Returnal è un’opera capace di mettere in difficoltà anche il più navigato dei videogiocatori. La sua difficoltà è marcata, con una curva molto ripida che richiede uno sforzo di apprendimento considerevole. Tuttavia è anche un’opera difficile da fotografare, probabilmente la più difficile che mi sia mai capitata nella mia carriera di fotografo virtuale.Se l’ultima volta vi ho parlato di Marvel’s Spider-Man e della mia passione per la fotografia urbana, quest’oggi il soggetto dell’articolo è uno dei titoli più belli degli ultimi anni. Un’opera che è arrivata tra noi come un fulmine a ciel sereno e che molto presto potrà essere scoperta e amata da un numero sempre più grande di persone. Non soltanto perché Returnal è in dirittura di arrivo nel catalogo del rinnovato PlayStation Plus, ma anche perché i rumor di un possibile approdo del gioco su PC si sono fatti sempre più insistenti e credibili.
Come accaduto nel caso delle avventure videoludiche dell’Uomo Ragno, però, anche questo articolo si concentra su un aspetto particolare dell’opera targata Housemarque: le sue potenzialità nell’ambito della fotografia virtuale. Se tuttavia lo scorso progetto aveva un focus ben preciso, e cioè immortalare la New York in cui si muove Spider-Man, questa volta il tema della galleria potrebbe risultare in apparenza più sfuggente. Sì perché le fotografie che vi ho sottoposto un paio di mesi fa raffigurano dei soggetti concreti: un edificio, un gioco di luci, lo skyline di Manhattan; con Returnal, invece, ho provato a catturare delle sensazioni: quel costante senso di angoscia che permea l’intera opera dello studio finlandese, la disperazione della protagonista che si riversa nel mondo alieno in cui si trova intrappolata, ma anche la forza di volontà di una donna che non si lascia abbattere dalle avversità.
LA DIFFICOLTÀ DI PUNTARE L’OBBIETTIVO
Devo però premettere che, in tutti questi anni durante i quali mi sono dilettato a scattare foto virtuali, non ho mai trovato un videogioco tanto complesso quanto Returnal. Ciò è dovuto principalmente a due fattori, ma il più importante è sicuramente rappresentato dalla generazione procedurale di tutti i contenuti.
Al contario di ciò che avviene nei videogiochi dove i livelli sono sempre uguali, la posizione degli oggetti è la medesima per tutti e i nemici in linea di massima compaiono sempre negli stessi punti, in Returnal ogni elemento è casuale. Non si può mai sapere cosa ci attenda una volta varcata la soglia di una nuova stanza. È normale che sia così, d’altronde stiamo pur sempre parlando di un titolo dalla forte struttura roguelite. Eppure tale struttura rappresenta la sfida maggiore per un fotografo virtuale giacché vengono meno molti punti di riferimento.
la proceduralità di Returnal rende ogni scatto unico
Il secondo aspetto da tenere in considerazione, poi, è direttamente legato alla difficoltà intrinseca del gioco. Returnal è un action che richiede la totale concentrazione del giocatore: una piccola distrazione può portare a una dipartita prematura. Ci vuole un niente a premere il tasto per entrare in photo mode poco prima di essere colpiti da un nemico, morendo male dopo aver scattato la foto ed essere ritornati in-game. Fa parte dei rischi del mestiere. Per fortuna non sono molto bravo a immortalare scene di azione, pertanto le mie sessioni fotografiche sono state in gran parte prive di futili dipartite per la povera Selene.
RETURNAL E LE SUE STATUE
Invece ho preferito dedicarmi agli ambienti di gioco, e in particolare alle numerose statue disseminate su Atropo. Durante le decine e decine di ore che ho trascorso sulla superficie del pianeta alieno, le statue sono diventate una sorta di ossessione. Ritengo che siano tra gli aspetti più affascinanti del gioco perché con le loro pose riescono a trasmettere lo stato d’animo di Selene, una donna tormentata dal dolore e dagli eventi traumatici del suo passato.
Come spesso accade, poi, l’attenzione per i dettagli che riverso nelle sessioni fotografiche mi permette di scoprire alcuni particolari che sono sicuro la stragrande maggioranza dei giocatori non noti nemmeno. Per dire, nel primo bioma – le Rovine Incolte – ci si può accorgere che la luna nel cielo è in frammenti (Selene è la divinità greca della Luna, tra l’altro). Lo si può fare, però, soltanto accedendo alla modalità fotografica e modificando l’angolazione dell’illuminazione: questa opzione sposta fisicamente la fonte di luce del livello, nello specifico la luna, facendola spuntare tra le nubi. Incidentalmente me ne sono accorto proprio mentre immortalavo una statua.
L’astronauta è una figura importantissima nella narrazione di Returnal
Sempre le Lande Scarlatte, poi, sono la mia parte preferita del gioco. Mi piacciono perché hanno un’atmosfera quasi eterea. Le strutture in rovina sono circondate dalla sabbia. Ci si muove tra le macerie che si disgregano a vista d’occhio. E naturalmente non mancano le statue, qui in pose che lasciano trasparire ancora di più disperazione e angoscia. Man mano che si va avanti, infatti, le statue cambiano, maturano assieme a Selene. La protagonista si avvicina sempre più alla soluzione dell’enigma, si addentra nella sua psiche, ma a un certo punto dell’avventura si trova persino davanti alle menzogne generate dal suo subconscio. Ed è proprio in questo passaggio, mentre si appresta a trovare una (falsa) via di fuga, che lo scenario cambia.
VERSO L’INVERSIONE
Nella Cittadella Fatiscente, terzo bioma e fase finale del primo atto di Returnal, Selene si imbatte in statue non più affrante, ma che volgono il loro sguardo al cielo, quasi a voler indicare la strada da percorrere. Persino le strutture mutano: anch’esse si ergono verso l’alto. Il riscatto di Selene sta per compiersi, ma c’è ancora un’ultima prova da superare. Nemesi, il boss finale, l’attende in cima alla torre più alta della Cittadella.
Uno scontro affascinante. Non il mio preferito in assoluto, ma comunque pieno zeppo di opportunità fotografiche. Nello specifico c’è una fase della battaglia con Nemesi che amo particolarmente, ed è quella che vede Selene affrontare il boss destreggiandosi tra piattaforme volanti, mentre tutto intorno a lei va in scena un inferno di proiettili. Qui gli attacchi di Nemesi si fanno incessanti: il boss non dà tregua, e nemmeno i suoi piccoli – si fa per dire – assistenti che gli volteggiano attorno sparando raggi laser diretti alla povera protagonista. A un certo punto, proprio quando il boss sta per andare definitivamente giù, ecco che un’onda d’urto devastante scaraventa via la povera Selene, per poi assalirla con un uragano di pallottole incandescenti. Questa parte dello scontro offre molte opportunità, come peraltro potete vedere dalle immagini qui di seguito.
Una volta abbattuto Nemesi si passa poi a un nuovo ciclo, questa volta (e anche quelle successive) però si parte da un nuovo bioma: le Rovine Riecheggianti. Da qui inizia un nuovo viaggio di Selene che le permetterà finalmente di addentrarsi nel profondo della sua psiche, e non è un caso che i successivi tre biomi siano sostanzialmente delle versioni alternative del tris precedente. In questo caso ci troviamo in una giungla rigogliosa, forse fin troppo, dove le statue e le strutture sono state ricoperte da piante rampicanti e tutto ha un aspetto fatiscente, per non dire marcio. Proprio grazie alle opportunità offerte dall’ambientazione, in questo livello ho potuto scattare le foto che forse più di tutte riescono a far trasparire l’opprimente senso di angoscia che accompagnerà la protagonista in tutta questa seconda parte del gioco.
Ecco perché ho voluto immortalare una Selene che si guarda alle spalle in mezzo alla giungla, quasi a voler cercare i fantasmi del suo passato. O ancora la sagoma immobile di una Selene di un loop passato immersa in una palude. Non mi sono nemmeno fatto sfuggire l’opportunità di fotografare la sfera che tormenta la donna nei suoi incubi, ora finalmente dinanzi ai suoi occhi (ammesso di avere la fortuna di trovarla durante la partita: è una stanza piuttosto rara). Le statue poi, seppur ancora presenti in gran quantità, iniziano pian piano a lasciare il posto ai cadaveri alieni degli abitanti di Atropo.
E poi, dopo una lunga ed emozionante scalata, c’è lui: Iperione, il boss più bello di Returnal, ma anche quello meno fotogenico. Già perché non riesco mai a tirar fuori uno scatto che mi soddisfi appieno durante questo scontro. Sarà anche perché la battaglia risulta sempre estremamente serrata, pertanto mi viene molto difficile premere il tasto della modalità foto al momento giusto.
Nello Squarcio Abissale, però, si può provare a “giocare” con i nemici e con i loro proiettili laser
Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.