Death Stranding 2 On the Beach 07

Death Stranding

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Il valore del sacrificio in Death Stranding - Speciale

Un altro speciale su Death Stranding a distanza di appena un mese scritto dalla stessa penna? Ebbene sì, perché penso che dal momento della sua uscita, non mi sia mai davvero allontanato dall’ultima opera di Hideo Kojima. Parlo di Opera e non di Videogioco, magari dando fastidio a qualcuno per l’affermazione, ma quando un’esperienza travalica paletti e confini arrivando a toccare specifiche corde, non riesco a nascondere la mano colpita dalla pelle d’oca e devo mostrarla.

C’è questa cosa qui che regala una nobile origine a tutto il resto delle parole: Death Stranding è uscito pochi mesi dopo la morte di mio padre, periodo in cui ho brancolato nel buio, pur andando avanti, muovendomi proprio come Sam, piano, a fatica, con carichi pesanti sulle spalle. Ma il senso di sopravvivenza ci dice che è un sacrificio necessario, con la speranza che poi, superata la collina o arrivati al luogo di consegna, avremo il tempo per fermarci e riposare, magari osservando il paesaggio o il percorso appena concluso da un’altra prospettiva.

Death Stranding Director's Cut Recensione

a pensarci bene, death stranding è un gioco che rende giustizia al senso stesso del sacrificio di sam

Poco dopo l’uscita di Death Stranding scrivevo questa cosa qui, dove in chiusura “ringraziavo” tutti quegli utenti che, grazie al multiplayer asincrono, mi avevano indirettamente dato supporto in una particolare missione. Voglio riprendere questo punto, spogliando il gioco di tutte quelle meccaniche di arricchimento, per giungere a quella essenziale: un uomo, che cammina in un mondo post-apocalittico sempre troppo simile alle wasteland di Mad Max, che attua un vero e proprio sacrificio fisico per connettere gli ultimi avamposti degli esseri viventi. Per fare questo Sam esegue compiti semplici: ha un lavoro, un itinerario diretto, andare da A a B, evitando pericoli, salvando il carico giacché quello è il fulcro della missione. Sam è il mulo sacrificale, può perire e tornare in vita, ma il carico è essenziale. Dunque eccoci spogliati di tutto, attrezzatura, vestiti, a chiuderci nel nostro sepolcro, riposare e ripartire solo quando siamo effettivamente pronti.

Una vita sacrificata per le UCA, verso cui i nostri sentimenti sono tutt’altro che amorevoli, ma dobbiamo farlo, è il nostro lavoro e come tale deve essere portato a termine.

Death Stranding Director's Cut Recensione

Eppure, in questo incarico dal sapore messianico, c’è un tale senso del dovere che il sacrificio diventa, paradossalmente, un relax. Non entro nel dettaglio per cui, effettivamente, giocare a Death Stranding ha alleviato la perdita di mio padre (ed è incredibile come lo stesso gioco parli di lutto, di rapporti mancati tra padre e figlio), eppure avevo trovato un rito e un relativo ritmo del tutto personale in poche semplici mosse. In alcune delle fasi avanzate del gioco, nonostante potessi attingere ad una serie di potenziamenti e aiuti per il trasporto, spesso spogliavo Sam di tutto, per affrontare una consegna come semplice passeggiata. Niente supporti, armi o moto, solo un mondo desolato, una consegna e una lunghissima distanza da percorrere, con il sudore che si appiccica sulla pelle e i piedi sanguinanti. Un sacrificio, giacché la consegna risulterà delle più difficili senza aiuti, eppure capace di rimettermi in sintonia con ciò che ho attorno a me.

l’applicazione del semplicistico senso del dovere nella preparazione delle missioni, ricorda i nostri effettivi impegni lavorativi quotidiani. da qualunque lato lo si vedi, Death Stranding regala sempre delle parabole uniche

Ho sempre pensato che queste sensazioni non potessero essere vane o dettate dal caso, bensì fossero connesse a una ricerca specifica, a un sentimento ed emozione che emerge proprio dalle piccole azioni. C’è qualcosa di estremamente romantico nel gesto del sacrificio. Che passi dalle spalle di un Batman a caso o di una persona comune, Sam è una via di mezzo; tutto ciò che è stato costruito attorno al gioco non fa altro che amplificare questo senso che permea tutta l’opera. Che gioco incredibile, per non dire generazionale, Death Stranding. Ancor di più, è magnifico il modo in cui l’opera riesce a parlare molteplici lingue, arrivando a ognuno di noi, riuscendo a ispirare parabole e punti di vista applicabili tanto nel gioco quanto nella vita reale.

Considerato tutto questo, c’è un certo senso di paura in vista del secondo capitolo, il timore che queste sensazioni possano perdersi. Eppure, mai come in questa occasione, l’intimità di Death Stranding può ritrovarsi dentro ognuno di noi e ogni volta che prendo il pad e faccio partire una consegna, torna quel senso del sacrificio, del dovere che, paradossalmente, mi rimette al mondo, perché come nei migliori assalti di Destiny, alla fine di tutta quell’azione, c’è una ricompensa ad aspettarti e, spesso, te la ritrovi riflessa negli occhi. Non tanto nelle mani, dunque, e il dolore del lutto (questo elemento torna sempre) si affievolisce nel tempo, mentre tiri un respiro, riempi i polmoni di aria e sai di star bene.

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