Son rotta.
Letteralmente.
A due giorni dalla fine della gara mi sento più spaccata che mai.
Non serviva Strava a dirmi che il cuore era più alto del solito per dirmi quanto avessi tirato.
Lo sapevo, ho dato davvero tutto.
Sono caduta perché cercavo di andare oltre.
Mi sono rialzata, mi ha rialzata.
Ho vacillato parecchio, il ginocchio ha fatto male. Sono arrivata ad Omegna con un calza bucata per la caduta e una vescica non messa bene. Ho sorriso ma neanche troppo, perché anche quello costava fatica.
Ho corso i miei primi 75 km con tutto quello che avevo e ho avuto bisogno di qualche giorno di tempo per capirlo davvero.
Perché se ci penso davvero, il tempo è volato. Ero così concentrata ad esserci in ogni km che non mi sono accorta delle 11h passate. Avevo diviso il percorso così da non accorgermi di dove fossi e di quanto mancasse. Dovevo solo essere presente in ciò che facevo. Così è stato. Ed è stato bellissimo. È stato emozionante.
È stato meraviglioso vedere lo striscione con il mio nome fatto dalla family, condividere la gara con chi aveva condiviso con me una delle mie prime ultra, correre cercando di recuperare più posizioni possibili con il cuore che esplodeva dal petto.
È stato incredibile come ho vissuto la gara.
Bella e calda. E già manca come l’aria.
A casa, stamattina, con le gambe ancora rotte, le ginocchia gonfie, gli occhi stanchi, il respiro vacillante e la ripresa del lavoro…ti chiedi perché vuoi rifarlo se poi soffri così?
Perché poco tempo fa, in un podcast, qualcuno ha detto che il dolore si dimentica molto velocemente e quello che rimane è solo la gioia di ciò che hai fatto, il processo che ti ha portato allo start.
Per questo si torna agli allenamenti e alle gare. Altrimenti, se ci ricordassimo anche del dolore, non lo faremmo più.
Il nostro fisico ha la capacità incredibile di eliminare le cose più fastidiose e tenere a mente quanto di meraviglioso abbiamo fatto.
Ed è per questo che ora lascerò tempo al corpo e alla testa.
È stata l’ultima di stagione.
Ora si stacca un po’… ne ho bisogno.