Originariamente Scritto da
Gilgamesh
Cristina Seymandi risponde con la lettera che segue a Massimo Segre, ex compagno, che il 15 agosto su La Stampa ha difeso la propria decisione di rompere pubblicamente il fidanzamento durante la festa pre-matrimoniale a Torino: «Non ti sposo più perché mi hai tradito». Gesto che immortalato in un video poi diffuso online ha scatenato nei giorni successivi un putiferio mediatico.
Rompo il mio riserbo, dopo giornate di disagio che mi hanno molto provata.
Ieri mattina (il 15 agosto, ndr) ho potuto leggere una lettera di Massimo Segre rivolta al direttore di un quotidiano, dove, per l’ennesima volta, la mia vita e il nostro comune percorso insieme erano messe in evidenza a tutta pagina, sulla cronaca nazionale, mescolate, nell’articolo, con la pubblicità per le future iniziative imprenditoriali delle aziende del mio ex compagno (iniziative alle quali peraltro lavoravamo insieme da anni).
Massimo, in quella grande, disorientante, pagina di giornale parla molto di sé stesso: sostiene che «non vi è violenza nell’affermare la verità pubblicamente», riferendosi alla decisione - quella di mettere in piazza il nostro privato - che forse ha preso, quella sera del 27 luglio, convinto dai discorsi di chi - accanto a lui - non ha mai voluto la nostra felicità, ma ha solo desiderato «distruggere».
Parla, Massimo - forse con l’intento di attirarsi le simpatie di qualcuno – dell’«anello di fidanzamento di proprietà di sua mamma», il nostro anello fidanzamento, di cui non perde l’occasione di sottolineare il valore materiale specificandone le caratteristiche, anello al quale ero affezionatissima come ad una delle mie cose più care, misteriosamente sparito (guarda caso) da casa nostra 15 giorni prima di quella tristissima serata salita agli onori delle cronache, a riprova, forse, che c’è chi la vendetta la programma minuziosamente, e perversamente, con largo anticipo.
Massimo scrive, infine, che «l’amore dovrebbe essere una splendida
esclusiva», affermazione che mi stupisce sentir pronunciare proprio da lui… ma sulla quale preferisco non soffermarmi, perché, a differenza di Massimo, io non sento di avere alcun diritto di erigermi nel contempo a giudice e boia degli eventuali errori delle persone con le quali percorro un pezzo di vita, che siano compagni, familiari o amici, emettendo un giudizio definitivo e applicando anche la massima pena, senza peraltro neppure un minimo di contradditorio.
Ebbene, se i mass-media si aspettavano mie risposte piccate, repliche inacidite o addirittura vendette, così da alimentare il gossip estivo un’uscita dopo l’altra, saranno stati delusi: le parole chiave per me sono state, nell’immediato, «sconcerto» e «incredulità», e, successivamente, «delusione», «amarezza», «dolore».
Il motivo per il quale ho deciso di scrivere, tuttavia, è un altro, in
quanto checché ne pensi il Signor Segre, non ritengo che le nostre miserabili storie di persone qualunque, travolte da un fatto che - complice il clima agostano - ha fatto parlare non solo tutta Italia, ma è apparso anche sulle cronache in Francia, Germania, Brasile e via discorrendo, siano davvero di interesse per i nostri concittadini, che forse hanno ben altri e seri problemi ai quali dedicare la loro attenzione.
Scrivo ora per rivolgere un appello non a Massimo Segre, ma a tutti gli uomini e donne che in futuro si troveranno nella situazione di poter decidere se divulgare o no fatti privati di una persona, per vendetta, per voglia di riscatto o per «dare la propria versione dei fatti», ponendo però inevitabilmente l’altro in una condizione di inferiorità, di
umiliazione e di dover patire una violenza psicologica.
In questi giorni di enorme pressione, da donna emotivamente risolta e
professionalmente affermata, mi sono trovata in molte occasioni, durante le lunghe giornate nelle quali ho cercato di ritrovare equilibrio, e anche nelle notti passate insonni, a pormi un’insistente domanda: ma se tutto ciò fosse invece capitato a una ragazza o ragazzo di 20 anni, a una giovane donna o uomo per mille motivi più fragile di me, cosa sarebbe successo…? Al netto della retorica del “cavaliere senza paura che prende la parola in pubblico per riportare giustizia”, quale sarebbe stato l’impatto sulla vittima destinataria della gogna mediatica?
Sono tanti i messaggi di grande solidarietà e stima che ho ricevuto da amici e colleghi, e sui Social anche da parte di persone che neppure conoscevo, ma ci sono stati anche i messaggi violenti, tipici di quella mascolinità tossica che ancora pervade la nostra società: minacce, insulti, epiteti di ogni genere, offese, umiliazioni. E non sono mancate aspre critiche anche da parte di donne. Non voglio drammatizzare, ma le cronache ci raccontano di persone in difficoltà che in situazioni di questo genere possono arrivare a gesti di autolesionismo o, nei casi peggiori, a togliersi la vita, non
riuscendo a reagire a una umiliazione e diffamazione pubblica sui mass-media e tramite Social e web.
Il signor Segre pone sé stesso al centro di tutta la narrazione: la sua necessità
di prendere parola, le sue vere o presunte difficoltà nel forzarsi a farlo (e faccio fatica a pensarlo, visto che tutto è parso meticolosamente organizzato…), i suoi «valori», le sue aziende, il suo pensiero… proseguendo con una lunga lista di «aggettivi possessivi al maschile singolare».
Io, sommessamente, vorrei invece allargare lo sguardo, a ciò che il mio ex
compagno probabilmente, complice l’ego, non vede: chi sta attorno a noi, il destinatario dello sfogo, chi patisce, soffre, non comprende il perché di tanta umiliazione in pubblico e sul web, e alle persone a quest’ultimo collegate, come i figli, che necessariamente ne patiranno le conseguenze.
Soprattutto, la consapevolezza che se c’è una cosa, tra le tante, che questa
vicenda ci insegna, allora è proprio questa: che la vendetta fine a sé stessa è una pessima consigliera.
Poniamoci domande su chi è «cosa altra» rispetto a noi, e sull’effetto che le
nostre piccole e grandi decisioni quotidiane, troppo spesso centrate sul nostro egoismo e sul desiderio di rivalsa, possono generare su altri esseri umani, e sulle «macerie» che possono essere create - in misura a volte molto più pesante rispetto alle nostre stesse aspettative - dal «togliersi un sassolino dalla scarpa». Sosteniamo pubblicamente ogni
giorno il valore del dialogo e del confronto: poi però inneggiamo alla «vendetta perfetta».
Ho letto online commenti quali «è un signore, è un idolo!», e mi chiedo: se fosse capitato a voi, a vostra figlia o figlio, direste le stesse cose?
Con un’ingenuità disarmante, crediamo alle parole di chi parla con tono pacato e camicia bianca elegante, senza conoscere nulla del suo passato, e per contro condanniamo per stereotipo il fatto che una donna più giovane stia con un uomo più maturo, presumendo lo faccia solo per interesse.
Inoltre, se questa storia non avesse avuto i Social a contorno, si sarebbe
consumata tutta in un banale chiacchiericcio cittadino: quanto accaduto sottolinea allora, una volta di più, l’impatto di questi strumenti, e la necessità di una regolamentazione più seria, come il saggio richiamo del Garante della Privacy, l’altroieri, ci ha giustamente ricordato.
Concludo dicendo che, dal canto mio, sono convinta di aver dato il massimo in questa relazione, e mi spiace molto, sinceramente, per il disagio che posso aver creato a Massimo Segre, se – come lui sostiene – non sono stata all’altezza delle sue aspettative come compagna, ma nel merito di questa triste vicenda – anche considerato il fatto di non aver avuto, per sua scelta, nessuna possibilità di confronto con lui, l’uomo con cui
condividevo la mia quotidianità da 3 anni - non penso di aver altro da aggiungere.