Test poco efficaci e problemi logistici: ecco perché non si può replicare su scala nazionale
I dubbi, per la verità, sono parecchi. Innanzitutto, i test usati non sono i tamponi “da laboratorio”, ma test antigenici che danno un risultato in circa 15 minuti. Pochissimo tempo. E, come dichiara a Open il medico Andrea Crisanti, «i test rapidi hanno una sensibilità bassa e su 10 positivi se ne perdono circa 3». Il giudizio di Crisanti, che in Veneto aveva proposto una strategia di screening di massa, è lapidario: «Nel giro di due settimane i casi ripartiranno. Il modello dell’Alto-Adige non è un modello, è un pezza».
Se anche si desse per assodato che «uno screening con un test rapido fatto una volta sola su una popolazione limitata può abbattere temporaneamente la prevalenza del virus, non sarebbe in grado di individuare tutti i positivi», aggiunge. Insomma, al di là dell’utilizzo dei test antigenici anziché dei tamponi, bisognerebbe ripetere i test almeno 2 o 3 volte, accompagnandolo con nuove misure di lockdown. Ovvero, l’opposto di quello che intende fare l’Alto Adige.
Al di là di questo, spiega ancora Crisanti, che pure è stato il primo ad insistere sulla necessità del tracciare il più possibile, sarebbe difficilmente applicabile su scala nazionale anche al netto degli ostacoli logistici e finanziari. «Su macro-realtà i test rapidi fatti senza ripeterli a cadenze regolari non hanno senso. Il modo giusto è quello utilizzato a Liverpool: fare i test a tutta la città una volta a settimana per circa 4-5 settimane». Esistono alternative? «Il network-testing – dice il ricercatore – Una volta identificata una persona positiva si fa il tampone molecolare, non il tampone rapido, a tutti i contatti, amici e colleghi di lavoro. Lo abbiamo proposto più volte. Sarebbe una strategia molto meno costosa e più intelligente».