CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggia] CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggia]

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Discussione: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggia]

  1. #1
    Senior Member L'avatar di Cesarino
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    CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggia]

    Ci sono cose che dovrebbero rappresentare un prima e un dopo, anche sul web. Per me, il caso Cantone lo ha rappresentato. E' stato il segnale che, come ha detto qualcuno, "il mostro era cresciuto troppo in fretta" e noi non siamo riusciti a rendercene conto.
    Tiziana Cantone non era stata perculata solo da gentaglia, prima di quella corda e di quella porta. Era stata derisa anche da gente perbene, che ha pensato si divertisse pure Tiziana o, più semplicemente, non ha pensato nulla. Io sarei potuta essere una di quelle persone. Non lo sono stata perché avevo già imparato dalla mia leggerezza, dalla mia mancanza di empatia e umanità. Mi ero data delle regole.

    Ora però, dopo Tiziana, il mostro dovremmo conoscerlo tutti. Gli alibi non ci sono più. Il web non è più quello di qualche anno fa in cui c'era un video buffo e ci ridevamo un po', senza che l'onda si gonfiasse come dopo il passaggio di Irma.
    Ora è sempre Irma. Ora, sappiamo tutti di avere tutti in mano una pistola. E sono un miliardo di pistole che possono essere rivolte contemporaneamente contro una persona sola.

    La persona sola, ieri, è stata Katia, la direttrice della banca.
    La mia timeline è sommersa da quel video. Tutti sghignazzano. Qualcuno, qua e là, si domanda se tutto questo sia giusto. Se non sia bullismo di massa. E allora ho messo insieme un po' di pezzi e vi dico la mia, che è solo la mia e che non è una bacchetta sulle dita a chi quel video l'ha condiviso. E' un invito a pensarci un po', a riflettere.
    Sì, è un gigantesco, orrendo bullismo di massa.
    Katia non è un personaggio del Grande fratello. Non è neppure una sconosciuta che tenta di sfondare su Facebook. E' una donna qualunque, una che ha una pagina fb piena zeppa di immagini della Madonna, di Gesù, di contenuti di Radio Maria, di candele che bruciano. Di foto di un bambino che le somiglia.
    Katia è probabilmente un'aziendalista di quelle che fanno sorridere, di quelle che in banca arrivano 10 minuti prima dell'apertura ed escono dieci minuti dopo la chiusura. E' probabilmente una che non conosce nulla del web, i meccanismi, le trappole, i rischi. Non sa nulla di Irma.

    La sua banca propone un contest. "Fate un video per raccontare il bello della vostra filiale!", dice l'invito a partecipare. "Non cerchiamo il nuovo Fellini, mixate allegria e coinvolgete i colleghi!, aggiunge. E infine: "Proietteremo i video più emozionanti durante gli incontri banca Intesa a settembre-ottobre!". Segue una mail della banca.
    Katia gira il video che sappiamo. Ridicolo, grottesco, fantozziano. Ci infila dentro quell'entusiasmo parrocchiale che ci ha fatto ridere. (ha fatto ridere pure me, mica lo nego)
    Lo manda a quella mail. Per evidenti ragioni, alle riunioni di banca Intesa, quel video non viene selezionato.
    Qualcuno dei selezionatori (suoi colleghi dunque) se lo scarica sul telefono per riderne con gli amici e colleghi e di telefono in telefono, il video finisce su Facebook.

    No, quel video non era destinato ai social network, dunque. E qui inizia la discussione. "Quel video però era destinato a una platea", direte voi. "Lo sanno tutti però oggi che se giri un video può finire ovunque", dirà qualcun altro.
    Katia pensava che la sua platea fossero i suoi colleghi, durante la conferenza. Si fidava (lei sì) della sua banca. E no, probabilmente neppure lo immaginava che quel video sarebbe potuto finire sul web. Nessuno ti avvisa, della crudeltà del web. Andrebbero fatti dei corsi preventivi non solo sui reati, ma pure sul cinismo online. Per ora non ci sono e noi cinici lo sappiamo bene che le Katia sono il nostro becchime più facile.
    Katia non sapeva neppure che quel video fosse ridicolo. Nessuno, evidentemente, aveva avuto il coraggio di dirglielo. E il primo problema di chi fa cose ridicole è che non ha, appunto, il senso del ridicolo. Katia era tranquilla nel suo candore da aziendalista timorata di Dio.

    Dopo è accaduto quello che sappiamo. Io pure, dopo che ho visto il video, stavo per condividerlo. Poi ho pensato alla faccenda della Cantone. Dopo aver sghignazzato mi sono ricordata che Katia è una persona, non un cartone animato giapponese. Ho guardato chi fosse, mi sono chiesta da dove arrivasse quel video. Ho avuto le risposte che sapete e non l'ho pubblicato.
    Quello che è accaduto poi è bullismo di massa?
    Per me sì. Sia chiaro. Non c'è una consapevolezza piena di questo, altrimenti sarebbero tutti dei mostri, ma sarebbe ora di averla, questa consapevolezza. Ditemi voi come chiamate questa valanga di merda, di gente che sghignazza, di eventi che si sono susseguiti uno dopo l'altro, con un volume spaventoso di forme, condivisioni, trovate comiche, ilarità, smascellamenti sguaiati. Il tutto in neanche 24 ore, piombati addosso a una tizia che fino a ieri aveva la Madonnina come foto di copertina. Eccoli:
    a) Unieuro l'ha presa per il culo facendone una pubblicità-parodia
    b) sul web il video è a svariati milioni di visualizzazioni e condivisioni. E' su YouTube. E' sui siti de Il Fatto, del Giornale, del Secolo e di altri.
    c) Ci sono mille parodie del video. In una Katia viene colpita dall'asteroide del Buondì, per fare un esempio a caso.
    d) Molte radio nazionali hanno trasmesso l'audio del video.
    e) qualcuno ha chiamato la filiale complimentandosi ironicamente, ha registrato la chiamata, l'ha messa sul web.
    f) è partito l'hashtag #jesuisfabio, il collega che non ha girato quel video.
    g) è partito l'hashtag #iocistoH con l'accafinale, tanto per fare il verso a Tiziana Cantone e a quel "bravoH" che l'ha ammazzata, non sia mai che si impari a rispettare non dico la morta ma almeno la madre che lotta ancora e legge tutto, soffrendo.
    h) il sindacato della banca manda un comunicato in cui parla di video ridicoli e fantozziani (video che lo stesso sindacato aveva condiviso sulla sua pagina, quello di un'altra filiale però) , ergo anziché difendere una dipendente umiliata ci mette pure il carico.

    Tutto questo vuol dire che sulla vita di Katia, anche spegnendo il computer, anche quando la gogna sarà finita, ci sono due, forse tre conseguenze importanti:
    la prima è che quel video rimarrà per sempre sul web. Non potrà né rimuovere, né dimenticare. Chiunque, da ora in poi, avrà a che fare con lei troverà il suo nome e quel video sul web. La seconda è che Katia sarà sempre quella del video per dipendenti e concittadini. E così, ad occhio, credo che se ne vergognerà moltissimo.

    La terza poi, è quella più dedicata, che riassume bene una sua collega che mi ha scritto questo: "Lei ora è nell'oblio dell'imbarazzo, isolata dal sindacato ed additata dai colleghi. La sua carriera, anche se non oggi, è conclusa. La banca, anche ai piccoli livelli, è una massoneria onerosa e ripugnante. Il caso David Rossi insegna.".
    Ecco, forse Katia ci rimetterà pure il posto. Di sicuro, nessuno di Banca Intesa le lascerà i fiori sulla scrivania. O forse sì, ma solo per l'immagine. (e già sarebbe qualcosa)

    Di sicuro, il presente è che Katia sta male. Possiamo continuare a riderci e a far finta di non saperlo, ma se avete letto queste tante righe, ora lo sapete. Non è il mio punto di vista. Non è il punto di vita di una che magari vi sta pure sul cazzo. E' così. Dobbiamo cominciare noi per primi ad assumerci la responsabilità del male che facciamo. Talvolta è necessario (non è che sul web dobbiamo farci star tutto bene, figuriamoci poi se lo dico io), talvolta no.
    Per me questo era un "talvolta no". Perché Katia non è me, che ho due palle così e che però per una, due tre, dieci shitstorm sto ancora male, non è voi che forse siete più furbi e il web lo conoscete, non è (ad occhio) una così strutturata da uscirne più forte di prima.
    E' solo una delle tante triturate dal web, che ne uscirà a pezzi. E' una che, come ha scritto qualcuno, potrebbe essere vostra sorella che gira un video in cui canta di merda o vostro figlio che recita peggio pensando di essere Johnny Depp. E si ritrovano umiliati da milioni di persone, senza volerlo. Senza aver fatto male a nessuno.
    Sì, ci abbiamo riso tutti per 'sta cose, in passato. Però il web non è più quello di una volta.
    E' pericoloso, è una bestia ingorda, è cresciuto e dobbiamo crescere anche noi. E' ora di diventare grandi. E di smetterla di parlare alle vittime dicendo "Non fidatevi!". Parliamo agli adulti e diciamo: "Comportatevi da persone perbene". Noi, per primi.
    Ciao Katia, il prossimo conto lo apro da te. Tu ci metti la faccia, io il portafoglio, dai.

  2. #2
    Utente di Cinisello L'avatar di Glasco
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    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi

    non aver visto 'sto video e sapere solo vagamente di cosa si parli, mi fa sentire una persona MEGLIO
    Una rastrelliera per fucili? Io non possiedo neanche un fucile, tantomeno una gamma di fucili che richieda un'intera rastrelliera. Che ci faccio con una rastrelliera per fucili?

  3. #3
    Granny Member L'avatar di Maelström
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    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi

    Idem

  4. #4
    Bannato
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    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi

    tl;dr

  5. #5
    Lavora Troppo L'avatar di Ceccazzo
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    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi

    Prevedibile la reazione sel "popolo del web" e della Lucarelli, che ha ragionissima. Complimenti a tutti gli organi di informazione che prima la deridono anche liro, non capendo un cazzo di quello che predicano, per poi cancellare le prove dei loro articoli

  6. #6
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    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi

    IL LAVORO PRIVATO DEVE MORIREH!

  7. #7
    Malmostoso L'avatar di Necronomicon
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    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi

    Io non sono d'accordo. Uno scopre che la sua banca assume gente che favorisce o organizza robe così dementi, ha tutto il diritto di farlo sapere a tutti. Perché 'sto tempo perso, 'ste cagate, 'ste boiate, lo fanno grazie al fatto che noi clienti pensiamo che le persone a cui affidiamo i nostri risparmi siano almeno persone serie e non ridicole. Perché se mi accogliessero così, andrei altrove a depositare i miei denari.

  8. #8
    Senior Member L'avatar di manuè
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    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi

    E' una donna qualunque, una che ha una pagina fb piena zeppa di immagini della Madonna, di Gesù, di contenuti di Radio Maria, di candele che bruciano. Di foto di un bambino che le somiglia.
    se lasciati a se stessi i problemi tendono a risolversi da soli, se così non accade, allora è meglio lasciar perdere il tutto e passare ad altro.

    - gli ignoranti ignorano -

  9. #9
    Υπήρχαν ήρωες L'avatar di balmung
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    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi


  10. #10
    il CREATORE L'avatar di Mad_One
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    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi

    madonna come siete, è un video brutto e cringeworthy, ma basta lì, è un video del cazzo porco il clero, quanto cazzo siete pesanti

  11. #11
    Senior Member L'avatar di Gilgamesh
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    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi

    Citazione Originariamente Scritto da Necronomicon Visualizza Messaggio
    Io non sono d'accordo. Uno scopre che la sua banca assume gente che favorisce o organizza robe così dementi, ha tutto il diritto di farlo sapere a tutti. Perché 'sto tempo perso, 'ste cagate, 'ste boiate, lo fanno grazie al fatto che noi clienti pensiamo che le persone a cui affidiamo i nostri risparmi siano almeno persone serie e non ridicole. Perché se mi accogliessero così, andrei altrove a depositare i miei denari.
    Veramente era un'iniziativa di banca intesa

    La sua banca propone un contest. "Fate un video per raccontare il bello della vostra filiale!", dice l'invito a partecipare. "Non cerchiamo il nuovo Fellini, mixate allegria e coinvolgete i colleghi!, aggiunge. E infine: "Proietteremo i video più emozionanti durante gli incontri banca Intesa a settembre-ottobre!". Segue una mail della banca.
    Messa così ci sta pure che fosse un video ironico esagerato apposta per sottolineare l'assurdità dell'iniziativa

  12. #12

    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi

    Citazione Originariamente Scritto da Ceccazzo Visualizza Messaggio
    Prevedibile la reazione sel "popolo del web" e della Lucarelli, che ha ragionissima. Complimenti a tutti gli organi di informazione che prima la deridono anche liro, non capendo un cazzo di quello che predicano, per poi cancellare le prove dei loro articoli
    quot

  13. #13
    Senior Member L'avatar di MrFrido
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    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi

    sono incredibilmente abbastanza daccordo, poveraccia ha imparato nel modo peggiore che ste cazzate da aziendalisti non rendono. Mi fa un pò pena.

  14. #14
    La Nonna L'avatar di Lux !
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    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi


  15. #15
    koba44
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    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi

    Visto un cazzo di video, fottesego e mi faccio i cazzi miei.

  16. #16
    La Nonna L'avatar di Lux !
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    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi


  17. #17
    Senior Member L'avatar di Cesarino
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    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi

    Cosa c’è dietro un balletto aziendale trash



    Dopo due (di chissà quanti) video in cui perplessi o entusiasti dipendenti di Banca Intesa si producono in balletti trash offerti al pubblico ludibrio online, possono nascere due dibattiti.
    Il primo è sull’opportunità di prendere in giro in massa – come sta avvenendo sui social network da qualche giorno – le gesta imbarazzanti di chi, bene o male, si diletta in “balletti corporate” e ci crede; c’è da stabilire la soglia oltre la quale ridere dietro al prossimo tanti-contro-uno inizia a diventare bullismo. Tema interessantissimo, infatti non ne parlo.

    Il secondo è iniziare a discutere, senza ipocrisie, del fenomeno dell’aziendalismo deleterio.
    Come fa giustamente notare Enrico Marchetto, nel caso di Intesa Sanpaolo si tratta di video estratti dal loro frame: immagini che, presentate fuori contesto e con un pubblico diverso, perdono tutte le attenuanti estetiche del caso.
    Ecco, in questo post vorrei parlare del frame e lasciare stare i poveracci che ci sono in mezzo, producendosi con entusiasmo o riluttanza del genere “ma tu guarda cosa mi tocca fare per campare” nella versione corporate di “Lo smacchiamo”.

    È bene tenerlo a mente: quei minuti di imbarazzo raggelante con gli impiegati costretti a umilianti canzoncine e balletti non sono nati spontaneamente, ma sono frutto di un’iniziativa in cui Intesa Sanpaolo chiedeva, per qualche ragione, ai suoi dipendenti di registrare e condividere esibizioni simili.
    Parliamo quindi dell’azienda che ha commissionato i video trash, non di chi ha obbedito all’ordine di rendersi ridicolo.

    La chiave è tutta lì: quei video lì erano voluti dai “capi”, probabilmente su stimolo di qualche dirigente iperzelante, deputato alla “corporate qualchecosa”, che ha riempito slide su slide col concetto di “employee advocacy”, cioè la “militanza sentimentale” attiva dei dipendenti.
    In inglese suona meglio ed è un po’ criptico. E si sa che il top manager, parafrasando Maurizio Milani, quando non capisce, si innamora.

    “È un bel direttore!”: come l’aziendalismo deleterio è sempre stato tra noi
    L’incultura padronale dietro le iniziative di “animazione corporate” non è un prodotto moderno. Esiste da quando è nata l’industria e porta con sé un elenco di pratiche e iniziative che più o meno tutti abbiamo incontrato, magari nelle versioni più light: divise aziendali, giornate di “affiatamento” in qualche albergo, con attività motivazionali di ogni tipo, concorsi del tipo “Miss compagnie aeree” (esisteva davvero), inni aziendali (tipo quelli dell’IBM, con menzione dei dirigenti, alla Mariangela Fantozzi), balletti aziendali, anacronistici dress code e loro versioni simpatiche (tipo il casual friday che diventa “Hawaiian shirt day!”), fino a perversioni come il Precision Walking: impiegati in giacca e cravatta della stessa azienda che si esercitano giorno e notte per marciare a tempo e compiere evoluzioni di gruppo incredibili, seguendo gli ordini gridati da un dirigente; in Giappone è considerato un mezzo sport, che riempie i palazzetti di pubblico.

    Nella mia brevissima esperienza da dipendente in grandi società ho vissuto un numero sufficiente di “eventi” aziendali (tra i quali una cena di Natale in cui ai dirigenti veniva servito il secondo e ai dipendenti comuni no e toccava aspettare che i capi finissero il brasato per mangiare una mesta fetta di panettone; ma c’è anche stata una tre giorni in Sardegna fuori stagione in cui dopo 10 minuti dall’atterraggio ci fu presentata “la vostra coreografa”, motivo per cui disertai insieme a un collega; e una giornata in una cascina del pavese in cui avrebbero cercato invano di farmi camminare sui carboni ardenti e poi farmi prendere al volo dai colleghi mentre mi lasciavo cadere all’indietro; ho bigiato, dandomi malato per finta, come l’eroe Fabio nel video della filiale Intesa Sanpaolo di Castiglione delle Stiviere) da farmi fuggire, riprendere la partita IVA e non tornare mai più, se non da fornitore.

    A guardarlo da vicino, ma non da dentro, quel grottesco insieme di attività umilianti per i lavoratori, spesso avvolto in ingenue buone intenzioni corporate, è una forma antropologica di esercizio del potere dei forti sui deboli. L’idea legittima alla base è “motivare i lavoratori”, cioè – ipocrisie a parte – fare sì che producano di più. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di una pratica meccanica, che ha più a che fare con l’entusiasmo del cheerleading che con la condivisione di valori, idee, obiettivi, che davvero siano in grado di motivare i lavoratori.
    Il problema, come sempre, sono i metodi. Nell’istante in cui la retorica e l’organizzazione militare (fateci caso: certe forme di aziendalismo non ricordano esteticamente le baracconate leaderistiche di posti tipo la Corea del Nord?) sposano l’animazione da villaggio turistico e la sua elevazione televisiva, cioè Amici di Maria De Filippi, nascono i video imbarazzanti come quelli che stanno girando su Internet in questi giorni.

    Le aziende hanno un’etica? E un cuore?
    Al di là dell’esito estetico e della fremdschämen conseguente, in ogni balletto corporate umiliante c’è un fattore in gioco più grosso e più serio: la difficoltà delle aziende nel presentarsi e nell’agire come enti “etici”.
    Ogni impresa si riempie la bocca di concetti come “valori aziendali” o “brand values”, cioè i valori di marca.
    Spesso – consideratela un’autoaccusa, dato che è materia per noi pubblicitari – dietro le carte d’intenti, le carte etiche, i documenti valoriali, le mission, le vision, i codici di relazione per i dipendenti c’è il vuoto fattuale.
    Insomma, sembra che molte imprese si nutrano del loro stesso vecchio “marketing senza sostanza” a cui i consumatori da qualche tempo dicono sempre più sovente di no.

    L’azienda che convince i propri dipendenti a dire in un video “siamo una grande famiglia”, per esempio, non è credibile al suo interno se non si comporta davvero come una famiglia, cioè se non mette in atto pratiche che vadano al di là del minimo sindacale per far sentire a casa e circondati d’affetto i propri lavoratori.
    Questo discorso vale per qualsiasi tipo di dichiarazione etica delle imprese, a cui non fanno seguito fatti concreti e sufficienti. Sottolineo “sufficienti”, perché ogni impresa, anche il petroliere più crudele, riempie pagine e pagine di bilanci sociali (per i non pratici: si chiama Corporate Social Responsibility, CSR) di tornei aziendali, giornate “porta il tuo figlio al lavoro”, qualche campo sportivo in un paese svantaggiato e, nel migliore dei casi, il finanziamento a qualche ONLUS che si occupa di temi non minacciosi per le pratiche dell’azienda stessa.

    C’è un problema di credibilità delle imprese, credo. Ed è un problema a cui per ora i consumatori di massa fanno ancora troppa poca attenzione. E i dipendenti meno che mai.
    È una banalità, ma servono aziende più serie. Non nel senso di aziende che pubblichino meno balletti ridicoli con sorrisi finti da nuoto sincronizzato, ma aziende che capiscano che la “militanza affettiva” dei propri impiegati passa attraverso fatti concreti, non proclami sterili, cori da stadio e fuffa da convention.

    Sorry seems to be the hardest corporate word
    In questo scenario c’è un problema in più, a pensarci bene. Ed è una questione di pura comunicazione: la difficoltà delle imprese a stare alla larga dal linguaggio eroico-agiografico.
    È di sicuro un retaggio del passato: per fortuna, grazie a qualche pubblicitario folle e qualche manager meno ottuso del solito, la comunicazione rivolta ai consumatori ha iniziato da tempo a essere più autoironica, meno impettita e tronfia, ma ho l’impressione che al loro interno le aziende continuino un auto-racconto eroico, ricco di iperboli e di entusiasmi fuori luogo, pretendendo che sia condiviso con entusiasmo da chi ci lavora.

    Anni fa mi capitò di lavorare per un editore che pubblicava una complessa classifica dei migliori brand al mondo, categoria per categoria.
    La classifica era composta dopo una lunga sessione di studio da parte di diversi team di esperti di settore e dopo un’intervista alle figure più importanti delle aziende coinvolte: amministratori delegati, direttori, responsabili della comunicazione. Per me, coinvolto nel ruolo di intervistatore, fu un’esperienza irripetibile: era l’occasione per capire da dentro, senza mediazioni, come ragionavano le aziende (e le persone dentro le aziende) dietro grandi brand globali o nazionali.

    Dopo un po’ di interviste in imprese di ogni settore possibile mi accorsi che tutte, nessuna esclusa, avevano un’auto-narrazione basata esclusivamente sul concetto di leadership, sull’indiscutibilità del management verticale e, sostanzialmente, sull’infallibilità “papale” dei loro capitani. Da fuori si vedeva poco, perché spesso la comunicazione è mediata da agenzie e altri enti esterni, ma la comunicazione interna delle imprese, in moltissimi casi, era ed è un mix micidiale di epopee eroiche, vite dei santi e cultura ultras da stadio.
    In quell’occasione, per esempio, mi capitò di raccogliere le testimonianze di tre amministratori delegati di aziende concorrenti su un mercato specifico e strettissimo: tutti e tre gli AD dichiaravano la propria impresa leader assoluto del settore, cosa che – salvo un improbabile pari merito calcistico – non poteva essere vera in due casi su tre.
    Di fronte al mio ingenuo “ma è sicuro?”, rivolto a uno dei tre AD che negava l’evidenza dei dati di mercato, fui gentilissimamente accompagnato alla porta da un paio di segretarie costernate, dopo rapidi convenevoli. Verdetto: lesa maestà.

    Fateci caso. Prendete qualsiasi fail analogico o digitale di un’impresa (per esempio il “caso Minetti” per i costumi Parah) e scoprirete che, nella sua auto-narrazione, l’azienda non sbaglia, l’azienda non fa autocritica, l’azienda non ha nulla da farsi perdonare. E ovviamente non riesce a chiedere scusa, come Fonzie. E come Fonzie, però, a lungo andare rischia di saltare lo squalo.


    La dignità personale e la dignità d’impresa
    Come prevedibile, Intesa Sanpaolo è intervenuta dopo il leak dei video imbarazzanti. E ha concentrato tutti i suoi sforzi su due azioni: spiegare che i video non erano stati creati per essere distribuiti online (beata ingenuità; evidentemente nel 2017 non si sono ancora accorti che su Internet vale il teorema di Luigina Foggetti: “everything is forwardable”) e, soprattutto, cercare il colpevole della loro diffusione.

    Evidentemente a nessuno, all’interno di Intesa Sanpaolo, è venuto in mente di cercare chi ha ideato e approvato l’iniziativa che ha fatto fare ai dipendenti i video trash.
    Il vero danno d’immagine per uno dei principali istituti bancari nazionali è questo: il top management fa fare ai suoi dipendenti un’attività imbarazzante (e, visti i balletti, anche inutile dal punto di vista dell’affiatamento interno, se proprio vogliamo entrare nel merito dell’attività stessa), non li difende dall’esposizione pubblica e, a danno fatto, non concepisce nemmeno da lontano l’opportunità di dire “forse abbiamo avuto un’idea stupida e pericolosa e non abbiamo capito come funziona Internet” e in ultimo avvia un’inutile caccia alle streghe contro la “spia” interna.
    Non amo le gogne, ma se proprio fosse necessario costruirne una, la riserverei al responsabile dell’iniziativa, non ai dipendenti che si sono prestati, mettendo in gioco la propria dignità. Chissà se verrà mai fuori il suo nome.

    Perdonatemi se chiudo con una domanda polemica, ma il principio di credibilità di un ente complesso come un’impresa è fatto, presso i consumatori, di impressioni, dettagli, estetiche superficiali, contatti sfuggenti. È facilissimo sbagliare, soprattutto e si ha un’azienda con “più di 90.000 dipendenti”, in un mercato “commoditizzato” in cui, per gran parte dei correntisti, una banca vale l’altra.
    Alla luce di tutto questo, non è fuori luogo la domanda: “affidereste i vostri risparmi a un’azienda che si comporta così?”
    Chi si occupa di comunicazione aziendale deve porsela per conto terzi ogni giorno. Temo che in questi giorni siano in aumento quelli che risponderebbero “no”, spaventati da scelte manageriali sbagliate e rimedi peggiori dei mali.

  18. #18
    Malmostoso L'avatar di Necronomicon
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    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi

    Esattamente

  19. #19
    Senior Member L'avatar di Feanor_II
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    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi

    Solito discorso. Internet è una potenziale arma di distruzione di massa: i nostri figli/nipoti lo sapranno, noi ancora fatichiamo.

    Siamo come gli ingenui operai delle prime centrali nucleari che scherzano tirandosi liquami radioattivi.

    E sì, concordo con chi mi ha preceduto: i peggiori sono i media generalisti che, per due click in più, mettono alla gogna chiunque; salvo poi pubblicare editoriali sdegnati.

    Schizofrenia paracula.


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    Citazione Originariamente Scritto da mattex Visualizza Messaggio
    grandissimo utente, modesto, a modo ed elegante questo feanor
    Citazione Originariamente Scritto da Feanor_II Visualizza Messaggio
    È pirandelliano. Ci ridiamo e scherziamo perché non vediamo lo sconfortante e laido squallore che dorme sotto la patina goliardica. Credo sia l'angolo più buio della coscienza di j4s; il disagio purissimo, un passo aldilà del confine tra l'essere "strani" e l'avere un bel cazzo di problema.

  20. #20
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    Re: CARO MOLOKKIO, tu che ridi del video di Katia di San Paolo... [Lucarelli Selvaggi

    Selvaggia Lucarelli Leggo su alcuni gruppi di social media manager (o aspiranti tali) geni del web per cui io sarei una poveretta da prendere come non-esempio per quello che dico o faccio. Ora. A parte che se vuoi fare il social media manager , pure se mi disprezzi nel profondo, da me avresti solo da imparare, è agghiacciante come gente che nella vita desidera occuparsi della reputazione delle aziende consideri Katia una povera scema e non si soffermi, invece, su quello che è lecito e non lecito fare. Andrete proprio lontani, bello miei. Ci vediamo qui alla prima figura di merda che farete fare alla vostra azienda. Ed è dietro l'angolo.

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