Per qualche motivo resto sempre basito a vedere come la peggiore mala informazione funzioni alla perfezioni con vuoi.
Strumentalizzare un fatto, una dichiarazione o un qualunque evento mediatico è di per sé un atto vile.
Edificare un becero attacco politico su patologie con le quali molte persone combattono da anni è quanto di più spregevole si possa fare.
Nelle settimane scorse, alla luce di numerose segnalazioni che ho ricevuto, ho voluto occuparmi di una problematica rispetto alla quale ritengo ci sia stata sempre scarsa attenzione.
A differenza della calvizie, l'alopecia areata è una delle malattie genetiche e autoimmuni più diffuse, con una incidenza stimata attorno all'1,7 per cento della popolazione (circa 145 milioni di persone al mondo soffrono di tale patologia), che può manifestarsi in qualunque età e senza distinzioni di sesso.
A pagarne caro il prezzo sono in prevalenza le donne, che devono fare i conti un forte impatto sulla psiche anche in termini di percezione dell’accettabilità sociale.
Ad oggi non sono poche le ragazze, anche molto giovani, che fanno i conti con la caduta dei capelli, convivendo con un vero e proprio trauma che segnerà inevitabilmente la loro esistenza.
La patologia in questione provoca la repentina caduta dei capelli ed è da considerarsi nel novero delle malattie rare, nonostante sia riconosciuta dal sistema sanitario nazionale.
Abbiamo approfondito la questione e abbiamo scoperto che chi cerca di contrastare questa patologia, lo fa accollandosi costi altissimi per sostenere terapie che spesso si rivelano inefficaci.
Abbiamo per questo deciso di sposare questa battaglia e al nostro Governo abbiamo chiesto di valutare la possibilità di assumere iniziative volte ad inserire l’alopecia areata nell’elenco delle malattie croniche e invalidanti e a prevedere una esenzione per l'effettuazione di esami, cure, terapie e acquisizione di dispositivi medici.
In sostanza, abbiamo preso in carico una problematica di una fascia di popolazione che chiede di essere ascoltata e le abbiamo dato voce.
Titoli come questi non li percepiamo come una lesione del nostro lavoro, ma piuttosto come un’offesa contro chi soffre di questa patologia che è sia fisica che psichica.
Persone che non saranno mai sole, perché chi fa politica per i cittadini non si farà certo scoraggiare dalla peggiore forma di disinformazione.
A prescindere dall’opinione personale che nutro verso quotidiani come LIBERO e di IL GIORNALE, che tengo per me, sono costretto a rispondere ad un articolo indecoroso, dove la notizia è stata, come avviene sistematicamente, strumentalizzata e fatta passare per ciò che non è