Etica, morale e videogiochi – Speciale

In più di un’occasione mi sono soffermato a pensare quanto capiti spesso di crescere assieme ai nostri medium. Libri che da giovanissimo trovavo appassionanti, oggi sono semplici operazioni letterarie da target mirato, che non suscitano più certe emozioni, e credo sia giusto così. Vuoi un po’ a causa del classico trabocchetto dei falsi ricordi, o vuoi anche che ho letto – pentendomene assai – solo da adulto libri quali Moby Dick, la percezione che ho avuto di queste e altre opere è sempre mutata nel tempo.

ETICA AD PERSONAM

Film e videogiochi non sono da meno, un po’ come quando il web reclama a gran voce un remake di Dino Crisis (ve ne avevo già parlato, ricordate?), con in testa un ricordo purtroppo datato di un gioco dalle atmosfere ottime eppure terribilmente difficile da riconvertire in una fresca novità oggi. Ma a crescere – e mutare- con noi è anche la nostra etica e morale verso il mondo che viviamo e respiriamo quotidianamente. Subendo ogni tipo di input dall’esterno, crescendo cominciamo a maturare una nostra etica e l’idealizzare il nostro “mondo migliore” ci porta a comportarci in un determinato modo; per esempio, siamo tutti d’accordo che arrecare danno fisico a un altro essere umano sia sbagliato, eticamente e moralmente errato e il sistema in cui viviamo ci multa per le nostre azioni sbagliate. Perfetto, ma vi è mai capitato di trovarvi nella situazione di ritenere eticamente sbagliato sparare a un ammasso di pixel su schermo, facendo pressione su dei tasti su un pad o una tastiera?

uncharted 4 fine di un ladro provato anteprima ps4

In origine c’è stato Uncharted, franchise che ho recuperato tardivamente, soltanto verso gli inizi del 2016. Non saprei dirvi il motivo che mi ha impedito di recuperare prima i tre giochi, ricordo che rimasi talmente galvanizzato dalla promozione di Uncharted 4 da voler recuperare il tutto in tempi brevi e così feci. Comincio a giocare al primo Uncharted, l’assalto sulla barca da parte dei pirati e mi sento fortemente a disagio nel dover indossare i panni di un ricercatore di tesori che uccide altre persone così, come se niente fosse.

vi è mai capitato di trovarvi nella situazione di ritenere eticamente sbagliato sparare a un ammasso di pixel su schermo?

Devono passare diverse ore prima di entrare in empatia con questa situazione particolare di “sopravvivenza”. Probabilmente parte della mia reazione è data anche dall’inevitabile introduzione al gioco. Un esempio classico è The Last of Us: la percezione del pericolo, del vivi o muori, di come eticamente metà dei personaggi non meriti di vivere ed è quasi opprimente, facendoti respirare la sensazione di putrido e marcio che ti si attacca sin dentro le ossa fino a farti dire “ok, è giusto così, non devo farmi problemi”.

The Last of Us serie tv

Eppure quelle prime ore a Uncharted mi hanno destabilizzato, quasi infastidito. E pensare che fino a poco prima ero lì a falciare Stormtrooper su Battlefront senza farmi problemi, però quelli effettivamente erano dei semplici cloni, l’Impero ne avrebbe potuti sfornare centinaia in men che non si dica. In qualche modo quella diretta azione nascondeva sotto una giustificazione, allo stesso modo in cui in Marvel’s Avengers i principali nemici sono ragni robot o automi vari o come nella saga degli Arkham, Batman stordisce, non uccide.

LA MATURAZIONE POST COLOSSUS

In qualche modo la percezione delle nostre azioni passa anche da quello che ci viene chiesto di fare. Un The Division qualunque ti dice “vai lì, stermina tutti i rivoltosi e vinci il drop” e il nostro avatar esegue. Senza battere ciglio, senza opporre resistenza o mostrare segni di cedimento davanti all’ordine di uccidere decine e decine di uomini e donne che sì, sono cattivi, massacrano poveri civili e tutto il resto del background in loro possesso, ma staccarsi un momento da ciò e riflettere riesce a fare emergere qualche pensiero in più (di quelli giusti, sufficienti a scrivere un pezzo).

in qualche modo la percezione delle nostre azioni passa anche da quello che ci viene chiesto di fare

Se non vi basta, mi sono addirittura chiesto cosa possa provare un animalista convinto nel giocare titoli quali Monster Hunter World e affini. Quelle bestie, per quanto feroci, a noi non hanno fatto assolutamente nulla di nulla. La diretta uccisione ci regala il completamento di alcune missioni e addirittura la possibilità (anzi, necessità) di depredare la preda così da potenziare le nostre armi e armature, essere equipaggiati meglio per annientare altre e più grosse creature. Voli pindarici inutili e pretenziosi? Molto probabilmente, eppure non riesco a togliermi dalla mente che, da giovanissimo, giocando a un Tunnel B1, mai mi sono fermato a pensare che stavo eliminando le ultime truppe di un ignoto nemico, ma tant’è.

shadow of the colossus

Per chiudere questa piccola analisi voglio citare l’eterno Shadow of the Colossus, giacché in qualche modo risponde in modo (in)diretto a quanto detto fino a ora. In tal senso, il videogioco non può più essere preso come un mero strumento per “staccare la spina” o per sparare a qualche alieno a caso. Il medium si è evoluto e con lui anche chi ne fruisce. Mai come in questo caso veniamo gettati in un mondo per poi eseguire comandi di voci eteree, uccidere qualcosa perché ci viene chiesto, e non poter smettere di farlo.

Il medium si è evoluto e con lui anche chi ne fruisce

Quella è parte dell’esperienza di quel titolo che sembra riassumere il senso evolutivo dello stesso medium, riuscendo a incanalare in un videogioco una meraviglia senza tempo. Allora sì, penso che post Shadow of the Colossus io stesso sia maturato in un modo che mai avrei immaginato, chiedendo(mi) se sia giusto che un ca**one allucinante come Nathan Drake si metta lì ad uccidere gente in mezzo al mare.

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