Prima volta ad Arkham: la City spalanca le sue porte

Mentre Suicide Squad si avvicina sempre di più (portandosi dietro più dubbi che certezze) continuiamo il viaggio nella trilogia che ha reso Rocksteady uno dei punti fermi dell’industria. Oggi è il turno del capitolo in assoluto più amato dai fan e lodato dalla critica: Arkham City. Ci saranno degli spoiler, ma cercherò di non scendere troppo nel dettaglio.

Batman Arkham City

Eravamo rimasti ad Arkham Asylum è alla sua natura di gioco compatto e armonioso, uno di quei rari prodotti dove il risultato finale è più della somma delle sue componenti. Aver raggiunto un simile risultato già al primo tentativo rappresentava per Rocksteady una sfida non da poco: come migliorare la loro creazione senza stravolgere quel fragile equilibrio? Lo sviluppatore britannico ha risposto a questa domanda in parte andando sul sicuro e in parte ripensando profondamente la struttura di base.

IL PIPISTRELLO, IL DOTTORE, IL PAZZO

Nel precedente articolo mi sono concentrato più sui presupposti dell’Arkhamverse che sulla trama di Asylum, poiché questa era tutto sommato poco più di un pretesto. In questo caso vorrei soffermarmi di più su questo aspetto, perché Arkham City cerca di imbastire una narrazione più articolata, con più personaggi e più linee narrative.

Arkham City cerca di imbastire una narrazione più articolata, con più personaggi e più linee narrative

Il presupposto della vicenda non è molto diverso da quello del predecessore, anzi forse è pure più assurdo: Quincy Sharp, ex direttore di Arkham, è diventato sindaco di Gotham e ha avuto la grandissima idea di trasformare la parte vecchia della città in una prigione a cielo aperto dove mettere i detenuti del manicomio e della prigione di Blackgate. Il progetto è talmente discutibile che vediamo Bruce Wayne in prima linea al posto del suo alter ego, intenzionato ad avviare una campagna in favore della chiusura della struttura. Chiaramente le cose non vanno come previsto e ben presto Batman si trova rinchiuso nella città-prigione gestita dallo psichiatra Hugo Strange, che minaccia di rivelare l’identità dell’Uomo Pipistrello nel caso in cui questi decida di opporsi ai suoi piani.

Batman Arkham City

Da qui in poi la narrazione si sviluppa su due binari diversi che molto raramente si intrecciano; da una parte ci sono Strange e il misterioso Protocollo 10 e dall’altra Joker e la malattia letale che l’ha colpito in seguito agli eventi di Arkham Asylum. Già il fatto che i due tronconi siano così sconnessi non lascia presagire niente di buono, ma la cosa peggiore è che nessuno dei due funziona particolarmente bene anche preso singolarmente. Le rivelazioni sulla natura del protocollo e sulla mente che sta realmente dietro ad Arkham City sono quanto di più telefonato si possa pensare e l’aspetto potenzialmente più interessante, cioè Strange che conosce l’identità di Batman, è totalmente irrilevante ai fini della trama, viene citato all’inizio della storia e poi completamente dimenticato.

da una parte ci sono Strange e il misterioso Protocollo 10 e dall’altra Joker e la malattia letale che l’ha colpito

In generale quello che dovrebbe essere il cattivo principale è pressoché assente, se non in qualche comunicazione radio qui e lì. La storyline di Joker invece si riduce a una lunga e contorta caccia al MacGuffin, piena di passaggi intermedi che hanno il solo e unico scopo di aumentare artificiosamente la durata del gioco. Faccio un esempio banale ma indicativo: i disturbatori che ci impediscono di raggiungere il Pinguino nel museo. Fortunatamente non tutto è da buttare: il colpo di scena verso la fine è un po’ fine a sé stesso ma ben architettato, il dilemma etico che il Cavaliere Oscuro si ritrova ad affrontare è affascinante e la scena conclusiva riesce nonostante tutto a essere toccante.

GOTHAM IN MINIATURA

Il passaggio dalla struttura lineare di Arkham Asylum a quella più aperta di Arkham City è ovviamente il cambiamento che salta più all’occhio passando da un capitolo all’altro. L’open world del secondo episodio è però per certi versi differente da quello a cui ci siamo abituati negli ultimi anni. La mappa a un primo sguardo sembra piuttosto piccola anche se rapportata a quella dei giochi contemporanei (GTA IV nel 2011 era già “vecchio”), ma bisogna ricordare che in realtà una parte importante del gioco si svolge all’interno degli edifici di cui la città-prigione è costellata, che al loro interno ricordano molto di più la progressione dell’originale – con tanto di nuove aree accessibili dopo lo sblocco di determinati gadget. Se i due giochi condividono una generale prevalenza di toni scuri (stiamo parlando Batman del resto), lo stile architettonico è parecchio diverso: il manicomio era un’ambientazione gotica, quasi orrorifica, mentre Arkham City è una zona cittadina abbastanza classica nel suo essere totalmente lasciata a sé stessa, piena di ruderi e sporcizia, oltre che in parte allagata – e chissà che quest’ultimo aspetto non abbia in parte ispirato The Batman.

Old Gotham diventa ben presto un’ambientazione familiare in tutti i suoi anfratti

Classica però non vuol dire generica. È vero che City offre un’ambientazione meno originale e d’atmosfera, ma la mappa è comunque molto ben strutturata e ricca di piccoli easter egg e tocchi di classe sparsi un po’ dovunque, come il celeberrimo Crime Alley o la maschera dello Spaventapasseri abbandonata su un ponte. La ridotta superficie della zona esplorabile e una storia caratterizzata da un continuo andirivieni permettono di imparare bene la disposizione delle strutture, e dopo qualche ora è naturale iniziare a orientarsi a occhio, senza bisogno di una mappa o di un indicatore – quest’ultimo comunque molto ben pensato. Old Gotham diventa ben presto un’ambientazione familiare in tutti i suoi anfratti, dalla minacciosa Wonder Tower all’acciaieria, passando per la chiesa, il GCPD e il già citato museo. Si tratta di un modello da cui purtroppo ci siamo sempre di più allontanati, preferendo alla personalità i chilometri di suolo percorribile. Se tra dieci anni mi venisse di nuovo voglia di vestire i panni del Cavaliere Oscuro mi sembrerebbe di essere tornato a casa, mentre se riavviassi [inserire open world di attuale generazione] probabilmente no.

Per tanti anni ci sono stati accesi dibattiti sulla Batmobile di Arkham Knight, ma ho sempre sentito parlare molto poco del sistema di movimento di Batman. In Arkham City come ben sapete il fidato mezzo del Cavaliere Oscuro non c’è, ma vengono poste le basi del sistema di volo che poi troverà piena realizzazione in Knight. Il capostipite vedeva una netta prevalenza di ambienti angusti, e anche quelli più aperti non offrivano enormi possibilità di sviluppo verticale, così il rampino finiva per diventare un gadget come gli altri. L’ambientazione aperta del secondo capitolo lo trasforma in uno strumento fondamentale, dato che fin dal primo istante siamo spronati a usarlo congiuntamente al mantello per muoverci tra gli edifici, alternando rapide salite, planate e picchiate. A rendere il tutto ancora più interessante c’è il potenziamento che permette di guadagnare più velocità mentre il cavo si riavvolge e di prendere letteralmente il volo, spostandosi in lungo e in largo senza toccare terra; non si diventa dei veri e propri missili come in Arkham Knight, ma non se ne sente il bisogno. Se tutto questo vi suona vagamente familiare è perché questo sistema è stato chiaramente una delle fonti di ispirazione di Marvel’s Spider-Man, gioco che come ben sappiamo deve davvero tanto alla saga di Rocksteady.

I CONTENUTI SECONDARI SONO UNO DEGLI ASPETTI PIÙ DEBOLI DI ARKHAM ASYLUM

Ogni open world che si rispetti ha bisogno di contenuti secondari, ma devo ammettere che questi non sono esattamente il punto forte di Arkham City. Tornano ovviamente le sfide dell’Enigmista, ma il buon bilanciamento di Asylum va un po’ in malora: saranno anche più varie, ma il loro numero è davvero eccessivo e molte sono nascoste fin troppo bene, per cui la loro ricerca finisce per essere più un esercizio di pazienza che di abilità. La cosa peggiore è che questi collezionabili sono necessari per avere accesso alle camere dove si salvano gli ostaggi, che contengono degli enigmi molto ben pensati. Per il resto non mancano una generica sequela di contenuti ripetitivi (tipo le aggressioni ai prigionieri politici e le prove a tempo di Zsasz), qualche indagine a base di modalità detective non particolarmente brillante e gli immancabili oggetti da recuperare. Insomma è il solito minestrone di roba che veniva a noia dieci anni fa e lo fa ancora di più oggi. Fortunatamente la quantità totale di questi contenuti resta ben lontana da quella dei giochi odierni, per cui si riesce a tollerarli. Voglio comunque dare a Cesare quel che è di Cesare: il breve incontro col Cappellaio Matto alla fine è solo un combattimento, ma esteticamente è da stropicciarsi gli occhi, mentre sono rimasto sorpreso della missione dedicata a un Bane finalmente dotato di intelletto, durante la quale ci troviamo a sorpresa a combattere al suo fianco.

CONCHIGLIA OBBLIGATORIA

Batman non sarebbe Batman se non potesse colpire all’improvviso qualche brutto ceffo sbucando dall’oscurità o picchiarlo con una delle sue tecniche non letali ma senza dubbio dolorosissime – le parti basse sono uno dei suoi bersagli preferiti a quanto pare. Arkham City non reinventa la ruota in questi due ambiti, ma amplia e raffina i concetti già visti in precedenza. Il combattimento resta sempre basato sul ritmo e sull’alternanza tra attacco, contrattacco, schivata e stordimento, ma vengono aggiunte nuove mosse che lo rendono ancora più fluido e permettono di concatenare delle combo sempre più lunghe. Rispetto ad Asylum aumenta il numero e l’importanza delle mosse speciali, principale strumento di gestione della folla. Raggiungere un livello del moltiplicatore tale da attivare le mosse speciali è fondamentale, e in questo vengono in aiuto due potenziamenti che consiglio di sbloccare subito: il primo riduce il numero di colpi necessari da otto a cinque, il secondo introduce i colpi critici.

IL COMBATTIMENTO RESTA BASATO SUL RITMO, CON NUOVE MOSSE CHE LO RENDONO ANCORA PIÙ FLUIDO

Per ottenere un colpo critico è necessario mandare a segno un colpo subito dopo il precedente senza spezzare il ritmo; questo ne aumenta il danno e fa salire di due il moltiplicatore. Ad aumentare la varietà contribuisce anche l’utilizzo rapido di tutti i gadget durante gli scontri, che Arkham Asylum era molto limitato e marginale. La necessità di usare in maniera intelligente i gadget e gli attacchi speciali, per esempio buttando a terra quanti più avversari possibili e poi ricorrendo all’attacco multiplo coi batarang, e la presenza del colpo critico smentiscono l’idea che la serie sia basata solo ed esclusivamente sul banale button mashing; non si raggiungono mai livelli estremi di complessità, ma se si vuole alzare la difficoltà bisogna padroneggiare al meglio tutte le tecniche.

Batman Arkham City

In ambito stealth le cose sono cambiate ancora meno a livello strutturale, ma agire di soppiatto dà molte più soddisfazioni per via della maggiore varietà di avversari (particolarmente fastidiosi quelli che bloccano la modalità detective) e soprattutto di un level design che fa un netto salto in avanti, andando oltre gli stanzoni quadrati coronati da gargoyle predominanti in Arkham Asylum. Il picco si raggiunge durante l’incontro finale con Hugo Strange in cima alla Wonder Tower. L’obiettivo è quello di eliminare le numerose guardie armate presenti, ma a questo giro i gargoyle sono all’esterno e non all’interno dell’edificio, per cui non è possibile abusarne e bisogna sfruttare al meglio il design della stanza e le varie tattiche imparate nel corso del gioco.

Il picco si raggiunge durante l’incontro finale con Hugo Strange in cima alla Wonder Tower

Corpo a corpo e stealth trovano in Arkham City un maggiore livello di integrazione rispetto al passato, ad esempio viene data la possibilità di disarmare abbastanza facilmente i nemici o addirittura di distruggere le loro armi per evitare che vengano raccolte da altri. Da non sottovalutare il ruolo delle bombe fumogene, utilissime sia per fuggire rapidamente da una situazione pericolosa sia per creare confusione e facilitare i nostri attacchi. La strada intrapresa da Rocksteady è quella di dare una sempre maggiore libertà di approccio al giocatore, quasi che stesse giocando a Dishonored; chiaramente il paragone è per tante ragioni coraggioso, ma spero di aver reso l’idea.

LET’S KICK SOME ICE

Citare l’approccio silenzioso mi dà il gancio perfetto per parlare di boss fight, dato che la boss fight migliore del gioco e dell’intera trilogia ruota proprio intorno allo stealth. Arkham Asylum aveva qualche ottima idea (Killer Croc, lo Spaventapasseri) e qualche brutta caduta di stile (sto parlando di te, Joker mostruoso), invece City non sbaglia praticamente nulla a riguardo… escludendo la boss fight secondaria contro Deadshot, di cui avrei fatto volentieri a meno. Il combattimento contro Mr. Freeze viene giustamente citato come esempio di boss fight fatta bene. La sua efficacia deriva in primo luogo dal gameplay, ma non sottovaluterei la componente narrativa: Freeze è uno dei pochi avversari di Batman con un minimo di caratterizzazione che vada oltre il suo essere cattivo, è un personaggio tormentato che fa quello che fa perché vuole a tutti i costi salvare l’amata moglie, non per il gusto di generare caos e distruzione come un Joker qualsiasi. Sono lontane le battute sopra le righe di una certa versione cinematografica.

LO SCONTRO CON FREEZE CI CHIEDE DI PUNTARE TUTTO SULLO STEALTH, E DI USARE CREATIVITÀ NELL’APPROCCIO

Il punto focale dello scontro è l’impossibilità di affrontare direttamente Freeze, che va quindi messo ko sfruttando una serie di takedown stealth. Niente spam ripetuto dello stesso attacco però, perché Victor Fries è capace di adattarsi alle mosse dell’Uomo Pipistrello, obbligandolo così a dare fondo a tutte le sue abilità. Notevole il fatto che il numero di attacchi necessari vari in base al livello di difficoltà (si parte dai tre fino ad arrivare a nove), per cui il combattimento riesce a dare soddisfazioni al giocatore più navigato senza per forza frustrare il novizio. È una di quelle situazioni in cui per andare avanti bisogna usare il cervello e conoscere un minimo il gameplay, quasi si trattasse di un enigma da risolvere. Vorrei poter dire che questa concezione di boss fight ha fatto scuola, ma in realtà risulta fresca (!!!) e originale ancora oggi; siamo ancora lontanissimi dal lasciarci alle spalle le barre della vita infinite e i punti vulnerabili evidenziati da colori accesi. Molto più orientato all’azione tradizionale è il confronto con Ra’s al Ghul, che però compensa con la ricercatezza estetica, ponendosi alla fine di una sezione nettamente in continuità con le fasi oniriche dello Spaventapasseri di Arkham Asylum. Il Ra’s gigante che ci lancia contro shuriken e spade è indimenticabile, così come i continui salti tra realtà e allucinazione. Anche la boss fight finale contro Clayface fa il suo: non tanto per la meccanica di base, abbastanza semplicistica e facilmente leggibile, quanto per il fatto che a un certo punto Batman inizia a combattere usando una spada!

COMPAGNI DI VIAGGIO

Prima di concludere non posso fare a meno di spendere qualche parola sui DLC maggiori. Il fatto è che fungono da complemento della storia, per cui è complicato ignorarli. In realtà nessuno dei due brilla a livello di contenuti, ma l’introduzione di due nuovi personaggi giocabili permettere di riproporre il gameplay del gioco base con qualche sfumatura diversa. La storia di Catwoman si svolge parallelamente a quella principale e si ricongiunge ad essa in un modo che definire forzato è un eufemismo.

non posso fare a meno di spendere qualche parola sui DLC maggiori: fungono da complemento della storia, per cui è complicato ignorarli

Mi sarei aspettato maggiori interazioni tra Selina e Batman, non dico che bisognasse trasformarla nella coprotagonista (sempre di DLC si parla), ma potevano almeno farli collaborare un minimo. Catwoman ha quanto meno un set di animazioni nuovo che ne sottolinea la maggiore agilità, ma di base si usa nello stesso modo in cui si usa il Cavaliere Oscuro, con tanto di equivalente della modalità detective. La principale differenza è che non ha a disposizione il rampino, per cui quando scala gli edifici utilizza gli artigli in una sorta di minigioco che richiede di premere un apposito tasto a ritmo costante per non perdere velocità. Per gli amanti dei collezionabili vengono anche aggiunti nuovi trofei dell’Enigmista, ma se già ho trovato noioso setacciare ogni zona con Batman figuriamoci se prendo in considerazione l’idea di fare la stessa cosa con un altro personaggio.
Batman Arkham City

La Vendetta di Harley Quinn funge invece da epilogo della vicenda e in un certo senso anticipa il tono di quanto vedremo in Arkham Knight, proponendoci un Uomo Pipistrello sofferente e scostante (più del solito), devastato dagli eventi del gioco base. Narrativamente questo contenuto aggiuntivo prova fare qualcosa di nuovo, introducendo una struttura a base di flashback e un’alternanza tra Batman e Robin, la cui presenza era poco più di un cameo nella campagna principale. Il protetto di Bruce Wayne, qui nella sua terza iterazione (Tim Drake), ha come caratteristica principale quella di non combattere a mani nude ma imbracciando un bastone telescopico (capace di trasformarsi all’occorrenza in uno scudo) e utilizza uno stile intermedio tra la pesantezza del suo mentore e le capriole continue di Catwoman. Non è qualcosa di totalmente nuovo, ma non parliamo neanche un reskin bello e buono. L’altra novità abbastanza grossa è un combattimento finale dove a sorpresa sparisce l’indicatore di attacco dei nemici, con la conseguente necessità di leggere le animazioni degli avversari per poter reagire efficacemente. Un twist affascinante, ma va bene che sia limitato a quel momento preciso: modificare la meccanica nel resto del gioco vorrebbe dire rischiare di danneggiarne il bilanciamento.

La Vendetta di Harley Quinn anticipa il tono di quanto vedremo in Arkham Knight, proponendoci un Uomo Pipistrello sofferente e scostante

Tirando le somme, con Arkham City, Rocksteady ha voluto alzare il tiro su quasi tutta la linea con risultati alterni. La trama alza effettivamente la posta in gioco, ma lo fa spesso in maniera confusionaria e scontata. Il gameplay di base è più raffinato e divertente di quello del precedente episodio, ma l’introduzione della componente open world, mettendo da parte il sistema di planata, è servita più ad aumentare il minutaggio che ad arricchire realmente il gioco. Non si può negare che il prodotto sia più adatto al grande pubblico e concettualmente più moderno (addirittura imbattuto in certi ambiti), ma forse si è persa un po’ di quella magia che aveva reso Arkham Asylum così indimenticabile.


Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.

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