Tra chi non ha un lavoro, in Italia, c'è un segmento misconosciuto ai più: quello di coloro che non solo non cercano un impiego, ma dichiarano anche che non sarebbero disponibili a iniziare a lavorare nemmeno se ne avessero la possibilità. Quanti sono? E perchè lo fanno?
http://www.linkiesta.it/it/article/2...600mila/30193/
«Nell’ascoltare le voci di questi giovani si profilano situazioni davvero molto eterogenee» rileva Sara Alfieri, dottore di ricerca in Psicologia sociale al dipartimento di Psicologia dell'università Cattolica di Milano: «Accanto al fenomeno molto diffuso del lavoro nero, vi è quello meno presente ma non meno preoccupante di alcuni giovani che sono implicati in piccoli commerci clandestini. A parte questa fetta, per nulla inattiva!, vi sono poi giovani ritirati, che impiegano il loro tempo giocando al computer o davanti alla televisione oppure bighellonando con gli amici».
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Ma sia chiaro che questo non vuol dire che la “colpa” della situazione sia da addossare alle famiglie iperprotettive e ai ragazzi ignavi: saltare a queste conclusioni sarebbe ingeneroso e superficiale, perchè in effetti ci sono moltissimi – e ben più pesanti –fattori indipendenti da loro, e ascrivibili invece al contesto e alle scelte politiche dei governanti. Per invertire la tendenza, e riuscire a ridurre il numero di questi inattivi in un certo senso “refrattari al lavoro”, «cruciali sono le politiche di incoraggiamento all’intraprendenza e di conciliazione tra lavoro e famiglia, che aiuterebbero una larga parte di donne Neet con impegni di cura a non lasciare definitivamente il mercato del lavoro» suggerisce Rosina: «In larga parte d’Europa la quota di Neet risulta molto più bassa rispetto a quella italiana quando sono presenti, pur in diversa combinazione, strumenti di questo tipo».
Ma certamente sarebbe anche utile agire sul piano culturale, per “convincere” le nuove generazioni a considerare l'autonomia economica – e dunque il lavoro che permette di raggiungerla – come un elemento irrinunciabile della propria identità di adulti. E riuscire finalmente a sfatare quella battuta del figlio 25enne che vive coi genitori in NordEuropa, con la madre che si interroga “cosa ho sbagliato?”, paragonato al figlio 25enne che annuncia di andare a vivere da solo ai genitori in Italia, e la madre che similmente si chiede “cosa ho sbagliato?”...