[PugTales] Cesarino in: how I became Rikoom from Squad Ginew (London is now Namecc) [PugTales] Cesarino in: how I became Rikoom from Squad Ginew (London is now Namecc) - Pagina 217

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Discussione: [PugTales] Cesarino in: how I became Rikoom from Squad Ginew (London is now Namecc)

  1. #4321
    Senior Member L'avatar di Cesarino
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)


  2. #4322
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)

    la nuova squadra dei falchi?













    o del falqui?

  3. #4323
    Senior Member L'avatar di Arnald
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)

    Le gambotte tozze da campagnolo.
    Con la tutina e i parastinchi sembreresti molto più professionale.

  4. #4324
    Senior Member L'avatar di Cesarino
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)

    Da anni abbiamo a che fare con la TV del dolore, quel tipo di televisione per cui chiunque butti la faccia in video, anche solo per partecipare al gioco dei pacchi o cucinare un uovo al salmì, a un certo punto deve mettersi a frignare.

    In teoria, il doping delle lacrime dovrebbe servire ad alzare gli ascolti; in pratica, lo stucchevole espediente trasforma l’intrattenimento in farsa destinata ad una platea di inermi telemorenti ultrasettantenni che gli autori televisivi sfruttano senza pietà.

    Da qualche tempo, purtroppo, la pratica è stata esportata nel mondo del giornalismo online, dove la formula è stata declinata per venire incontro al pubblico del web, che rispetto a quello televisivo è più giovane e attivo. Al posto di Carmine – babbo avvinazzato in cerca di riscatto - o Rosa –che invoca il perdono della figlia Angela per non averle mai detto quando le vuole bene - sul web spopola la figura del “Povero Expat”, il giovane italiano o la giovane italiana costretta da un destino cinico e baro a lasciare la petrosa Italia per andare in cerca di fortuna altrove.

    Trasferirsi all’estero, come sa chi lo ha fatto davvero (incluso il sottoscritto, che nel 2012 scelse di andare a vivere a New York) è nella stragrande maggioranza dei casi la cosa migliore che si possa fare nella vita.



    Il più grande nemico dell’Uomo Moderno, come insegna il genio di Paolo Villaggio, è la routine, il ritornello sempre uguale di sveglia-caffè-barba-e-bidet per poi appollaiarsi su una scrivania a fissare un monitor con il cuore stretto in una morsa, senza nemmeno una signorina Silvani da inseguire. L’espatrio, al contrario, scardina la consuetudine, obbliga a rimettere tutto in discussione, fa assumere alla vita l’imprevedibile ritmo swing della musica jazz.

    L’effetto taumaturgico del trasferirsi è vero sempre, a prescindere da ogni contingenza anagrafica o geografica: basta vedere come sono giulivi gli inglesi in là con gli anni che si trasferiscono in Toscana per una terza età fatta di sbornie di Chianti nel primo pomeriggio. Figuriamoci se alla fortuna di poter espatriare si aggiunge quella di avere ancora gran parte della vita davanti, e se per giunta il Paese che si lascia alle spalle è l’Italia, unico luogo sulla Terra in cui la gioventù è una colpa da espiare. Anche perché oggi, nel 2018, abitiamo un’epoca fatta di tecnologie che, solo trent’anni fa, sembravano il frutto di un romanzo di fantascienza.

    Il videotelefono immaginato nel 1989 da “Ritorno al Futuro 2” oggi si chiama Skype, funziona meglio e per un incomprensibile miracolo è addirittura gratis. Fino a pochi anni fa, trasferirsi voleva dire rinunciare a condividere qualsiasi tipo di quotidianità con le persone con cui si era cresciuti: oggi tra Instagram, Facebook e tutto il resto siamo aggiornati in tempo reale. Per non parlare della comodità offerte dal neoliberismo e dalla globalizzazione delle merci, che per chi vive in Italia vogliono dire precarietà e perdita di potere salariale, mentre per chi vive all’estero significano la possibilità di trovare un espresso fatto come Dio comanda ad ogni angolo di strada.



    Insomma, l’Expat Italiano avrebbe tutte le ragioni per sentirsi come il tizio del Candido di Voltaire, quello convinto di vivere nel migliore dei mondi possibili. E invece no. Il web del dolore vuole che l’Expat sia un individuo torvo, incancrenito dalla vita, avvelenato contro una fantomatica massa di individui malvagi che con il loro agire corrotto li ha costretti a un esilio più doloroso di quello di Dante. Un ottimo esempio lo si è letto di recente sull’HuffPost dove troviamo il J’accuse di Carlotta, donna di Pesaro espatriata in Germania per fare l’infermiera. Carlotta ha un lavoro che le piace, guadagna bene e un sacco di amici: Carlotta dovrebbe essere una donna felice. E invece Carlotta, nella sua lunga intervista mena fendenti a destra e a manca contro quelli (chi, di grazia?) colpevoli di “giudicarla superficialmente” senza sapere nulla “delle difficoltà che è stata costretta ad affrontare”.

    La ragazza racconta la sua vita con toni che, per restare in Germania, avrebbero fatto impietosire il dottor Mengele: il dramma di dover tenere da parte un centinaio di euro per poter prendere un aereo in caso di emergenze, la tragedia –a trent’anni! – di non poter stringere i propri genitori in un caldo abbraccio la sera, quei mesi passati in un pianto continuo, pensando al lontano Paese natio, soffrendo per non poter parlare “la mia lingua”. Non è un caso isolato: la vita del Povero Expat, nel web del dolore, viene sempre raccontata come una specie di inferno terrestre, anche se dell’inferno non ha assolutamente nulla.

    Negli Stati Uniti fare un lavoretto come cameriere o “busboy” è quanto di più normale ci possa essere: Los Angeles e New York brulicano di uomini e donne di tutte le età che si mantengono come possono per decenni nel tentativo di realizzare i proprio sogni. Ma nella narrazione tragica degli Expat nostrani – molti dei quali sono probabilmente gli stessi che, in Italia, ci tengono a essere chiamati “dottori” dal barista – questa vita assolutamente normale si trasforma in un’epopea Dickensiana. E infatti Carlotta racconta, con i lacrimoni agli occhi, di lavori umilissimi in cui “mi sono persino presa le pulci”. Sta per caso parlando di turni massacranti in un circo russo itinerante a pulire le gabbie delle tigri? No. Sta parlando di un banale lavoro come cameriera in un hotel, cosa che i giovani americani o francesi farebbero senza pensarci due volte.

    Davanti a racconti del genere, tutti uguali, che nelle intenzioni dovrebbero essere “esemplari” ma che finiscono sempre per scadere nel ridicolo, sarebbe ora che i Poveri Expat – e con loro i giornalisti che cucinano le loro storie come fossero tutti concorrenti di “C’è Posta per te” – capissero che non hanno nulla, assolutamente nulla per cui fare le vittime. Vivere lontano dalla propria cameretta, rinunciare al sugo di mammà nei maccheroni, vedere nonna solo a Natale e d’estate è esattamente quello che – senza battere ciglio - fanno i giovani di tutti i Paesi Occidentali, che magari non cambiano Paese ma si spostano di continuo da una città all’altra.

    Si chiama diventare adulti: continuare a lamentarsi vuol dire invece confermare in pieno quella definizione di bamboccioni che tanto da fastidio. Non si smette di essere tali quando ci si trasferisce all’estero e si fanno, per pochi mesi, le pulizie in un hotel: si smette di essere bamboccioni quando si diventa cittadini del mondo, e si finisce, una volta per tutte, di pensare che il mondo ci debba sempre qualcosa. Avete un lavoro, uno stipendio, una casa e dei rapporti sociali soddisfacenti: cos’altro vi sentite autorizzati ad esigere dalla società? Quale altro dono volete in cambio dalla vita per smetterla di autocommiserarvi, confermando i peggiori stereotipi sugli Italiani all’estero? Tanto più che le vostre storie sono, quasi sempre, storie di privilegiati.



    Su La Stampa troviamo infatti la storia di Benedetta Arese Lucini (già il doppio cognome è sospetto), che da Povera Expat, ci spiega quanto sia stata coraggiosa ad andarsene e quanti sacrifici abbia affrontato. Peccato che poi si legga anche che lei “ha viaggiato fin da bambina”, che ha fatto la Bocconi, che ha vissuto in America e poi nel Sud Est Asiatico, e che grazie “a una start up della Silicon Valley” abbia scelto di tornare in Italia.

    Benetta Arese Lucini, insomma, ha fatto una vita da sogno, una vita che milioni di ragazzi non possono far altro che sognare, mentre votano Lega o Cinque Stelle illudendosi che ruspe o simil-reddito di cittadinanza possano riscattare la loro esistenza di retroguardia. Ma invece di raccontarci la sua storia per farci morire di invidia, tipo le belle ragazze che su Instragram mostrano i vestiti firmati a bordo degli yacht, vuole la nostra empatia, la nostra vicinanza, addirittura la nostra gratitudine per la sua scelta di tornare.

    Non si rende conto, al pari di tutti gli altri, che molte persone l’espatrio non possono permetterselo per le ragioni più disparate: non solo perché “non hanno le palle”, come piace dire a loro, ma perché hanno fatto scelte diverse, come ad esempio avere un figlio, o perché magari sono poveri sul serio e le pulizie nelle stamberghe le fanno già entro i patri confini, senza rompere l’anima a nessuno.

    Per questo, cari Poveri Expat, ascoltate il consiglio di un Expat che si sente tutto tranne che Povero: piantatela con quell’italianissimo chiagni e fotti in virtù del quale vi lamentate solo per raccontare a tutti quanto siete stati bravi. Potete abbindolare i giornalisti del web del dolore ma non certo le donne e gli uomini della vostra generazione che sono rimasti in Italia.

    Loro, casomai, sono le vittime. Loro che sono costretti, per mille ragioni, ad avere a che fare, tutti i giorni, con un sistema che noi abbiamo avuto la fortuna di mollare. Piangersi addosso perché stasera non mangerete la pizza vuol dire aggiungere al danno una beffa francamente intollerabile.

  5. #4325
    Senior Member L'avatar di fuserz
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)

    cesarins ma è tua o copincollata? cmq nel dubbio chapeau + sottoscrivo col sangue. quando l'altro giorno ho letto la lettera dell'infermiera in germania mi prudevano le mani

  6. #4326
    Senior Member L'avatar di Ciome
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)

    vai a dire che l'incomprensibile miracolo è monetizzare i dati dell'utenza e trattenere tutti i loro dati per un periodo indefinito

    - - - Aggiornato - - -

    Citazione Originariamente Scritto da fuserz Visualizza Messaggio
    cesarins ma è tua o copincollata? cmq nel dubbio chapeau + sottoscrivo col sangue. quando l'altro giorno ho letto la lettera dell'infermiera in germania mi prudevano le mani
    ma va, ti pare sua?
    riassunto topic pirateria domestica:

    Citazione Originariamente Scritto da darkeden82 Visualizza Messaggio
    Tu non lavori nell'it ma per il sociale


    l'apice di svapo:

    Citazione Originariamente Scritto da Milella Visualizza Messaggio
    *
    Ultima modifica di golem101; Oggi alle 17:33 Motivo: bestemmie e pornografia
    Ultima modifica di salgari; Oggi alle 17:35 Motivo: qua comando io, chi è questo golem101


    rondella's way:

    Citazione Originariamente Scritto da Lo Zio Visualizza Messaggio
    rondella farebbe una foursome con la stallona, il frigorifero e la lavastoviglie


  7. #4327
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)

    "Tanto più che le vostre storie sono, quasi sempre, storie di privilegiati"

  8. #4328
    Senior Member L'avatar di Il Mira
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)

    Pensiero da expat: alla fine sticazzi, chiaro che se avessi lo stesso stipendio me ne starei in Italia; son le solite sparate giornalistiche per far visualizzazioni, c'è a chi frega niente di continuare a girare per città diverse e chi vorrebbe passare tutta la vita nello stesso paesino

    "-Perpetuating the lie, how do you sleep at night?" "On a bed made of money"

  9. #4329
    Cacacazzi L'avatar di Talismano
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)

    II no, anche con lo stesso stipendio starei dove me ne sto ora. Troppa qualità della vita migliore.

  10. #4330
    A punto & a capo L'avatar di Napoleoga
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)

    Ma si. Il problema sono appunto questi giornaletti come l'HuffPost che ammorbano con queste storie

  11. #4331
    Senior Member L'avatar di Arnald
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)


  12. #4332
    A punto & a capo L'avatar di Napoleoga
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)


  13. #4333
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)

    letto la fine e un po' l'inizio

    sinceramente i discorsi sull'espatrio mi tangono meno di zero e così anche i poveri laureati che si sono fatto il mazzo al mc donald, peccato che con un part time al mac non ci vivi e che o studi 6 ore al giorno o lavori 11 ore al giorno per mantenerti, cosa che non capiscono. detto questo ha ragione a dire che c'è chi è povero sul serio e non ha mezzi, e al 99% sono le persone che stanno zitte e curve e si fanno sentire solo quando c'è da votare spostando l'ago della bilancia sugli ultimi coglioni che hanno promesso loro di farli emergere. una volta si facevano sentire scendendo in piazza con i fucili ma nella società del benessere la guerra civile è solo un ricordo

  14. #4334
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)

    Citazione Originariamente Scritto da Il Mira Visualizza Messaggio
    Pensiero da expat: alla fine sticazzi, chiaro che se avessi lo stesso stipendio me ne starei in Italia
    Ma non e' per lo stipendio.
    Uno VA, ma una volta che hai un po' di esperienza, uno stipendio buono lo trovi anche in Italia.
    Perche' uno STA?
    Perche' una volta che levi dal cazzo statali, cumenda e parassiti vari, chi te lo fa fare? Ho amici che sono tornati nel Belpaese come Chief Salcazzo Officer, solo che se poi il lavoro non ti piace e' MOLTO dura trovare un altro posto decente.
    All'estero se il lavoro non ti piace, ciao e se ne trova un altro.
    Citazione Originariamente Scritto da keiser Visualizza Messaggio
    Mi pare evidente, nonostante tutto, che la tua unica intenzione sia continuare a trollare e insultare noi della redazione e il lavoro che facciamo.
    Citazione Originariamente Scritto da Djbios Visualizza Messaggio
    Salve a tutti, mi chiamo Riccardo Meggiato e sono il nuovo coordinatore editoriale per The Games Machine, nelle sue declinazioni cartacea e online. Vi ringrazio per avermi seguito fin qui e mi scuso per la lunghezza.
    Un abbraccio a tutti e a leggerci presto
    Riccardo

  15. #4335
    Peace&Love L'avatar di NoNickName
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)

    Citazione Originariamente Scritto da Cesarino Visualizza Messaggio
    Da anni abbiamo a che fare con la TV del dolore, quel tipo di televisione per cui chiunque butti la faccia in video, anche solo per partecipare al gioco dei pacchi o cucinare un uovo al salmì, a un certo punto deve mettersi a frignare.

    In teoria, il doping delle lacrime dovrebbe servire ad alzare gli ascolti; in pratica, lo stucchevole espediente trasforma l’intrattenimento in farsa destinata ad una platea di inermi telemorenti ultrasettantenni che gli autori televisivi sfruttano senza pietà.

    Da qualche tempo, purtroppo, la pratica è stata esportata nel mondo del giornalismo online, dove la formula è stata declinata per venire incontro al pubblico del web, che rispetto a quello televisivo è più giovane e attivo. Al posto di Carmine – babbo avvinazzato in cerca di riscatto - o Rosa –che invoca il perdono della figlia Angela per non averle mai detto quando le vuole bene - sul web spopola la figura del “Povero Expat”, il giovane italiano o la giovane italiana costretta da un destino cinico e baro a lasciare la petrosa Italia per andare in cerca di fortuna altrove.

    Trasferirsi all’estero, come sa chi lo ha fatto davvero (incluso il sottoscritto, che nel 2012 scelse di andare a vivere a New York) è nella stragrande maggioranza dei casi la cosa migliore che si possa fare nella vita.



    Il più grande nemico dell’Uomo Moderno, come insegna il genio di Paolo Villaggio, è la routine, il ritornello sempre uguale di sveglia-caffè-barba-e-bidet per poi appollaiarsi su una scrivania a fissare un monitor con il cuore stretto in una morsa, senza nemmeno una signorina Silvani da inseguire. L’espatrio, al contrario, scardina la consuetudine, obbliga a rimettere tutto in discussione, fa assumere alla vita l’imprevedibile ritmo swing della musica jazz.

    L’effetto taumaturgico del trasferirsi è vero sempre, a prescindere da ogni contingenza anagrafica o geografica: basta vedere come sono giulivi gli inglesi in là con gli anni che si trasferiscono in Toscana per una terza età fatta di sbornie di Chianti nel primo pomeriggio. Figuriamoci se alla fortuna di poter espatriare si aggiunge quella di avere ancora gran parte della vita davanti, e se per giunta il Paese che si lascia alle spalle è l’Italia, unico luogo sulla Terra in cui la gioventù è una colpa da espiare. Anche perché oggi, nel 2018, abitiamo un’epoca fatta di tecnologie che, solo trent’anni fa, sembravano il frutto di un romanzo di fantascienza.

    Il videotelefono immaginato nel 1989 da “Ritorno al Futuro 2” oggi si chiama Skype, funziona meglio e per un incomprensibile miracolo è addirittura gratis. Fino a pochi anni fa, trasferirsi voleva dire rinunciare a condividere qualsiasi tipo di quotidianità con le persone con cui si era cresciuti: oggi tra Instagram, Facebook e tutto il resto siamo aggiornati in tempo reale. Per non parlare della comodità offerte dal neoliberismo e dalla globalizzazione delle merci, che per chi vive in Italia vogliono dire precarietà e perdita di potere salariale, mentre per chi vive all’estero significano la possibilità di trovare un espresso fatto come Dio comanda ad ogni angolo di strada.



    Insomma, l’Expat Italiano avrebbe tutte le ragioni per sentirsi come il tizio del Candido di Voltaire, quello convinto di vivere nel migliore dei mondi possibili. E invece no. Il web del dolore vuole che l’Expat sia un individuo torvo, incancrenito dalla vita, avvelenato contro una fantomatica massa di individui malvagi che con il loro agire corrotto li ha costretti a un esilio più doloroso di quello di Dante. Un ottimo esempio lo si è letto di recente sull’HuffPost dove troviamo il J’accuse di Carlotta, donna di Pesaro espatriata in Germania per fare l’infermiera. Carlotta ha un lavoro che le piace, guadagna bene e un sacco di amici: Carlotta dovrebbe essere una donna felice. E invece Carlotta, nella sua lunga intervista mena fendenti a destra e a manca contro quelli (chi, di grazia?) colpevoli di “giudicarla superficialmente” senza sapere nulla “delle difficoltà che è stata costretta ad affrontare”.

    La ragazza racconta la sua vita con toni che, per restare in Germania, avrebbero fatto impietosire il dottor Mengele: il dramma di dover tenere da parte un centinaio di euro per poter prendere un aereo in caso di emergenze, la tragedia –a trent’anni! – di non poter stringere i propri genitori in un caldo abbraccio la sera, quei mesi passati in un pianto continuo, pensando al lontano Paese natio, soffrendo per non poter parlare “la mia lingua”. Non è un caso isolato: la vita del Povero Expat, nel web del dolore, viene sempre raccontata come una specie di inferno terrestre, anche se dell’inferno non ha assolutamente nulla.

    Negli Stati Uniti fare un lavoretto come cameriere o “busboy” è quanto di più normale ci possa essere: Los Angeles e New York brulicano di uomini e donne di tutte le età che si mantengono come possono per decenni nel tentativo di realizzare i proprio sogni. Ma nella narrazione tragica degli Expat nostrani – molti dei quali sono probabilmente gli stessi che, in Italia, ci tengono a essere chiamati “dottori” dal barista – questa vita assolutamente normale si trasforma in un’epopea Dickensiana. E infatti Carlotta racconta, con i lacrimoni agli occhi, di lavori umilissimi in cui “mi sono persino presa le pulci”. Sta per caso parlando di turni massacranti in un circo russo itinerante a pulire le gabbie delle tigri? No. Sta parlando di un banale lavoro come cameriera in un hotel, cosa che i giovani americani o francesi farebbero senza pensarci due volte.

    Davanti a racconti del genere, tutti uguali, che nelle intenzioni dovrebbero essere “esemplari” ma che finiscono sempre per scadere nel ridicolo, sarebbe ora che i Poveri Expat – e con loro i giornalisti che cucinano le loro storie come fossero tutti concorrenti di “C’è Posta per te” – capissero che non hanno nulla, assolutamente nulla per cui fare le vittime. Vivere lontano dalla propria cameretta, rinunciare al sugo di mammà nei maccheroni, vedere nonna solo a Natale e d’estate è esattamente quello che – senza battere ciglio - fanno i giovani di tutti i Paesi Occidentali, che magari non cambiano Paese ma si spostano di continuo da una città all’altra.

    Si chiama diventare adulti: continuare a lamentarsi vuol dire invece confermare in pieno quella definizione di bamboccioni che tanto da fastidio. Non si smette di essere tali quando ci si trasferisce all’estero e si fanno, per pochi mesi, le pulizie in un hotel: si smette di essere bamboccioni quando si diventa cittadini del mondo, e si finisce, una volta per tutte, di pensare che il mondo ci debba sempre qualcosa. Avete un lavoro, uno stipendio, una casa e dei rapporti sociali soddisfacenti: cos’altro vi sentite autorizzati ad esigere dalla società? Quale altro dono volete in cambio dalla vita per smetterla di autocommiserarvi, confermando i peggiori stereotipi sugli Italiani all’estero? Tanto più che le vostre storie sono, quasi sempre, storie di privilegiati.



    Su La Stampa troviamo infatti la storia di Benedetta Arese Lucini (già il doppio cognome è sospetto), che da Povera Expat, ci spiega quanto sia stata coraggiosa ad andarsene e quanti sacrifici abbia affrontato. Peccato che poi si legga anche che lei “ha viaggiato fin da bambina”, che ha fatto la Bocconi, che ha vissuto in America e poi nel Sud Est Asiatico, e che grazie “a una start up della Silicon Valley” abbia scelto di tornare in Italia.

    Benetta Arese Lucini, insomma, ha fatto una vita da sogno, una vita che milioni di ragazzi non possono far altro che sognare, mentre votano Lega o Cinque Stelle illudendosi che ruspe o simil-reddito di cittadinanza possano riscattare la loro esistenza di retroguardia. Ma invece di raccontarci la sua storia per farci morire di invidia, tipo le belle ragazze che su Instragram mostrano i vestiti firmati a bordo degli yacht, vuole la nostra empatia, la nostra vicinanza, addirittura la nostra gratitudine per la sua scelta di tornare.

    Non si rende conto, al pari di tutti gli altri, che molte persone l’espatrio non possono permetterselo per le ragioni più disparate: non solo perché “non hanno le palle”, come piace dire a loro, ma perché hanno fatto scelte diverse, come ad esempio avere un figlio, o perché magari sono poveri sul serio e le pulizie nelle stamberghe le fanno già entro i patri confini, senza rompere l’anima a nessuno.

    Per questo, cari Poveri Expat, ascoltate il consiglio di un Expat che si sente tutto tranne che Povero: piantatela con quell’italianissimo chiagni e fotti in virtù del quale vi lamentate solo per raccontare a tutti quanto siete stati bravi. Potete abbindolare i giornalisti del web del dolore ma non certo le donne e gli uomini della vostra generazione che sono rimasti in Italia.

    Loro, casomai, sono le vittime. Loro che sono costretti, per mille ragioni, ad avere a che fare, tutti i giorni, con un sistema che noi abbiamo avuto la fortuna di mollare. Piangersi addosso perché stasera non mangerete la pizza vuol dire aggiungere al danno una beffa francamente intollerabile.
    l'autore di sta roba può prendere la sua "cittadinanza del mondo" e cacciarsela brutalmente nel culo

    chi espatria non è fortunato, è costretto

  16. #4336
    Cacacazzi L'avatar di Talismano
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)

    Aahhaaha.

    No!

  17. #4337
    Senior Member L'avatar di fuserz
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)

    Citazione Originariamente Scritto da NoNickName Visualizza Messaggio
    chi espatria non è fortunato, è costretto
    ma mancopegnente

  18. #4338
    Υπήρχαν ήρωες L'avatar di balmung
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)

    Citazione Originariamente Scritto da fuserz Visualizza Messaggio
    ma mancopegnente
    una buona percentuale si

  19. #4339
    Zerò
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)

    Andrebbe definito il concetto di ESSERE COSTRETTO, prima di lanciarsi in chissà quale discussione.

    Nel mio caso, anziché espatriato mi sento privilegiato: posso svolgere il lavoro che amo mentre assecondo il mio nomadismo, e lo stipendio che percepisco mi consente di sostenere una qualità di viva in linea con necessità e desideri.

  20. #4340
    Filastrocchiere di STOCAZ L'avatar di Skywolf
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    Re: [PugTales] Cesarino in: Livin' la Vida Loca in London (RAL&tears)

    Io mi sentivo Expat triste per essere andato a Roma



    cioè, siamo fatti tutti in modo diverso,

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