somehow, just really dull.
Ma non mi dire ... ho avuto quella stessa sensazione mesi prima dell’uscita del terzo Ghostbusters ...
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Piuttosto significativa questa recensione sui danni del politically correct attuale
Da Mangaforever
Citazione:
Men in Black: International di F. Gary Gray | Recensione
Il film arriverà nelle sale italiane dal prossimo 25 luglio.
Titolo originale: Men In Black: International
Durata: 115 min.
Genere: fantascienza
Regia: F. Gary Gray
Sceneggiatura: Matthew Holloway, Art Marcum
Cast: Chris Hemsworth, Tessa Thompson, Rebecca Ferguson, Kumail Nanjiani, Liam Neeson, Rafe Spall, Emma Thompson, Laurent Bourgeois, Larry Bourgeois, Kayvan Novak, Spencer Wilding, Sartaj Garewal, Stephen Wight
Produzione: Columbia Pictures Corporation, Sony Pictures Entertainment (SPE), Amblin Entertainment
Distribuzione: Sony Pictures Italia/Warner Bros. Pictures Italia
Data di uscita: 25 luglio 2019
Di Matteo Regoli - 24 Luglio 2019
Men In Black: International è la dimostrazione di quanto puntare su coppia vincente di attori non sia sinonimo di qualità filmica a schermo se poi quel potere da star system che i corpi dei suddetti attori emanano non viene incanalato e rielaborato dalle idee di un vincente regista: avevano fatto faville sullo schermo Chris Hemsworth e Tessa Thompson nell’iconoclasta e divertentissimo Thor: Ragnarok, ma sfortunatamente per il franchise di Men in Black F. Gary Gray non sa nulla né di iconoclastia né di divertimento, per lo meno non sulla scala che gli viene richiesta in questa sede.
Molto più a suo agio nel cinema piccolo e urbano – suo è Il Risolutore del 2003 con Vin Diesel, lo stesso anno in cui uscì il remake di The Italian Job, sempre suo è Giustizia Privata del 2009, col picco della carriera arrivato con Straight Outta Compton nel 2015 – Gray continua a dimostrarsi inadatto alle produzioni ad alto budget, e dopo il pessimo Fast & Furious 8 realizza un altro film molto al di sotto delle aspettative, magari non così scadente ma di certo non all’altezza degli standard contemporanei.
Spostando tutto a Londra si abbandona l’aura da racconto urbano simil-poliziesco che invece contraddistingueva il primo film della saga (a dire il vero l’unico davvero riuscito di una trilogia non proprio brillante) in favore di un’atmosfera più jamesbondiana, che però di jamesbondiano non vuole avere praticamente nulla: Men In Black: International sembra un film che vorrebbe essere qualcosa ma che invece deve essere per forza qualcos’altro, e il personaggio di Tessa Thompson è l’emblema di questo cortocircuito.
Passi la pigrizia degli effetti speciali, passi lo svolgimento banale e l’ancor più banale risoluzione della vicenda, passino perfino i vuoti totali di idee visive interessanti … ma è impossibile credere ad un film che con così poca onestà intellettuale cerca continuamente di vendere se stesso all’inclusività del cinema mainstream attraverso un personaggio così finto e mal concepito come quello dell’agente M (Tessa Thompson): pur di dipingercela come perfetta, incredibilmente risoluta e migliore in tutto e per tutto del collega maschio (teoricamente veterano, o comunque presumibilmente ben più esperto di lei, appena arrivata), gli sceneggiatori (gli stessi del primo Iron Man) abbandonano totalmente un concetto fondamentale al cinema: l’immedesimazione dello spettatore nel personaggio.
Chi guarda un film per la prima volta si presuppone che non ne conosca il mondo che lo muove, tipicamente si sfrutta un protagonista che come il pubblico è un neofita di quel mondo e così il punto di vista del personaggio diventa quello dell’attore mentre entrambi, durante il procedere della narrazione, scoprono cose nuove, vivono le stesse esperienze diverse, imparano e immagazzinano e alla fine escono arricchiti da quell’esperienza (esempio più immediato perché in questi giorni sulla bocca di tutti, Avatar … ma accadeva così anche nel Men in Black originale). Tessa Thompson, in questo film, sembra conoscere il mondo che si ritrova davanti come un nerd qualsiasi messo di fronte ad un quiz sulla sua saga cinematografica preferita, minando completamente il rapporto che la lega al personaggio di Hemsworth, sempre in difficoltà rispetto alla collega.
Il rapporto di forza fra i due è totalmente farlocco, un errore madornale probabilmente figlio del timore di ritrarre una donna subalterna ad un uomo nel 2019: comprensibile da un punto di vista socio-politico, imperdonabile in ottica cinematografica.
E ancora da Badtaste.
La nera bisessuale o lesbica che è migliore di tutti gli altri.Citazione:
Men in Black: International, la recensione
Gabriele Niola
23 luglio 2019 18:00
Men in Black International
di F. Gary Gray
25 luglio 2019
Cinema Recensioni
Non c’è niente di peggio di un film timoroso, e Men in Black: International lo è. È timoroso di non essere all’altezza dell’originale (e ha buone ragioni a esserlo), è timoroso di non essere sufficientemente corretto, è timoroso di non far ridere a sufficienza e di non essere esotico come altri blockbuster. Quindi l’avventura nella sede londinese dei Men In Black segue pedissequamente il manuale di questo tipo di film (inclusa la scoperta di chi sia il cattivo, come e perché), non ha voglia di essere originale, si sposta pretestuosamente in diverse location (quasi le stesse di Aquaman) e alla fine finisce dove era iniziato senza quasi nessuna evoluzione per i personaggi, facendo cioè il minimo lavoro su di loro.
Tutto questo sarebbe passabile se almeno Men in Black: International vivesse il suo momento, se almeno godesse e facesse godere delle sue singole scene. Ma non è così.
Quella strana forma di umorismo non convenzionale nella scoperta di un sottobosco alieno e metropolitano nella nostra realtà non solo non c’è ma proprio è rifiutato. Questo quarto Men in Black, il primo senza Will Smith, scritto dagli autori di Iron Man 3 e Transformers – L’Ultimo Cavaliere con il regista di Straight Outta Compton al timone, è pensato come fosse un film di James Bond (sarà l’ambientazione britannica) tutto grandi intrighi, spionaggio e complotti da svelare. Anche quell’ordinarietà della vita degli agenti tra alieni e umani diventa marginale nel tentativo di rendere il film uguale a qualsiasi altro.
Ma il problema più grande è Tessa Thompson. Non è difficile capire che il suo personaggio porti Men in Black in una dimensione più moderna: non più una coppia di uomini ma un uomo e una donna. Tuttavia il film è così spaventato all’idea di muoversi male, essere goffo e scrivere male la sua protagonista da esaltarla senza se e senza ma. Dovremmo immedesimarci con lei ma sebbene l’agente M sia appena entrata nei Men in Black (li ha trovati da sé dopo averli visti segretamente in azione da piccola ed essere determinata a diventarne parte), appare perfetta: sa tutto, capisce tutto, azzecca tutto. Solitamente i film usano lo stratagemma del novellino o della recluta per far immedesimare lo spettatore con qualcuno che come lui entra in un mondo di cui non sa nulla (del resto lo faceva anche l’originale con Will Smith), qui invece M è inspiegabilmente una veterana.
Se non bastasse è anche umanamente impeccabile, ha qualche problema da risolvere ma non ha difetti, porta solo valori positivi. Non si lascia abbattere da niente, non è contaminata da cattiverie e assolutamente non ha un briciolo di stupidità (tutta lasciata al suo socio), non è mai ridicola, né le accade qualcosa che la possa far sembrare imbranata.
Come se non bastasse poi la paura è tale che alla fine verrà comunque detto a chiare parole che lei è meglio del suo compagno, cioè che la donna ha fatto tutto meglio dell’uomo, come verrà detto a chiare lettere che Men In Black è il nome del gruppo e “non si può cambiare in Women in Black” ma lo stesso lei verrà chiamata informalmente Woman in Black. Così che nessuno abbia da ridire.Non è così che si scrive un personaggio, e non è questo che si intende quando si parla di modificare la percezione della donna nel cinema mainstream.
Questo è uno dei requisiti imprescindibili se vuoi fare un film "correct" nel 2019
e infatti è un floppone, non funzionano mai questo genere di operazioni (il prossimo sarà terminator)
Dicono sia una porcata immonda ...
Ma credo che la cosa fosse palese da mesi oramai
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Questa storia del progressismo forzato a tutti i costi sta iniziando ad essere pesante, mi domando se qualcuno nel settore aprirà mai un dibattito serio e costruttivo per superare lo strapotere ingiustificato dei social sui media.
Davvero, se così fosse si sta instaurando una vera e propria dittatura al contrario e nessuno fa un cazzo :o