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L’imponente intervento di chirurgia poligonale che l’equipe capitanata da Tetsuya Nomura (e supervisionata da Yoshinori Kitase) ha effettuato su un Final Fantasy VII tanto bello nel ‘97 quanto naturalmente sciupato dal tempo, lascia esterrefatti. Un’operazione talmente scioccante a livello emotivo da sfalsare le percezioni, distorcere la memoria creando déjà vu artificiali. Conflitti cerebrali tra quello che esplode a schermo e ciò che la memoria aveva idealizzato negli anni, partendo da un mix di poligoni crudi e sfondi pre-renderizzati, tenuti insieme da emozioni di cemento, resistenti e inscalfibili.
SI HA L’IMPRESSIONE CHE GLI OCCHI SI SIANO TRASFORMATI IN PROIETTORI DI RICORDI PIRATA, RAFFINATI E CONTRAFFATTI, INVECE È TUTTO NUOVO
Le stesse inquadrature, le stesse sequenze, questa volta utilizzate come raccordi in un racconto estremamente dinamico, che segue con una verve da action (RPG) thriller l’infiltrazione in stile paramilitare degli ecoterroristi Avalanche nel reattore Mako 1 di proprietà della Shinra, Midgar. Un’azione tesissima che non viene interrotta dalle pause forzate dei combattimenti a turni (comunque presenti nella modalità “classica”), stemperata solo da dialoghi e personaggi inevitabilmente sopra le righe, quasi fuori luogo, a volte caricaturali in modo affettuoso e tipicamente giapponese. Si ha l’impressione che gli occhi si siano trasformati in proiettori di ricordi pirata, raffinati e contraffatti, invece è tutto nuovo, ridisegnato con devozione religiosa su uno scheletro ludo-registico sacro, che omaggia e riverisce l’amore di un pubblico dal cuore debole, tachicardico, gonfio.