La biologa più amata dai vaccinisti spiega che il vino fa venire il cancro.
Lei lo beve solo nei ristoranti stellati. Lì fa bene, non come nelle bettole frequentate dai povery.
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Antonella Viola: «Il vino fa male: chi beve ha il cervello più piccolo. Aperitivo? Con il succo di pomodoro»
La docente dell’Università di Padova appoggia la scelta dell’Irlanda che ha deciso di equiparare l’alcol alle sigarette inserendo nelle etichette avvertimenti sui danni alla salute
Professoressa Antonella Viola, lei è biologa, ricercatrice e docente all’Università di Padova. Sta facendo discutere il suo appoggio alla scelta dell’Irlanda, approvata dalla Commissione europea, di equiparare alcol e sigarette e di inserire nell’etichetta degli alcolici gli avvertimenti sui danni alla salute.
L’ha definita «una decisione giustissima», perché?
«Perché bisogna far sapere che l’alcol è incluso nella lista delle sostanze cancerogene di tipo 1, come amianto e benzene. È chiaro il legame tra il consumo di alcol, e non solo l’abuso, e i tumori al seno, del colon-retto, al fegato, all’esofago, a bocca e gola. Le donne che bevono uno o due bicchieri di vino al giorno hanno un rischio aumentato del 27% di sviluppare il cancro alla mammella».
E quindi il famoso detto «un bicchiere al giorno fa sangue, fa bene al cuore»?
«È un falso, nessun medico serio lo direbbe. Non c’è una dose sicura. Come per le sigarette la dose sicura è zero. Noi siamo abituati a pensare che a far male sia l’abuso di alcol, ma l’effetto cancerogeno si sviluppa anche con un uso moderato. Può indurre alterazioni metaboliche che si riflettono a livello cardiochirurgico e causare seri danni all’intestino».
Anche al cervello?
«Sì, studi recenti hanno analizzato le componenti della struttura cerebrale, dimostrando che uno o due bicchieri di vino al giorno possono alterarle. Insomma, chi beve ha il cervello più piccolo».
Lei sa che la posizione dell’Irlanda ha scatenato la rivolta di produttori e sostenitori dei benefici del vino?
«Capisco bene i grandissimi interessi che muove il settore, ma non possiamo nascondere la verità. Bisogna rendere consapevoli i cittadini dei rischi collegati all’alcol, come è stato fatto per il fumo, lasciando poi a loro la scelta di bere o meno. La gente deve conoscere gli effetti del consumo di alcol sulla salute, per poi decidere responsabilmente».
Professoressa lei è astemia?
«Bevo raramente, solo in occasioni particolari. Per esempio se ceno in un ristorante stellato, se festeggio un compleanno o una ricorrenza importante. Per me si tratta di eccezioni, non è la regola».
Niente aperitivo con gli amici?
«Sì, ma con il succo di pomodoro. Non dobbiamo fare l’errore di trovarci in compagnia per bere qualcosa, come si dice. Io per esempio ho da poco rivisto il mio amico e collega Nicola Elvassore, appena nominato direttore scientifico del Vimm, l’Istituto di Medicina biomolecolare di Padova dove tempo fa ho iniziato la mia vita di ricercatrice, e abbiamo festeggiato con una passeggiata».
Eh, non è mica semplice convincere gli affezionati dello spritz ad andare a passeggiare.
«Il problema è proprio questo, considerare l’alcol un motivo di aggregazione. È uno sbaglio».
Vale l’analcolico?
«No, troppi zuccheri, inutili. Fanno ingrassare, alzano la glicemia e non danno nutrimento».
Insomma, allora etichette su tutte le bottiglie?
«Sì, ne vale la pena. Con le sigarette ha funzionato, quell’avviso ha ridotto il consumo di tabacco. Ripeto, il consumatore ha il diritto di sapere che l’alcol fa male, poi così come c’è chi fuma ugualmente, continuerà a esistere anche la fetta di popolazione che si concede il vino o altri alcolici. Ognuno è libero di fare e vivere come vuole, ma almeno forniamo gli strumenti per conoscere prima le conseguenze delle proprie scelte».