Un lavoro appena uscito su Lancet è molto importante, e pur con alcune limitazioni, ci spiega cose di massima rilevanza.
Prima di tutto: che cosa è stato fatto? Sono stati presi i sieri di 250 pazienti dopo la prima dose e dopo la seconda dose del vaccino Pfizer ed è stato valutato quanto gli anticorpi indotti dalla vaccinazione (una o due dosi) sono in grado di neutralizzare le diverse varianti virali.
Rendendo molto semplice una storia estremamente complessa (che chi vuole può approfondire leggendosi il lavoro) quello che emerge con grande chiarezza è che UNA SOLA dose di vaccino Pfizer induce nella maggior parte dei vaccinati una buona quantità di anticorpi neutralizzanti contro il virus “originale” (sono le barre 40-256 nelle prime due caselle a sinistra), al contrario quella singola dose di vaccino non induce una risposta così efficace contro le varianti, in particolare la “brasiliana” e “indiana” (le ultime due caselle a destra, come vedete la barra di pazienti che hanno un titolo neutralizzante inferiore a 40 è particolarmente lunga).
Questo potrebbe spiegare cosa sta succedendo in UK: si è vaccinato con una sola dose e questo sta consentendo la circolazione di varianti contro i quali il “vaccinato una volta” non è immune, e quindi queste (in particolare se molto contagiose come quella indiana) stanno circolando.
Però osservando la parte inferiore della figura capite perché possiamo essere ottimisti: due dosi di vaccino Pfizer inducono alti titoli neutralizzanti contro TUTTE LE VARIANTI (la barra in basso è minima).
Ovviamente questo lavoro ha delle limitazioni: viene analizzata la capacità del siero dei vaccinati di neutralizzare i virus e, per quanto importante, non è questa la sola cosa che protegge. Però è uno spunto notevole che ribadisce che vaccinare con una sola dose non è stata un’idea priva di controindicazioni, come qualcuno aveva già molti mesi fa suggerito.
Ci sono poi altri elementi da discutere, ma questo lo faremo in futuro.
L’ultima considerazione è che, come vedete, la questione “varianti” è estremamente complessa, e deve essere discussa non su Twitter o Facebook, ma sui giornali scientifici, dove le opinioni sono qualificate.
Roberto Burioni