ah, pensavo tipo agli orsetti del cuore
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ah, pensavo tipo agli orsetti del cuore
what a wonderfur wordo :timido:
https://www.youtube.com/watch?v=LfX8pOiuWFc
:rotfl::rotfl::rotlf:
Questo razzista svitatissimo ha teorie tutte sue :rotfl:
https://twitter.com/Adam4d/status/12...271801861?s=09
ed è per questo che su stellaris io non uplifto mai nessuno RAZZA
Articolo interessante.
https://www.dagospia.com/rubrica-2/m...mpression=true
Non è la prima a rimetterci il lavoro.
Citazione:
SE VOLETE CAPIRE COME IL “POLITICAMENTE CORRETTO” STIA UCCIDENDO LA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE, LEGGETE L’EDITORIALE DI ADDIO AL “NEW YORK TIMES” DI BARI WEISS: “LE MIE INCURSIONI NEL “PENSIERO SBAGLIATO” MI HANNO RESO OGGETTO DI CONTINUO BULLISMO DA PARTE DI COLLEGHI CHE NON SONO D'ACCORDO CON LE MIE OPINIONI. MI HANNO DEFINITA NAZISTA E RAZZISTA. È EMERSA UN'OPINIONE DIFFUSA: LA VERITÀ NON È UN PROCESSO DI SCOPERTA COLLETTIVA, MA UN'ORTODOSSIA GIÀ NOTA A POCHI ILLUMINATI, IL CUI COMPITO È QUELLO DI INFORMARE TUTTI GLI ALTRI”
Gentile A. G., è con tristezza che le scrivo per dirle che mi dimetto dal New York Times. Sono entrata nel giornale con entusiasmo e ottimismo tre anni fa. Sono stata assunta con l'obiettivo di portare sul giornale voci che altrimenti non sarebbero apparse sulle vostre pagine: scrittori alle prime armi, moderati, conservatori e altri che non avrebbero naturalmente pensato al Times come alla loro casa. La ragione di questo sforzo era chiara: il fatto che il giornale non fosse riuscito ad anticipare l'esito delle elezioni del 2016 rivelava una conoscenza non sufficientemente profonda del Paese. (...)
La priorità della sezione Opinioni è stata quella di contribuire a rimediare a questa grave carenza. Sono stata onorata di avere fatto parte di questo progetto, guidato da James Bennet. Sono orgogliosa del mio lavoro di editorialista e redattrice. (...). Ma la lezione delle presidenziali - sull'importanza di comprendere gli «altri» americani, sulla necessità di resistere al tribalismo e sulla centralità del libero scambio di idee per una società democratica - non è stata imparata.
È invece emersa una nuova opinione diffusa sulla stampa, ma forse soprattutto su questo giornale: che la verità non è un processo di scoperta collettiva, ma un'ortodossia già nota a pochi illuminati, il cui compito è quello di informare tutti gli altri. Twitter non figura nel colophon del New York Times, eppure ne è diventato (...) (...) il direttore editoriale. Nel momento in cui l'etica e i costumi in voga sulla piattaforma sono diventati quelli del giornale, il giornale stesso si è trasformato sempre più in una sorta di palcoscenico.
Le storie sono scelte e raccontate in modo da soddisfare un'audience il più ristretta e selezionata possibile, piuttosto che permettere a un pubblico curioso di leggere del mondo di trarre poi le proprie conclusioni. Mi è stato insegnato che i giornalisti scrivono la prima bozza della storia. Ma la storia stessa ora è diventata effimera, modellata per soddisfare le esigenze di una narrazione predeterminata. Le mie stesse incursioni nel «pensiero sbagliato» mi hanno reso oggetto di continuo bullismo da parte di colleghi che non sono d'accordo con le mie opinioni.
POLITICAMENTE CORRETTO
Mi hanno definita una nazista e una razzista; ho imparato a farmi scivolare addosso le critiche su come «scrivo di nuovo degli ebrei». Diversi colleghi hanno subito pressioni perché troppo amichevoli con me. Il mio lavoro e la mia persona sono apertamente umiliati sui canali Slack dell'azienda, (...) alcuni colleghi insistono sul fatto che io debba essere sbattuta fuori se questa azienda vuole essere veramente «inclusiva», mentre altri postano emoticons accanto al mio nome.
Altri dipendenti del New York Times mi diffamano pubblicamente su Twitter, dandomi della bugiarda e della bigotta. E lo fanno impunemente, senza preoccuparsi che le molestie nei miei confronti possano dare luogo a provvedimenti appropriati. Infatti non è mai accaduto. Ci sono termini precisi per tutto questo: discriminazione illegale, ambiente di lavoro ostile e dimissioni per giusta causa. Non sono un'esperta legale. Ma so che è ingiusto.
Non capisco come lei abbia potuto permettere questo tipo di comportamento nella sua azienda, alla luce del sole e sotto gli occhi del pubblico e del personale del giornale. E di certo non riesco a capire come tu e altri dirigenti del Times siate rimasti a guardare mentre in privato elogiavate il mio coraggio. Eppure a una «centrista» non dovrebbe essere richiesto del coraggio per presentarsi al lavoro in un giornale americano. Una parte di me vorrebbe poter dire che la mia esperienza è stata unica. Ma la verità è che la curiosità intellettuale - per non parlare della responsabilità di prendersi i propri rischi - oggi al Times è considerata un disvalore.
Perché pubblicare qualcosa di stimolante per i nostri lettori o scrivere qualcosa di audace per poi trovarsi a doverlo anestetizzare per renderlo ideologicamente kosher, quando possiamo mettere al sicuro i nostri posti di lavoro (e i clic sul sito) pubblicando il quattromillesimo articolo su Donald Trump pericolo numero uno per il Paese e per il mondo? Così l'autocensura è diventata la norma.
Al Times, le regole rimaste sono applicate con estrema selettività. Se l'ideologia di una persona è in sintonia con la nuova ortodossia, l'autore e il suo lavoro verranno risparmiati dall'inquisizione. Tutti gli altri vivono nel terrore della gogna digitale. Il veleno on line è giustificato, a patto che sia diretto contro i giusti bersagli. Gli articoli che sarebbero stati facilmente pubblicati solo due anni fa, oggi metterebbero in guai seri sia il direttore sia l'autore. O addirittura ne causerebbero il licenziamento.
Se un pezzo può suscitare reazioni interne o sui social media, il direttore o l'autore evitano di proporlo. E se per caso si sentissero abbastanza forti da suggerirne la pubblicazione, verrebbero rapidamente ridotti a più miti consigli. E se, di tanto in tanto, riescono a far pubblicare un pezzo che non promuove esplicitamente la causa progressista, ciò accade solo dopo che ogni riga è stata attentamente vagliata, negoziata e ponderata.
Ci sono voluti due giorni (e due posti di lavoro persi) per dire che l'articolo di Tom Cotton (sulla necessità di un intervento militare in seguito alle rivolte in Usa, ndt) «non è stato all'altezza dei nostri standard». Abbiamo inserito una nota della redazione a un reportage di viaggio su Jaffa poco dopo la sua pubblicazione perché non aveva «toccato aspetti importanti della composizione sociale di Jaffa e della sua storia».
Ma non ci siamo sentiti in dovere di aggiungerne una all'intervista di Cheryl Strayed con la scrittrice Alice Walker, un'orgogliosa antisemita che crede nei Rettiliani. Sempre più spesso, il nostro giornale di informazione sembra parlare a chi abita in una galassia lontana e ha preoccupazioni profondamente differenti dalla maggior parte della gente. Una galassia in cui, per fare qualche esempio, il programma spaziale sovietico viene lodato per la sua «diversità» (...) e l'elenco dei peggiori sistemi di caste della storia dell'umanità include gli Stati Uniti accanto alla Germania nazista. Anche ora, sono fiduciosa che la maggior parte dei dipendenti del Times non condivida questo punto di vista.
Eppure sono intimiditi. Perché? Forse perché credono che l'obiettivo finale sia virtuoso. Forse perché credono che sarà loro garantita protezione se annuiscono mentre quello che abbiamo di più prezioso - il nostro linguaggio - è degradato al servizio di una lista della spesa di giuste cause che cambiano continuamente. Forse perché ci sono milioni di disoccupati in questo Paese e loro si sentono fortunati ad avere un lavoro in un settore in contrazione. O forse perché sanno che al giornale, al giorno d'oggi, difendere i principi non fa guadagnare consensi. Ti mette un bersaglio sulla schiena.
Troppo saggi per postare su Slack, mi scrivono in privato sul «nuovo maccartismo» che ha messo radici al giornale. Tutto ciò è di cattivo auspicio, soprattutto per quei giovani giornalisti e quei redattori indipendenti chiamati a prestare molta attenzione a come dovranno comportarsi per fare carriera. Regola numero uno: dite quello che pensate a vostro rischio e pericolo. Regola due: mai rischiare di commissionare un articolo che va contro la narrazione. Regola tre: mai credere a un editore o a un direttore che ti spinge ad andare controcorrente. Alla fine, l'editore cederà alla massa, il direttore verrà licenziato o riassegnato, e tu sarai abbandonato a te stesso.
Per questi giovani giornalisti e redattori, c'è una consolazione. Mentre luoghi come il Times e altre istituzioni giornalistiche un tempo grandiose tradiscono i loro standard e perdono di vista i loro principi, gli americani sono ancora affamati di informazione accurata, di opinioni vitali e di un dibattito sincero. Sento queste persone ogni giorno.
«Una stampa indipendente non è un ideale liberale, né un ideale progressista, né un ideale democratico. È un ideale americano», ha detto qualche anno fa. Non potrei essere più d'accordo. L'America è un grande Paese che merita un grande giornale. Tutto ciò non impedisce che in questo giornale lavorino ancora alcuni dei giornalisti più talentuosi del mondo. Ed è questo che rende così straziante il clima illiberale che si respira.
Sarò, come sempre, una lettrice appassionata dei loro articoli. Ma non posso più fare il lavoro per cui mi ha portato qui - il lavoro che Adolph Ochs ha descritto in quella famosa dichiarazione del 1896: «Fare delle colonne del New York Times una tribuna per tutte le questioni di importanza pubblica, e a tal fine invitare a una discussione intelligente fra tutte le diverse opinioni». L'idea di Ochs è una delle migliori che abbia mai sentito. E mi sono sempre confortata con la convinzione che le idee migliori alla fine vincono. Ma le idee non possono vincere da sole. Hanno bisogno di una voce. Hanno bisogno di essere ascoltate. E soprattutto devono essere sostenute da persone disposte a rispettarle.
TLDR come non mai
un vero peccato perché descrive in dettaglio una situazione che forse giusto i più pessimisti di questo thread immaginano
in breve:
-la tizia fu assunta per cercare di dare un voce non-liberal al giornale dopo la vittoria di trump (lei si definisce una centrista non una trumpiana)
-in pochissimo tempo bullizzata, insultata,presa in giro da tutta la redazione (anche in maniera esplicita e senza alcun provvedimento disciplinare)
-i pochi colleghi che son d'accordo con lei lo fanno in maniera privata perché sono terrorizzati dalle conseguenze, chiunque si dimostra anche solo amichevole con lei è visto con ostilità
-letteralmente ogni articolo del giornale è pesato, valutato, ripulito, filtrato con un unico obiettivo: "non irritare la gente su twitter"
articoli che sarebbero stati pubblicati tranquillamente 2 anni fa sarebbe impossibile pubblicarli oggi
-si cannano articoli di politica internazionale perché "qualcuno si potrebbe offendere" (vedi sopra) e si accettano roba da e su sciroccati che credono ai rettiliani
Che poi non ho capito perchè dare così tanta importanza agli sciroccati su twitter. Non so con esattezza, ma credo siano più rumorosi che non numerosi. :uhm:
Twitter ha scalato velocissimamente la classifica dei peggio social
In pratica stai dicendo che gli USA si sono messi da soli in mano a SJW e generali teste di minchia, news at eleven
buongiorno eh :asd: benvenuti a 5 o 6 anni fa :asd:
:sisi:Citazione:
Se il tribalismo colpisce anche il NY Times
15/07/2020 17:35 CEST
Mauro Suttora
Giornalista
Povero John Kennedy. “Un Paese che ha paura di far scegliere ai propri cittadini il vero e il falso in un mercato libero è un Paese che ha paura dei propri cittadini”, disse nel 1962 per il ventennale di Voice of America, la radio del governo Usa usata contro i nazifascisti e poi contro i comunisti.
Pensavamo tutti che gli Stati Uniti fossero il non plus ultra della libertà, e in particolare della libertà d’informazione. Invece le dimissioni quasi contemporanee di Bari Weiss dal New York Times e di Andrew Sullivan dal New York Magazine ci ricordano che gli statunitensi possono essere anche intolleranti: dalla Lettera scarlatta al proibizionismo, dal Ku Klux Klan al maccartismo.
La 36enne Bari Weiss non era una semplice giornalista del Times, né un’opinionista. Era una editor delle pagine op-ed del principale quotidiano Usa. Il quale ha l’ottima abitudine non solo di separare perfino fisicamente, in pagine e redazioni diverse, le notizie dalle opinioni (pratica per noi esotica), ma anche di distinguere i commenti fra quelli che esprimono la linea ufficiale del giornale (editoriali) e quelli aperti a qualsiasi tendenza (op-ed, appunto: open editorials).
Eugenio Scalfari ricorse alla testatina “Diverso parere” quando quasi 40 anni fa ospitò il liberale Alberto Ronchey su Repubblica, orientata a sinistra. E ogni tanto anche oggi qualche direttore affianca un proprio articolo a un altro che lo contraddice. Ma non è frequente, nell’Italia delle parrocchie contrapposte. Ammettiamolo: non siamo popperiani.
Ammiravamo per questo il giornalismo anglosassone. E invece anche per loro è arrivato il momento del “tribalismo”, come lo definisce la Weiss nella sua brillante lettera di dimissioni, che andrebbe tradotta e proposta a tutti gli opinionisti fai-da-te nei social.
Weiss, ex Wall Street Journal, era stata imbarcata dal sussiegoso Times quattro anni fa per proporre un “diverso parere” ai propri lettori, disorientati dalla vittoria di Trump. Da allora ha scritto e fatto pubblicare opinioni di destra su un giornale di sinistra. Esercizio intellettualmente stimolante (“vediamo cos’hanno da dire questi zoticoni di trumpiani”), ma neurologicamente devastante per lei. Soprattutto dopo le due recenti ondate di ‘correttezza politica’ che hanno sommerso gli Usa. O perlomeno Manhattan, dove si concentrano i lettori del Times e Trump non arriva al 20%.
Il primo tornado è stato nel 2017 il ‘Me too’: la riscossa antimaschilista dopo lo scandalo Weinstein. Anche solo sospettare che qualche attrice potesse avere usato invece che subìto il divano del produttore era impensabile. La lettera S di sessismo stava lì pronta per essere marchiata a fuoco sul grasso pancione del maiale, come Noomi Rapace in ‘Uomini che odiano le donne’.
Da due mesi invece infuria il ‘Black Lives Matter’, la riscossa antirazzista dopo l’omicidio Floyd. E una delle vittime è stato il diretto superiore della Weiss, il capo degli editoriali del NY Times spinto alle dimissioni per aver osato pubblicare l’op-ed di un senatore repubblicano favorevole all’intervento dell’esercito per fronteggiare sommosse violente.
La Weiss è stata a sua volta sommersa di tweet con ogni tipo di insulto e accusa, dall’ormai inflazionato ‘razzista’ al simpatico ‘nazista’, visto che è ebrea.
Stessa storia per Andrew Sullivan, altro storico commentatore controcorrente: vent’anni fa provocò borborigmi nei benpensanti di sinistra Usa perché proprio lui, progressista (e gay, anche se c’entra poco), appoggiò le guerre di Bush junior (come Biden, d’altronde, anche se ora non gli piace ricordarlo).
Sullivan e Weiss probabilmente ora fonderanno un sito dei senzapatria. Impresa voltairiana rischiosissima, perché sia nel giornalismo che in politica, e sia negli Usa che in Italia, vince invece il tribalismo. O di qua o di là, ciascuno nella propria tribù. Felici di sentirsi ripetere le rispettive “narrazioni” (sinonimo di fandonie propagandiste) di destra e sinistra. I politici devono farsi votare ogni quattro anni, i giornali devono farsi comprare o cliccare ogni giorno. Ma il principio è lo stesso: attirare e fidelizzare i già convinti. Così il mercato si estremizza e scompaiono, al centro, neutrali e moderati. Politicamente e commercialmente sciapi, asettici, poco interessanti.
In tv o Fox o Cnn. Nella stampa o Washington Post (di Jeff Bezos, Amazon) e New York Times (di editore puro) a sinistra; oppure New York Post e Wall Street Journal (di Murdoch) a destra.
Tertium non datur. Per certi progressisti ora il tumore alla cervice non è più prerogativa femminile, perché così si discriminano i maschi trans, ex donne.
E secondo certi conservatori Biden è in combutta con Bill Gates per vaccinare (avvelenare) il mondo intero con la scusa del covid.
A pensarci bene, però, la sinistra Usa ha già vinto. Perché la da loro detestata Bari Weiss non si definisce di destra. Dice che è “di centro”. Quindi perfino per lei “destra” è una parola vergognosa. Non ha neppure il coraggio e l’onestà di confessare la propria tribù. Pretende di essere al di sopra delle parti. Perché in fondo anche lei è una giornalista privilegiata, addirittura pagata per distillare opinioni. Perciò irrimediabilmente radical chic, è la sentenza finale del Napalm 51 americano (di entrambe le tifoserie: contrapposte, ma simmetricamente eguali).
https://www.youtube.com/watch?v=hk0IgB6PcAg
Buon divertimento :fag:
In pratica c'è un esercito di ragazzini a cui viene spiegato che li stanno intortando col razzismo per spingere altre idee, lo capiscono perfettamente e continuano a pensare che sia quello il punto.
Dategli 5 anni per capirlo e si ritrovano con la tessera del KKK in tasca.
beh potrebbe starsene zitta, ad esempio
Intanto in Canada...
:fag:
Com’è possibile che le stime del pil americano dicano solo -8% nonostante tutti i casini che hanno
Perche dobbiamo essere sempre i piu stronzi a scendere piu di tutti?