Wadjet Eye Games è un nome importante della scena indie americana, in particolare per gli appassionati di avventure grafiche. Nell’approfondimento di oggi ci concentreremo sui suoi inizi e sul lavoro del suo fondatore Dave Gilbert, autore di numerosi giochi tra cui la serie Blackwell e Unavowed.
Negli ultimi tempi ho avuto modo di giocare un discreto numero di giochi targati Wadjet Eye Games, etichetta americana legata alle avventura grafiche tradizionali che già avevo scoperto circa un decennio fa con l’interessante (e intrigante) Gemini Rue, e di cui ho poi approfondito la conoscenza anche negli anni successivi, scoprendo tante altre opere di qualità e, in alcuni casi, delle vere e proprie perle come per esempio il bellissimo Primordia. Ecco, dicevo di aver ripreso familiarità con le produzioni dello sviluppatore e publisher statunitense e mi è sembrata dunque un’ottima occasione per dedicargli un articolo, in cui riesaminarne la storia e ripercorrere il cammino che l’hanno portato a emergere come uno dei nomi più apprezzati della scena indie e in particolare per i fan delle avventure punta e clicca. Un successo importante perché costruito nel tempo e ottenuto pur partendo da budget piuttosto limitati e dall’iniziativa di una sola persona: Dave Gilbert (evidentemente un cognome di buon auspicio per chi vuole dedicarsi alle avventure grafiche).
C’è molto di cui parlare però, per cui quello che potrete leggere oggi è solo la prima di due parti dedicate a Wadjet Eye, ma invece di seguire un ordine rigorosamente cronologico ho preferito invece separare i due volti della compagine americana e concentrarmi quest’oggi sulla sua opera come sviluppatore di videogiochi, riservando il suo lavoro come scout di altri talenti e publisher per l’approfondimento della prossima settimana. Ma senza perdere altro tempo, iniziamo questo nostro excursus avventuroso!
DAI PRIMI PROGETTI A BLACKWELL LEGACY
I primi passi di Dave Gilbert nel game design precedono di qualche anno la fondazione di Wadjet Eye Games, con alcuni progetti amatoriali realizzati nei primi anni 2000, tra cui compare anche un certo Bestowers of Eternity – Part One, una breve avventura che ci vede nei panni di una giovane donna che scopre di essere una medium e si trova costretta a indagare su alcuni misteriosi eventi accompagnata dal suo aiutante fantasma. Se la descrizione vi ricorda un’altra e più famosa opera targata Wadjet Eye, sappiate che non è un caso perché è proprio da Bestowers of Eternity che sono nati i primi semi di quello che sarebbe diventato poi The Blackwell Legacy.
Dopo un paio di anni e qualche altro progetto amatoriale, Gilbert realizza The Shivah, altra avventura che si distingue però per il suo particolare protagonista: un rabbino di mezz’età con problemi economici e nel pieno di una crisi di fede, che si trova suo malgrado coinvolto nelle indagini di un omicidio quando un ex membro della sua congregazione muore in circostanze misteriose. A parte per alcune scene un po’ “over-the-top” nella seconda metà dell’avventura che possono spezzare un po’ l’immersione, almeno a mio avviso, si tratta comunque di un gioco interessante, oltre che piuttosto unico nel panorama videoludico per via dei temi trattati e per la peculiare prospettiva che ci viene offerta, ed è anche evidente che Gilbert abbia tratto ispirazione dalla sua stessa esperienza (in quanto persona di origini ebraiche) per realizzare il gioco.
Siamo nel 2006 e a questo punto Dave Gilbert decide che vuole dedicarsi ai videogiochi a tempo pieno e trasformare quello che era un piccolo hobby in una vera e propria professione, quindi fonda Wadjet Eye Games come etichetta con cui pubblicare e commercializzare le sue stesse opere: The Shivah diventa così il suo primo gioco a essere messo in vendita, ma pochi mesi dopo è la volta di The Blackwell Legacy, che riprende molte delle idee già toccate in Bestowers of Eternity, di cui può essere considerato fondamentalmente una sorta di remake.
the blackwell legacy è il primo capitolo di quella che poi diventerà una pentalogia
Altro elemento caratteristico dell’opera di Gilbert, che si può rintracciare già in The Shivah e in Blackwell Legacy ma che si ritroverà poi anche nei suoi lavori successivi, è quello di differenziarsi da molte altre avventure grafiche per la qualità e difficoltà degli enigmi da risolvere, che spesso sono infatti meno contorti e astrusi rispetto a quelli visti per esempio in numerose avventure della fu LucasArts, presentando invece problemi le cui soluzioni appaiono spesso più “naturali” e coerenti, senza richiedere mai particolari salti logici. Questo significa anche che i puzzle dei giochi Wadjet Eye possono essere più semplici, e un appassionato di lungo corso delle AG può pure vedere la cosa come un difetto, anche se personalmente non la vedo così ed è anzi un tratto che ho spesso apprezzato nelle produzioni dello studio.
Un altro elemento comune a molte opere di Gilbert, che di nuovo posso dire di aver particolarmente apprezzato, è la presenza di un commentario dello sviluppatore che può essere attivato in qualunque momento dal menù principale e che ci accompagna poi per tutta l’avventura, facendoci avere il pensiero dell’autore a proposito dei momenti salienti delle sue avventure o permettendo di scoprire nuovi e interessanti dettagli o curiosità. Chiaramente si tratta di un’opzione che sarebbe meglio attivare solo dopo aver già terminato il gioco almeno una volta, perché altrimenti c’è la certezza di incorrere in spoiler anche belli grossi, ma è un bel modo di rivivere l’avventura e imparare di più su di essa, sul suo autore e sui ragionamenti dietro a determinati passaggi.
UN PAESE DI OZ RIVISITATO IN CHIAVE NOIR
Nemmeno un anno dopo l’uscita di The Blackwell Legacy, Wadjet Eye si ripresenta sul mercato con un nuovo capitolo della serie, che questa volta non prosegue le avventure di Rosangela Blackwell ma è invece un prequel con protagonista sua zia Lauren (e Joey, che dopo tutto era presente anche allora), ambientato circa trent’anni prima di Legacy. Nonostante la nuova protagonista abbia un carattere decisamente diverso da quello della nipote, e diversa è pure la sua relazione con Joey e col lavoro da medium che deve svolgere, lo schema di gioco rimane sostanzialmente invariato e ci vede come al solito a cercare di risolvere i problemi di spiriti tormentati e a indagare su un più ampio mistero che emerge nel corso della vicenda. Una novità importante è però la possibilità, per la prima volta nella serie (ma diventerà un punto fisso nei successivi), di controllare direttamente Joey e utilizzarlo per risolvere gli enigmi o sbloccare interazioni particolari con gli altri personaggi.
Prima di tornare alla sua serie più apprezzata e conosciuta, Gilbert si prende una piccolissima pausa dai Blackwell per lavorare su un’avventura grafica dall’ambientazione diversa dal solito: Emerald City Confidentials si svolge infatti nel mondo del mago di Oz, rivisitato come una sorta di noir investigativo degli anni ‘40 influenzato profondamente dallo stile di Raymond Chandler e quindi molto diverso da come lo ricordavamo nei libri di L. Frank Baum o nei suoi numerosi adattamenti cinematografici.
Lo stesso anno Wadjet Eye si ripresenta sul mercato anche con The Blackwell Convergence, che ci riporta nel presente ridando il ruolo di protagonista a Rosangela Blackwell, che è adesso un po’ più esperta nel suo lavoro di sensitiva, avendo passato gli ultimi mesi a risolvere casi in coppia col suo partner fantasma. Per quanto riguarda il gameplay non ci sono stravolgimenti, ma si inizia a notare una maturazione nello stile di scrittura di Gilbert, che inizia infatti a farsi un po’ più stratificata e complessa, mentre anche il design degli enigmi e di altri elementi di gioco si fa più fine e sottile.
Lo stesso vale per i due seguiti, a partire da The Blackwell Deception nel 2011, che completano questo processo e adottano pure un tono più cupo rispetto ai predecessori, per quanto questo non significhi che l’umorismo visto e apprezzato nei capitoli precedenti sia del tutto assente, ma anzi rimane comunque un elemento che ci accompagna nel corso delle avventure, senza risultare mai fuori luogo. Nel 2014 è invece la volta di The Blackwell Epiphany, che compensa la maggiore lunghezza del suo ciclo di sviluppo con una maggiore quantità di contenuti e una durata quasi raddoppiata rispetto a molti dei predecessori.
Si tratta probabilmente del capitolo più ambizioso della serie, sia per quanto riguarda il gameplay (che comunque non stravolge quanto visto in precedenza), sia per l’impostazione leggermente più aperta, sia soprattutto a livello narrativo, dove Epiphany si prefigge di dare una conclusione soddisfacente non solo alla saga ma pure alle varie sotto-trame sviluppatesi nel corso dei vari episodi. Certo, alcune delle soluzioni ideate da Gilbert sono più convincenti di altre, ma nel complesso si tratta di un buonissimo capitolo d’addio per Rosa e Joey, che chiude abilmente su un percorso durato quasi dieci anni.
IL SUCCESSO DI UNAVOWED E I PROGETTI FUTURI
Terminati i lavori su Blackwell, per Dave Gilbert e la sua Wadjet Eye è tempo di passare a nuovi orizzonti. Dopo qualche anno in cui lo studio si concentra soprattutto sul suo ruolo di publisher, l’autore americano fa il suo atteso ritorno con Unavowed, nuova avventura punta e clicca che però non ha paura di cambiare un po’ le cose rispetto a quanto si era visto nei precedenti lavori della software house. Una costante rimane sempre, in ogni caso, ed è la città di New York, che anche questa volta fa da sfondo all’avventura, esattamente come avveniva in ogni Blackwell e in The Shivah, anche se questa volta ci troviamo a esplorare una metropoli radicalmente diversa da quella che siamo abituati a conoscere: siamo infatti in una New York intrisa di magia e dove i demoni camminano liberi.
UNAVOWED CI PORTA IN UNA NEW YORK DIVERSA DA QUELLA CHE SIAMO ABITUATI A CONOSCERE, INTRISA DI MAGIA E DOVE I DEMONI CAMMINANO LIBERI
Forse un po’ a sorpresa, o magari proprio per tutte queste innovazioni, oppure ancora per il riuscitissimo stile grafico che accompagna l’opera e che gode di una risoluzione decisamente più elevata rispetto ai passati lavori della software house, Unavowed si rivela un grande successo per Wadjet Eye, ottenendo non solo il plauso della critica che l’ha indicato come uno dei giochi migliori del 2018 ma riuscendo anche a stabilire nuovi record di vendita per lo studio.
Le aspettative verso la prossima opera di Dave Gilbert sono quindi piuttosto elevate, anche se i fan si sono dovuti munire di un po’ di pazienza. Il suo progetto successivo, Old Skies, ci vedrà alle prese con i viaggi nel tempo, visitando New York in tante diverse epoche nei panni dell’agente speciale Fia Quinn, che dovrà impedire ad altri viaggiatori temporali di cambiare in modo irreparabile la storia passata e quindi il futuro. Old Skies era inizialmente previsto per il 2022 ma lo scorso anno si è chiuso senza che la nuova avventura di Wadjet Eye facesse il suo debutto nel mercato e attualmente, su Steam, al posto di una data d’uscita precisa abbiamo un messaggio che recita semplicemente “in arrivo”, che sembrerebbe suggerire quanto meno l’intenzione della software house di pubblicare il gioco in tempi abbastanza rapidi. In ogni caso, vista la qualità dei passati lavori del team, credo sia il caso di concedere loro tutto il tempo di cui hanno bisogno.
Ma sul lavoro di Dave Gilbert come sviluppatore non c’è altro da dire, almeno fino a che non potremo infine mettere le mani su Old Skies, e termina dunque qui questo nostro primo approfondimento sulla storia di Wadjet Eye Games. L’appuntamento è alla prossima settimana per concentrarci invece su tutti gli altri autori che hanno collaborato con l’etichetta americana nel corso degli anni.
Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.