Kronos The Magazine - Elogio alla Follia Kronos The Magazine - Elogio alla Follia - Pagina 2

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Discussione: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia

  1. #21
    Kronos The Mad
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    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia, al Bizzarro e al Meraviglioso

    Citazione Originariamente Scritto da Ceccazzo Visualizza Messaggio
    dai, almeno linka la pagina di quella poveretta che sforna gli articoli
    Oggi aggiusto tutto sisi
    Non è solo lei nono
    \

  2. #22
    Senior Member L'avatar di manuè
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    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia, al Bizzarro e al Meraviglioso

    madò... certe storie si fa proprio fatica a leggerle

    nel medioevo con i roghi non è che sbagliassero di molto
    se lasciati a se stessi i problemi tendono a risolversi da soli, se così non accade, allora è meglio lasciar perdere il tutto e passare ad altro.

    - gli ignoranti ignorano -

  3. #23
    Kronos The Mad
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    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia

    Giorgio William Vizzardelli, il killer di Sarzana che amava al Capone



    Giorgio William Vizzardelli, conosciuto anche come il killer di Sarzana, è stato un serial killer diventato il più giovane ergastolano della storia italiana.

    Uccise 5 persone nel comune di Sarzana, in provincia di La Spezia, cominciando quando aveva appena 14 anni.

    Giorgio nasce nel 1922 e vive con la famiglia a Sarzana, dove il padre è direttore dell’Ufficio di Registro (che corrisponderebbe all’Agenzia delle Entrate moderna).
    Il padre gli impartisce una forte disciplina, così come gliela impartiscono a scuola. Giorgio è uno studente svogliato, che si caccia spesso nei guai, ma è comunque ritenuto un bravo ragazzo.
    Da bambino sopravvive a un forte terremoto, esperienza che lo sciocca profondamente lasciandogli anche frequenti mal di testa.
    Crescendo comincerà due hobby: sparare con la pistola e distillare liquori in casa. Comincia anche a leggere le biografie di Al Capone, vedendolo come un idolo da imitare.

    A soli 14 anni uccide il rettore e il guardiano del collegio che frequentava.
    Entra nello studio del rettore, Don Umberto Bernardelli, che pensa a una rapina e gli consegna una busta con 50.000 lire.
    Giorgio però spara, uccidendo il rettore. Mentre scappa viene visto dal custode, Frate Andrea Bruno, che lo riconosce e spara anche a lui.
    Più avanti confesserà che aveva ucciso il rettore perché giorni prima l’aveva punito con uno schiaffo per avere bruciato delle carte geografiche.
    Giorgio non aveva mai sopportato l’imposizione della disciplina con la violenza, e uccidendo il rettore si era simbolicamente vendicato di tutti i maestri che lo avevano picchiato, spesso fino a farlo sanguinare.
    Dopo gli omicidi torna a casa e si comporta in modo tranquillo, come se nulla fosse accaduto.
    La polizia non sospetta minimamente del ragazzo e, anzi, segue la pista politica arrivando ad arrestare un giovane innocente. Il giovane, avendo un alibi di ferro, sarà poi rilasciato e risarcito dal Duce in persona con 25.000 lire.
    La gente invece mormora sulla condotta morale del rettore, che si dice abbia avuto molti incontri amorosi con diverse donne, e pensa che l’omicidio sia stato portato a termine da un marito geloso.

    Un conoscente di Giorgio, un barbiere ventenne, un giorno dice scherzando che forse l’autore degli omicidi è proprio lui.
    Giorgio nega, ma dal suo comportamento l’amico capisce che era davvero stato lui. Invece di denunciarlo lo ricatta chiedendogli la metà dei soldi sottratti al rettore.
    Giorgio gli dà la sua parte in piccole somme, ma il barbiere vuole di più. Giorgio gli dice allora che ha nascosto i soldi e gli dà un appuntamento.
    Quando il barbiere arriva a bordo di un taxi, Giorgio lo fredda a colpi di pistola. Poi, con una pistola diversa, uccide anche il tassista.
    La polizia capisce che non si tratta di un killer spinto da motivazioni politiche e collegano i due ultimi omicidi ai primi.
    L’ultimo omicidio di Giorgio avviene nel dicembre del 1938, quando uccide il guardiano dell’ufficio di Registro, Giuseppe Bernardini di 75 anni, poi ruba 30.000 lire.
    Il guardiano verrà ritrovato morto, con testa fracassata e una scure ancora incastrata nel cranio.
    La polizia nota che non ci sono segni di effrazione e che quindi chi è entrato doveva avere la chiave. Vanno subito a casa di Giorgio, il cui padre è il direttore dell’ufficio, e lo interrogano.
    L’uomo dice che le chiavi le ha lui e le mostra al poliziotto che nota una sostanza appiccicaticcia su alcune di esse. Quando scopre che l’hobby del figlio è quello di distillare liquori, portandolo quindi a sporcarsi le mani con sostanze appiccicose, decide di interrogare anche lui.
    All’inizio nega tutto, ma ci sono troppi indizi contro di lui:

    • la sostanza sulle chiavi
    • il fatto che la sera dell’ultimo omicidio non avesse un alibi (non era tornato a casa e il padre aveva fatto denuncia di scomparsa, poi ritirata)
    • conosceva il barbiere
    • frequentava la scuola dove erano avvenuti i primi due omicidi




    Alla fine confessa tutto, gli omicidi e i moventi. Il movente dell’ultimo omicidio era quello di rubare dei soldi con cui poi scappare in America, terra del suo idolo Al Capone.
    Quando lo arrestano dice che in Italia i suoi crimini non sono stati capiti e che se fosse stato in America, sarebbe diventato una celebrità come il suo idolo.
    Non viene condannato a morte perché ancora minorenne, ma viene condannato all’ergastolo. Il padre farà di tutto per farlo uscire e nel 1968 otterrà la libertà vigilata.
    Va a vivere a casa della sorella dove, cinque anni dopo, si suicida tagliandosi la gola con un coltello da cucina.
    Così finì uno dei casi di cronaca nera quasi dimenticato, ma che ha contribuito alla storia criminologica italiana.

    Fonte

  4. #24
    koba44
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    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia

    Ai tempi del DVCE queste cose non succedevano...

  5. #25
    Senior Member L'avatar di manuè
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    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia

    Giorgio è uno studente svogliato, che si caccia spesso nei guai, ma è comunque ritenuto un bravo ragazzo.
    salutava sempre...
    se lasciati a se stessi i problemi tendono a risolversi da soli, se così non accade, allora è meglio lasciar perdere il tutto e passare ad altro.

    - gli ignoranti ignorano -

  6. #26
    Senior Member L'avatar di freddye78
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    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia

    ...prima di sparare

  7. #27
    macs
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    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia

    un ragazzo tranquillo

  8. #28
    Senior Member L'avatar di GenghisKhan
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    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia

    Minchia

  9. #29
    Senior Member L'avatar di GenghisKhan
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    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia

    Grande Kronos

    Credo di aver letto tutto

  10. #30
    Senior Member L'avatar di freddye78
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    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia

    Cercate 1 lunatic 1 ice pick..

  11. #31
    Senior Member L'avatar di iseh
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    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia

    mi iscrivo

  12. #32
    Kronos The Mad
    Guest

    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia

    Stasera ben 4 cosette delle rispettive categorie + 1 bonus: nuova categoria in arrivo?

    Misteroh

  13. #33
    koba44
    Guest

    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia

    Sì però chi ha ricevuto da Kronos un pm con caratteri strani? Solo io? Devo guardarmi il culo?

  14. #34
    macs
    Guest

    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia

    sì, se senti suonare il campanello stasera non aprire.

  15. #35
    Kronos The Mad
    Guest

    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia, al Bizzarro e al Meraviglioso

    Il Diavolo e i Sette Nani

    Un pallido sole era appena sorto quella mattina, quando un soldato bussò alla porta dell’Angelo. Non avrebbe mai disturbato il suo sonno, se non fosse stato certo di portargli una scoperta davvero eccezionale. Udita la novità, l’Angelo si vestì in men che non si dica e si affrettò verso i cancelli, gli occhi brucianti di trepidazione.
    Era il 19 maggio 1944, ad Auschwitz-Birkenau, e Josef Mengele stava per incontrare la più grande famiglia di nani di cui si avesse notizia.



    Gli Ovitz erano originari di Rozavlea, un villaggio nel distretto di Maramureș in Transilvania (Romania). Il loro patriarca era il rabbi itinerante Shimson Eizik Ovitz, affetto da pseudoacondroplasia, una forma di nanismo; nell’arco di due matrimoni egli aveva avuto dieci figli, di cui sette affetti dalla sua stessa malattia genetica. Cinque di loro erano femmine, e due maschi.
    Il nanismo impediva i lavori manuali e faticosi: come risolvere il paradosso di una famiglia così numerosa in cui la forza lavoro era però quasi inesistente? Gli Ovitz decisero di rimanere il più uniti possibile, e si dedicarono all’unica attività che avrebbe garantito una vita decorosa a tutti loro: lo spettacolo.



    Fondarono quindi la “Lilliput Troupe”, uno show itinerante in cui si esibivano soltanto i sette fratelli e sorelle nani; gli altri membri della famiglia, di media statura, operavano dietro le quinte occupandosi della stesura degli sketch, dei costumi o lavorando come manager per ottenere nuovi ingaggi. Il loro show di due ore consisteva principalmente in numeri musicali, in cui la famiglia proponeva le hit del momento suonando strumenti costruiti su misura (piccole chitarre, viole, violini, fisarmoniche). Per quindici anni girarono con enorme successo tutta l’Europa centrale, unico spettacolo di soli nani nella storia dell’intrattenimento, finché l’ombra scura del Nazismo non li raggiunse.




    Gli Ovitz, sulla carta, erano destinati a morire. Innanzitutto perché erano ebrei osservanti; e in secondo luogo perché erano “malformati”, e secondo il programma di eutanasia chiamato Aktion T4 le loro erano “vite indegne di essere vissute” (Lebensunwertes Leben).
    All’epoca del loro arrivo ad Auschwitz, erano in dodici. Il più giovane era un bambino di 18 mesi.




    Josef Mengele, soprannominato l’Angelo della Morte (Todesengel), è rimasto una delle figure più tristemente celebri di quegli inimmaginabili anni di terrore. Nei racconti dei sopravvissuti, il suo personaggio è senza dubbio il più enigmatico e spiazzante: uomo colto e raffinato, doppia laurea in antropologia e medicina, affascinante come un divo di Hollywood, Mengele possedeva un secondo volto, fatto di violenza e crudeltà, capace di affiorare in maniera del tutto disinvolta. A quanto si racconta, poteva portare zucchero ai bambini nel campo nomadi, suonare il violino per loro e, poco dopo, iniettare nel loro cuore del cloroformio su un tavolo di laboratorio o compiere personalmente un’esecuzione di massa a colpi di pistola. In qualità di medico del campo, spesso iniziava la giornata stando sulla banchina e decidendo con un colpo d’occhio e un gesto della mano chi fra i nuovi deportati era destinato al campo o a essere eliminato nelle camere a gas.
    Era nota la sua ossessione per i gemelli, che secondo le sue ricerche e quelle del suo mentore Otmar von Verschuer (sempre bene informato delle attività del suo pupillo), avrebbero racchiuso i segreti definitivi dell’eugenetica. Mengele condusse esperimenti umani di ineguagliato sadismo, infettando individui sani con varie malattie, eseguendo dissezioni a paziente vivo e senza anestesia, iniettando inchiostro negli occhi per provare a renderli più “ariani”, sperimentando veleni e bruciando i genitali delle sue cavie con l’acido. Mengele non era uno scienziato pazzo che operava di nascosto, come si era inizialmente creduto, ma era spalleggiato dall’élite della comunità scientifica tedesca: essi godevano sotto il III Reich di inusitata libertà, a patto che dimostrassero che le loro ricerche fossero relative alla costruzione di una razza superiore di combattenti – uno dei chiodi fissi di Hitler.



    “Ora ho lavoro per vent’anni”, esclamò Mengele. Appena vide la famiglia Ovitz, dispose immediatamente che venissero risparmiati e collocati in baracche privilegiate, in cui avrebbero ricevuto razioni di cibo più abbondanti e goduto di migliore igiene. Era particolarmente interessato al fatto che la famiglia comprendesse sia individui di media statura che affetti da nanismo, così ordinò che anche i membri “normali” fossero salvati dalle camere a gas. A quel punto, anche alcuni altri prigionieri dello stesso villaggio degli Ovitz dichiararono di essere loro parenti (e gli Ovitz si guardarono bene dal tradirli), e vennero spostati assieme a loro. In cambio di una vita relativamente più agiata rispetto agli altri internati – non erano stati rasati a zero, né costretti ad abbandonare i propri vestiti – gli Ovitz vennero sottoposti a una serie di esperimenti. Mengele prelevava regolarmente ingenti campioni di sangue (anche dal piccolo di 18 mesi). Resoconti scritti di medici deportati gettano ulteriore luce sulle infinite misurazioni e comparazioni antropologiche tra gli Ovitz e i loro vicini di casa, che Mengele aveva scambiato per appartenenti alla famiglia. I dottori prelevarono midollo osseo, estrassero denti sani, strapparono capelli e ciglia, e svolsero test psicologici e ginecologici su tutti loro.
    Le quattro donne nane sposate furono sottoposte ad attento scrutinio ginecologico. Le ragazze minorenni del gruppo erano terrificate dalla fase successiva dell’esperimento: temevano che Mengele le accoppiasse con i maschi nani e trasformasse i loro uteri in veri e propri laboratori, per vedere quale progenie ne sarebbe risultata. Si sapeva che Mengele l’aveva già fatto con altri soggetti sperimentali.
    (Koren & Negev, The dwarfs of Auschwitz)

    In tutto questo, l’Angelo bianco manteneva un rapporto volutamente ambiguo con la famiglia, in continuo equilibrio fra la spietata crudeltà e l’inaspettata gentilezza. D’altronde, se aveva raccolto centinaia di gemelli e poteva permettersi di sacrificarli quando voleva (si racconta di sette coppie di gemelli uccisi in una sola notte), aveva soltanto una famiglia di nani.
    Eppure gli Ovitz non coltivavano finte speranze: erano consci che, nonostante i privilegi, sarebbero morti lì. Invece vissero abbastanza a lungo da vedere la liberazione di Auschwitz il 27 gennaio 1945. Camminarono per ben sette mesi per tornare al loro villaggio, ma trovarono la loro casa completamente saccheggiata; quattro anni più tardi emigrarono in Israele, e ricominciarono i loro spettacoli fino a quando non si ritirarono dalle scene nel 1955.



    Mengele, com’è noto, scappò in Sudamerica sotto falso nome e nei suoi oltre trent’anni da fuggitivo la sua leggenda crebbe a dismisura, amplificandone le già terribili gesta fino a identificarlo con una sorta di demonio che gettava bambini vivi nel forno e uccideva per semplice divertimento. Diversi resoconti ne restituiscono una versione meno esagerata e colorita, ma non per questo meno inquietante: gli esperimenti umani condotti a Birkenau (e, nello stesso periodo, in Cina all’interno della famigerata Unità 731) sono fra gli esempi più agghiaccianti di una ricerca scientifica che si stacca completamente dalla questione etica.



    L’ultima appartenente alla famiglia, Perla Ovitz, si spense nel 2001. Fino alla fine continuò a raccontare la storia della sua famiglia, racchiudendo in una sola frase tutta l’impotenza e la dolorosa assurdità di una simile vicenda, impossibile da spiegare a se stessa e al mondo: “mi sono salvata per grazia del diavolo“.



    Per approfondire:



    dal documentario The Seven Dwarfs of Auschwitz (acquistabile e scaricabile qui) , in cui è presente anche uno stralcio del racconto di Perla Ovitz.

    Giants: The Dwarfs of Auschwitz (Koren&Negev, 2013) è la principale ricerca sulla famiglia Ovitz, basata sulla testimonianza di Perla Ovitz e decine di altri superstiti.
    Children of the Flames: Dr. Josef Mengele and the Untold Story of the Twins of Auschwitz (Lagnado e Dekel, 1992) racconta degli esperimenti di Mengele sui gemelli, con interviste a innumerevoli sopravvissuti.
    – Il video in cui il figlio di Mengele, Rolf, racconta del suo incontro con il padre – che non aveva mai conosciuto e che viveva in incognito in Brasile.
    La verità su Cândido Godói, paesino del Brasile con un’inaspettata incidenza di parti gemellari, in cui negli anni ’60 si aggirava uno strano medico tedesco: Mengele ha continuato i suoi esperimenti in Sud America?


    fonte
    Ultima modifica di Kronos The Mad; 17-12-16 alle 00:54

  16. #36
    Kronos The Mad
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    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia

    Sakakibara – il killer bambino dal Giappone



    Seito Sakakibara è lo pseudonimo con il quale si firmava un quattordicenne giapponese, colpevole di avere torturato e ucciso due bambini delle scuole elementari. Nel processo e nei media il suo nome non è stato reso noto ed è stato chiamato, come d’uso in Giappone, solamente “ragazzo A”.

    Gli omicidi

    Il 27 maggio viene ritrovata, impalata sul cancello della scuola elementare Tainohata, la testa di Jun Hase un alunno della scuola che frequentava le classi per bambini con disabilità. Gli occhi erano stati cavati e la bocca tagliata agli angoli come a formare in grande sorriso sulle guance. Gli esami rivelarono che era stata tagliata con una sega manuale. All’interno della bocca vi era un foglio con una nota scritta in penna rossa, firmata Sakakibara, che diceva:

    Questo è l’inizio del gioco… Provate a fermarmi se ci riuscite, stupidi poliziotti… Ho una voglia disperata di vedere morire la gente, per me è un brivido uccidere. Serve un giudizio sanguinario per i miei anni di grande amarezza.
    Inoltre recava la scritta in inglese “shooll kill”, con la parola “school”, scuola, scritta male.
    Il 6 giugno 1997 Sakakibara inviò una lettera al giornale “Kobe Shinbun” in cui affermava di essere il responsabile dell’omicidio e della decapitazione del piccolo Jun. Inoltre annunciò che avrebbe ucciso di nuovo.
    La polizia notò come lo stile di questo killer ricordava quello dello Zodiac, il killer che terrorizzò San Francisco negli anni ’60 dello scorso secolo, il quale inviava lettere ai giornali vantandosi dei suoi omicidi e annunciandone altri. Successivamente arrivò anche un’altra lettera di tre pagine scritte sempre con inchiostro rosso, in cui compariva il nome Sakakibara Seito, già presente nella nota ritrovata nella testa mozzata di Jun. Gli ideogrammi usati per quel nome, presi singolarmente, significano “alcol”, “diavolo”, “rosa”, “santo” e “lotta”.

    La lettera



    Ora, è l’inizio di un gioco. Sto mettendo a rischio la mia vita per il bene di questo gioco… se mi catturano sarò probabilmente impiccato… la polizia dovrebbe essere più arrabbiata e più zelante nel cercarmi… E’ solo quando uccido che sono liberato dal costante odio di cui soffro e che sono capace di raggiungere la pace. E’ solo quando do dolore alla gente che calmo il mio dolore.
    La lettera conteneva anche delle critiche al sistema educativo giapponese, che secondo lui dava un’educazione forzata dalla quale egli stesso era stato formato: una persona invisibile. I media, venuti a conoscenza del nome usato e dei relativi ideogrammi, chiamarono il killer “La rosa del Diavolo” ma Sakakibara insistette nel farsi chiamare con il nome che lui aveva deciso. Lo disse con un’altra lettera in cui intimava di pronunciare bene il suo nome, altrimenti si sarebbe arrabbiato e avrebbe ucciso tre persone (adulte) alla settimana e mettendo in chiaro che non uccideva solo bambini.

    Arresto di Sakakibara

    Il 28 giugno Sakakibara venne arrestato come uno dei sospetti dell’omicidio di Jun e poco dopo il suo arresto confessò non solo questo omicidio ma anche quello di una bambina di 10 anni, Ayaka Yamashita, e l’aggressione a tre bambine nello stesso periodo. Sul suo diario scrisse di come l’aveva uccisa, colpendola al volto con un martello. Il padre di Ayaka aveva detto di poter riconoscere il colpevole e aveva chiesto alla scuola di Sakakibara di fargli vedere gli studenti, ma la scuola aggirò la richiesta. Ovviamente questo ebbe un grosso impatto sull’opinione pubblica che diede la colpa ai film violenti. Grazie a questo episodio l’età nella quale si può essere processati in Giappone è scesa da 16 a 14 anni.


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  17. #37
    Kronos The Mad
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    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia

    L'Isola delle Bambole Impiccate a Città del Messico

    Isola delle Bambole o Isla de las Munecas, è uno di quei posti che restano immersi in un’alea di mistero con particolari agghiaccianti e indecifrabili allo scibile umano.
    L’isola è stata così battezzata per la presenza di un numero incredibile di bambole impiccate.
    Uno scenario davvero degno dei migliori film horror per colui che si imbatta in questo angolo della terra, soprattutto per la storia che ha dato origine a tutto questo.
    L’Isola delle Bambole è situata su quello che una volta era chiamato lago Xochimilco.
    L’isola è una delle cosiddette chinampas, isole artificiali costruite in zone poco profonde del lago, durante il periodo pre-ispanico come mezzo per aumentare la produzione agricola. Esse erano così rigogliose che erano conosciute anche come giardini galleggianti. Il gran numero di chinampas costruite successivamente hanno contribuito al progressivo restringimento del lago Xochimilco nel sistema di canali che esistono oggi.
    Oggi queste numerose isole artificiali sono cadute in rovina ed abbandonate.



    Ma perché queste bambole si trovano in questo luogo dislocate ovunque in maniera tanto macabra? Tutto questo a causa di un avvenimento accaduto nel 1950. In quell’anno un uomo, Julian Santana Barrera, occupò uno degli isolotti del lago, vivendo in una capanna da lui stesso costruita.
    La particolarità fu che il misterioso individuo non usò l’isola per coltivare frutta e verdura bensì per produrre combustibile.
    Un evento successo nei pressi dell’Isola delle Bambole occupata da Barrera fu la causa che fece iniziare l’odissea di questo terrificante posto. Tre fanciulle stavano giocando quando una di esse annegò nelle torbide acque della laguna.
    Barrera che si insediò sull’isola dopo anni, rimase molto colpito da questa vicenda e decise di costruire un santuario dedicato allo spirito inquieto della povera ragazza, al fine di donarle pace eterna e qualcosa con cui giocare.
    Successivamente a quanto accaduto, il comportamento dell’uomo andò via via peggiorando assumendo sempre di più atteggiamenti insoliti.
    Ossessionato dagli incubi, iniziò a collezionare moltissime bambole e le appese su tutta l’isola, arrivando a dilapidare tutto il suo patrimonio per acquistarne il più possibile al fine di compiere questo strambo rituale in suffragio dello spirito inquieto della giovane morta annegata.



    Vi è una leggenda legata all’Isola delle Bambole la quale narra che le bambole di notte prendano vita, proteggendo l’isola ed il suo custode da tutto.
    Testimonianze affermano che l’uomo parlasse e cantasse con le bambole, prendendosi cura di loro come fossero esseri umani.
    Un comportamento bizzarro che si protrasse per molto tempo, finché un giorno Barrera fu trovato privo di vita: era il 2001.
    Ciò che rende la storia ancora più inquietante è che l’uomo fu trovato annegato nello stesso posto dove tempo prima fu ritrovata annegata la giovane ragazza.
    I fatti accaduti su quest’isola ne hanno reso la reputazione molto inquietante ma hanno anche permesso che centinaia di persone ogni anno affollassero l’isola per visitarla e assistere direttamente a uno scenario a dir poco spettrale e terrificante.
    Un’esperienza degna di persone appassionate di storie macabre quanto di persone coraggiose, anche se oggi è relativamente facile prenotare un tour per vedere l’isola, raggiungibile in traghetto.
    Un panorama allucinante, con queste figure dall’aspetto umano, appese ovunque come tanti corpi impiccati ad alberi, a steccati e a qualsiasi superficie verticale del luogo, con uno sguardo inquietante che pare fissare coloro che le osservano, come ad intimarle di andarsene il più velocemente possibile.
    Si ha la sensazione che lo spirito dell’uomo misterioso sia ancora presente su quell’isola sinistra e tetra, tra le sue bambole, per continuare a prendersi cura di loro per sempre.
    Questa è la comune convinzione della gente del luogo: il fantasma di Barrera continua ad abitare l’isola, insieme alle sue bambole, così come sono state sistemate.



    Sull’isola furono effettuate anche delle ricerche da alcuni studiosi ed esperti i quali affermarono che effettivamente le bambole sembravano essere pervase da una certa energia soprannaturale ed inquietante e che l’isola dava segnali di infestazione.
    L’équipe di esperti durante il soggiorno sull’isola riusci a documentare alcuni episodi stupefacenti: si registrarono ad esempio strani suoni provenire dal tetto della baracca dell’isola, così come altri rumori inquietanti e colpi nel buio si udirono nelle vicinanze della capanna. Il momento più raccapricciante delle ricerche avvenne quando una delle bambole sembrava aprire gli occhi spontaneamente quando gli veniva chiesto di farlo.
    L’intero evento è stato documentato con immagini e riprese. Un fatto che può sembrare frutto di uno dei più riusciti racconti horror della storia ma la cosa terrificante è che il tutto è stato ripreso, costituendo così una prova dei fenomeni paranormali verificatisi sull’inquietante Isola delle Bambole.









    Fonte
    Ultima modifica di Kronos The Mad; 17-12-16 alle 01:26

  18. #38
    Kronos The Mad
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    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia

    Il Corpo del Gigante

    Come accade per le vite di molti freaks, anche quella di Edouard Beaupré cominciò in maniera del tutto comune e senza alcun presagio di un futuro straordinario. Nato il 9 gennaio del 1881, Edouard fu il primo bambino ad essere battezzato nella minuscola comunità di Willow Bunch, nelle praterie canadesi, che ancora oggi conta meno di trecento abitanti. Era il più vecchio dei ben venti figli di Florestine Piché e Gaspard Beaupré, e per i primi tre anni di vita non mostrò segni particolari; ma le cose sarebbero cambiate. Presto il bambino cominciò a crescere a una velocità davvero incredibile: a nove anni era già alto 1,83 metri. Il corpo del ragazzo continuava a ingrandirsi, ad aumentare costantemente in peso e altezza, senza che si potesse arginare questo sviluppo portentoso.



    Tutto sommato Edouard era ancora un giovane di bella presenza, dolce e gentile, abilissimo nel cavalcare e il cui sogno era quello di diventare un giorno un cowboy. Ma la sorte non era decisamente dalla sua parte: un giorno, mentre tentava di domare un cavallo imbizzarrito, l’animale gli assestò un violento calcio e lo zoccolo lo prese in pieno volto, spezzandogli il setto nasale.



    Il gigante era ormai anche sfigurato. Su pressione dei genitori si decise quindi a intraprendere la strada dello spettacolo, facendo leva sul suo fisico fuori dall’ordinario, in modo da aiutare economicamente la famiglia.
    Edouard cominciò a girare il Canada e gli Stati Uniti, e la sua popolarità crebbe finché non venne ingaggiato addirittura dal Barnum & Bailey, il più grande e celebre dei carrozzoni circensi.



    Il gigantismo spesso porta con sé problemi alle ossa e alla muscolatura, e non è raro che a dispetto della stazza i giganti siano in realtà molto fragili e deboli. Questo però non era il caso di Edouard Beaupré, che faceva della prestanza fisica il fulcro del suo show: egli accentrava, per così dire, due differenti figure classiche del sideshow in un unico performer – era al tempo stesso un gigante e un “uomo forzuto” (strongman).
    Il suo spettacolo consisteva in varie prove di forza e sollevamento di pesi. Ma era il colpo di scena finale che lasciava invariabilmente il pubblico attonito e senza fiato. Edouard faceva chiamare sulla pista uno dei suoi amati cavalli. Raccontava, scherzando, di come da ragazzo avesse abbandonato il sogno di fare il cowboy perché anche in sella al cavallo più alto le sue gambe toccavano il terreno; così ora utilizzava l’animale per tenersi in forma… detto questo, Edouard si chinava sotto il cavallo e, caricandoselo sulle spalle, alzava la bestia da terra. Un sollevamento da più di 400 chili.



    Il 25 marzo del 1901 Edouard, seppure sfibrato da una malattia che l’anno successivo avrebbe scoperto essere tubercolosi, incontrò in un match di wrestling Louis Cyr, l’uomo che ancora oggi viene considerato il più forte mai vissuto – capace di sollevare 227 chilogrammi con un dito e quasi due tonnellate sulla schiena. Per l’occasione Edouard venne misurato ufficialmente, la sua altezza era di 2,37 metri. L’incontro sul ring durò pochissimo: il gigante venne sconfitto in un battibaleno perché non si azzardò nemmeno a toccare il grande campione. A detta di chi lo conosceva bene probabilmente Edouard, vista la sua natura gentile, aveva troppa paura di fare male all’avversario.

    Il 3 luglio del 1904, alla Fiera Mondiale di Saint Louis, dopo la sua consueta performance, Beaupré crollò a terra. La continua crescita, che non accennava a fermarsi, e la tubercolosi avevano avuto la meglio sul suo fisico causandogli un’emorragia polmonare. Portato all’ospedale in fin di vita, Edouard ebbe appena il tempo di mormorare quanto fosse triste morire così giovane e lontano dai suoi genitori. Così la vita del celebre Willow Bunch Giant si spense, ad appena 23 anni di età.
    Ma la sua storia non finisce qui.

    Un certo Dr. Gradwohl eseguì l’autopsia sul suo corpo, e come ci si poteva aspettare trovò un tumore all’ipofisi che probabilmente aveva causato il gigantismo di Edouard. Dopodiché il corpo venne affidato alle cure di una ditta di pompe funebri, Eberle & Keyes, per essere imbalsamato e preparato per la sepoltura. La salma avrebbe dovuto essere rispedita nel paesino natale di Edouard, ma il manager del circo, William Burke, convinse la famiglia Beaupré che i costi sarebbero stati troppo elevati, e che Edouard avrebbe avuto una degna sepoltura anche lì dove si trovava. I genitori acconsentirono, ignari del fatto che Burke in realtà non aveva alcuna intenzione di sborsare nemmeno un dollaro. Dopo aver fatto credere alla famiglia che il funerale aveva avuto luogo e che loro figlio era sepolto nel cimitero di St. Louis, Burke tagliò la corda e ripartì con il circo per un’altra città, lasciando il cadavere all’agenzia funebre. I gestori dell’agenzia, furiosi per non essere stati pagati, decisero di rientrare delle spese sostenute per l’imbalsamazione esponendo il corpo del gigante in vetrina. La cosa non durò molto, perché dopo qualche giorno la polizia intimò loro di rimuoverlo dalla pubblica vista. A questo punto comincia l’odissea del cadavere di Edouard, venduto inizialmente a uno showman itinerante, poi riportato a Montréal da un amico della famiglia Beaupré, Pascal Bonneau. Qui venne esibito per sei mesi all’Eden Museum di Rue St. Laurent, una specie di squallido museo delle cere; eppure per vedere il gigante si formavano file di spettatori così lunghe da bloccare la strada.
    Verso il 1907 il cadavere diventa proprietà del Montréal Circus, altra realtà in decadenza. Esposta su un catafalco, la salma imbalsamata rimane facile preda dell’umidità, che la rovina, finché il circo non va in bancarotta. Accusati di “esibizione abusiva di cadavere”, i proprietari abbandonano le spoglie di Edouard in un capannone del parco cittadino di Bellerive.
    Sono dei bambini a scoprirlo, con orrore, mentre giocano. “Enorme corpo di uomo trovato dai bambini a Bellerive Park – una verdeggiante ma povera parte della città. Il dottore locale è stato chiamato, e mi ha notificato che era in presenza di un gigante umano. La condizione dei resti non è specificata. Ho acquistato questa scoperta incredibile con grandi speranze per la ricerca e l’esame. Il dottore mi ha chiesto furtivamente quanto può costare un simile tesoro. Gli ho detto di portarmi il cadavere, in un sacco.” Così annotava sul suo diario il Dr. Louis-Napoléon Délorme, appassionato di deformità, che pagò 25 dollari per il corpo di Edouard. Viste le povere condizioni della salma, procedette a mummificarla definitivamente, e la usò per diverse dissezioni con i suoi studenti dell’Università di Montréal. Infine il gigante trovò una nuova sistemazione, sotto vetro, alla Facoltà di Medicina.



    Lì rimase fino agli anni ’70, quando Ovila Lespérance, nipote di Edouard Beaupré, chiese all’Università di restituire alla famiglia i resti del gigante di Willow Bunch. Nel 1989 il comitato accademico acconsentì alla cremazione delle spoglie di Edouard, che finalmente il 7 luglio 1990 vennero inumate nella piccola cittadina canadese: oggi una statua a grandezza naturale ricorda le fattezze di Beaupré, e i turisti possono anche confrontare i propri piedi con l’orma di una scarpa del gigante gentile. Che, dopo 85 anni di peripezie, ha finalmente trovato riposo.






    Fonte

  19. #39
    koba44
    Guest

    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia

    Leggo sempre una favola di Kronos la sera prima di dormire.

    Grazie Kronos!

  20. #40
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    Re: Kronos The Magazine - Elogio alla Follia

    Sono indietro con la lettura..
    Ho letto la storia di Juko Furuta, è mi è salito l'odio.
    Non li hanno nemmeno castrati, 'sti esseri.

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