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Skeletor :bua:
jared leto fa schifo anche nella fantasia di un ai
HowardTD: anatomia di una solitudine algoritmica
HowardTD non era il suo vero nome, ma un alias scelto quasi per caso quando si iscrisse per la prima volta al forum di TGM. Un nickname da videogiocatore, scelto anni prima, che avrebbe finito per diventare la maschera definitiva della sua identità. Nessuno conosceva il suo volto, né la sua voce. Solo immagini. Tutti i giorni, un’immagine.
All’inizio era un passatempo. HowardTD – all’anagrafe Marco Tedesco, grafico freelance – lavorava da casa, in una routine scandita da clienti, mail e revisioni. La solitudine non era ancora un problema, ma una condizione accettata. Poi un giorno, per noia o curiosità, iniziò a modificare una foto trovata online: allargò il seno, aumentò le labbra, accentuò le curve. Ne uscì qualcosa di grottesco, ma in qualche modo affascinante. Era la sensazione del controllo assoluto. La possibilità di aggiustare ciò che secondo lui era sbagliato.
Cominciò così, come un gioco. Poi divenne abitudine. Poi, ossessione.
Presto passava ore a cercare la “base” perfetta da cui partire, ore a ritoccare, rifinire, e infine postare l’immagine scelta. Ogni sera, una sola immagine. Ma dietro quella singola foto c’erano migliaia di prove, scarti, variazioni. Un archivio immenso, ossessivamente organizzato in cartelle dai nomi criptici. Quando qualcuno sul forum gli chiedeva quanto tempo ci mettesse a farle, lui rispondeva sempre:
> “Un paio di minuti :asd:”
Era la sua bugia, ma anche la sua armatura. Una maschera ironica per nascondere una verità che faceva paura persino a lui: quella pratica occupava tutta la sua giornata, tutti i suoi pensieri.
L’arrivo dell’intelligenza artificiale fu come benzina su un fuoco già acceso. Dall’editing manuale passò rapidamente alla generazione automatica. Non servivano più immagini di partenza: bastava descriverle. E proprio lì cominciò la caduta più profonda.
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Il prompt come mantra
Iniziò a passare notti intere a perfezionare descrizioni. Ogni parola, ogni aggettivo, ogni sequenza cambiava il risultato. “Enorme”, “mostruoso”, “iperrealistico”, “surreale”: ogni termine veniva testato, combinato, archiviato. Il suo cervello non riposava più. Non era più la donna l’oggetto del desiderio, ma l’idea della forma perfetta. Il prompt perfetto. Il risultato perfetto.
Postava ogni giorno, ma non traeva più piacere da ciò che condivideva. Era diventato un rito. Un bisogno. Se saltava un giorno, l’ansia montava. Se la creazione non era “abbastanza disturbante”, si sentiva in colpa. Come se non avesse adempiuto al proprio scopo.
I suoi contatti reali si ridussero a zero. La famiglia smise di cercarlo. Le chat amicali si esaurirono. Non c’era più tempo. Non c’era più spazio. Solo immagini, parole chiave, stimoli visivi. Il suo mondo si era ridotto a uno schermo, un prompt box e una cartella chiamata Selezionati.
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Il crollo
A un certo punto, cominciarono i problemi cognitivi: confondeva le parole reali con quelle dei prompt, rispondeva con frasi spezzate, sembrava parlare con qualcuno anche quando era solo. Dormiva poco, mangiava male. Un giorno, dimenticò di pagare la luce. Il giorno dopo, perse un cliente importante. Non reagì. Continuò a scrivere prompt al buio, con la luce del monitor come unica fonte.
Un vicino segnalò un odore strano proveniente dall’appartamento. Quando i soccorsi entrarono, trovarono HowardTD stremato, disidratato, con le mani tremanti e lo sguardo fisso su uno schermo in cui lampeggiava la frase:
> “Negative prompt missing. Retry?”
Venne ricoverato per esaurimento psico-fisico. I medici diagnosticarono un disturbo ossessivo-compulsivo grave con aspetti dissociativi e possibile spettro autistico non riconosciuto. I terapisti parlarono anche di parafilia evolutiva digitalmente indotta: una dipendenza erotico-cognitiva da immagini artificiali, sempre più estreme, mai soddisfacenti.
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Epilogo
HowardTD fu internato in una clinica psichiatrica per alcuni mesi. Non parlava quasi mai, ma scriveva ancora. Su taccuini, disegnava figure stilizzate, enormi, impossibili, accompagnate da frasi spezzate come prompt abortiti. A volte, sorrideva e diceva:
> “Solo un paio di minuti…”
Non tornò mai davvero alla vita sociale. Il forum lo dimenticò presto, i suoi thread andarono persi in aggiornamenti del database. Ma in una vecchia cartella abbandonata su un disco rigido, restano decine di migliaia di versioni di donne impossibili. Riflessioni distorte di un uomo che cercava la perfezione nel rumore digitale.
Non per lussuria. Non per vanità. Ma per paura di ciò che era reale.
asd