Ok, Villa, parli tanto, ma tu che cosa faresti?
Sorvoliamo su che cosa avrei fatto in passato, su che cosa avrei e soprattutto non avrei detto. Partiamo dal 23 ottobre, ora che non si può più giocare con le parole e con i dati come molti facevano fino a un paio di settimane fa.
Ora, 23 ottobre, siamo lanciati a tutta velocità verso un baratro, per cui la cosa più urgente è frenare e cercare di spegnere il motore, cioè ridurre al minimo la possibilità di ulteriori contagi e cercare di gestire al meglio quelli già avvenuti. Non possiamo fermarci di colpo qui, ai 130 morti al giorno, perché l'inerzia ormai c'è, e non esiste modo per uno stop immediato. La superficialità delle settimane scorse già ci costerà migliaia di morti, morti annunciati per cui ormai non si può fare nulla (e se vi sembro esagerata pensate che più di 100 al giorno sono mille in una settimana, se anche non aumentassero, ma è matematico e inevitabile che aumenteranno).
Cerchiamo di pensare a che cosa si può fare OGGI per evitare che marzo-aprile al nord fossero solo la prova generale di quel che si potrebbe riprodurre in tutta Italia per tutto l'inverno e la primavera: non due mesi in 3-4 regioni, tra le meglio attrezzate di Italia, ma sei mesi in 20, comprese quelle più sguarnite.
Non decine, come nei mesi scorsi, ma centinaia di migliaia di morti non solo CON covid, ma PER covid, perché anche senza il virus non sarà materialmente possibile assistere quelli che chiederanno aiuto per tutto il resto, più tutti quelli che conteremo nei prossimi anni per interruzione delle attività di prevenzione.
Fate i vostri conti, anche economici, di che cosa potrà costare quando i genitori non perderanno il lavoro ma la vita, e oltre all'interruzione delle attività per decesso di chi ci lavora avremo anche migliaia e migliaia di orfani di cui occuparci. Perché è di questo che si parla, altro che i danni della didattica a distanza alle superiori (di cui sono perfettamente consapevole, ma che vanno soppesati in relazione al resto).
Da questo scenario consapevolmente catastrofista, ma che sfido a smentire, dati alla mano, vediamo che cosa si può fare, oltre a smettere di raccontare balle agli italiani (tipo che Babbo Natale ci porterà il vaccino o gli anticorpi monoclonali che risolvono tutto). Bisogna intervenire oggi per cercare di limitare la catastrofe sanitaria che si porta dietro, INEVITABILMENTE, una catastrofe economica, così come quella economica se ne porta dietro INEVITABILMENTE una sanitaria. Le due crisi vanno di pari passo, non sono in alternativa, non c'è modo di salvare l'economia senza la salute né la salute senza l'economia. Bisogna tenere le due redini insieme. Ecco che cosa farei SUBITO, ben consapevole che queste sono solo le prime cose che mi vengono in mente, e che ci sono fior fior di esperti che andrebbero ascoltati, pur con tutta l'incertezza di una situazione mai verificatasi prima e che SI PROLUNGHERA' per mesi:
- obbligo immediato di smartworking per tutti i lavori in cui è possibile, nelle grandi città e in tutte le aree ad alta circolazione del virus. Senza chiudere la gente in casa, consentendo e favorendo l'attività all'aperto, magari anche lasciando aperti i negozi, i bar e i ristoranti, ma con controlli severi sul rispetto delle regole di distanziamento al chiuso;
- nelle stesse aree, senza sanzioni né controlli di polizia, occorre però dire chiaramente come si fa in UK che SONO PROIBITE tutte le riunioni tra familiari e amici anche in casa. La multa è la possibilità di ammalarsi o la responsabilità di contagiare persone fragili. Ci sarà ovviamente chi trasgredisce, ma un messaggio chiaro già servirebbe molto, credo;
- nelle aree meno colpite si dovrebbe continuare a mantenere almeno la regola dei 6 invitati oltre ai conviventi, rimandando all'estate i festeggiamenti per matrimoni e altre celebrazioni che si possono tenere, ma con le misure previste;
- noleggio di pullman turistici per potenziare i trasporti pubblici nelle fasce orarie che nonostante questo provvedimento restassero affollate;
- ordine nelle procedure di diagnosi e screening: basta buttare soldi nei sierologici che gonfiano in maniera insensata la richiesta di tamponi, sottraendoli ai sintomatici; favorire la distribuzione di tamponi rapidi, selezionando però solo quelli di provata efficacia, senza preoccuparsi di compiacere l'azienda amica o made in Italy, da sostenere, perché qui c'è tutto il Paese da sostenere; stabilire rigorose priorità nell'accesso ai tamponi;
- nelle aree dove ancora non siamo a questo livello di diffusione del virus, potenziare le attività di tracciamento formando quel personale che andava reclutato a marzo: lo farà meno bene di medici, infermieri, assistenti sanitari, ma ormai queste figure professionali ci servono altrove. Sempre meglio di niente.
- Autorizzerei immediatamente, per decreto, tutti i giovani medici che per pastoie burocratiche non sono autorizzati a farlo, a entrare in campo per supportare i più esperti, impegnandoli anche nelle USCA, che devono essere autorizzate a fare tamponi rapidi affidabili, e a prescrivere terapie.
- PROIBIREI le ricette cartacee, che ancora rialzano la testa dopo essere state messe un po' da parte durante il lockdown. Dal medico si va solo per necessità di visita. Ottimi anche i colloqui skype, se bisogna parlare
- la didattica a distanza la mattina non significa che i ragazzi non si possano vedere il pomeriggio. Non siamo ipocriti né moralisti: è diverso il rischio legato a trascorrere 5-6 ore in un locale chiuso in 25 e fare una corsa o una passeggiata al parco o due calci al pallone in due o tre, magari sempre gli stessi amici del cuore. Il danno di un isolamento così prolungato non sarebbe trascurabile;
- dire chiaramente chi deve fare che cosa, a tutti i livelli, smettendola di rimpallarsi le responsabilità, perché la confusione aggrava moltissimo la crisi e la sua percezione.
- cambiare lo stile di comunicazione, mettendo da parte i paternalismi e trattando gli italiani da adulti che devono affrontare la peggior crisi dal dopoguerra, non ragazzini da spaventare con minacce o consolare con false speranze, a seconda del momento.
Non sono stata contraria al prolungarsi dello stato di emergenza, ma solo se questo serve a scavalcare i blocchi burocratici che impediscono di agire: altrimenti, non ha senso. Le differenze tra regioni, province e città ci devono essere, ma sulla base della circolazione del virus, non della percezione o delle scelte politiche dell'uno o dell'altro amministratore locale, che va consultato, ma non può avere l'ultima parola.
Le prime misure che mi vengono in mente, come vedete, sono quasi a costo zero. Sull'opportunità di chiedere il MES per sostenere la sanità, che subirà anche gli effetti del crollo del gettito fiscale non mi esprimo, perché non so nulla di economia. Per quel poco che riesco a capire, però, mi sembra una follia rinunciarci