Killing Time: Resurrected – Recensione

PC PS5 Switch Xbox Series X

Pubblicato originariamente nel 1995, Nightdive Studios e Ziggurat portano alla ribalta il titolo del fu Studio 3DO, il vivacissimo Killing Time: Resurrected, che al tempo faceva il coro a DOOM e tentava la sua strada nel fitto panorama monopolizzato dal capolavoro di John Romero.

Sviluppatore / Publisher: Nightdive Studios / Ziggurat Prezzo: 19,99 euro Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 18 Disponibile su: Xbox Series X|S, PlayStation 5, PC (Steam) Data d’uscita: Già disponibile

Tanto ormai ci conosciamo e non c’è neppure bisogno di ribadirlo: nel 1995 ero appena nato; dunque, non ho vissuto in diretta eventi travolgenti e unici del mercato dei videogiochi e molte delle produzioni analoghe a Killing Time le ho recuperate successivamente. Tuttavia, a casa c’era chi non faceva altro che sminuzzare demoni e usare uno sparachiodi, come peraltro ha dimostrato la recensione di QUAKE II – Enhanced Edition, opera che si sarebbe meritata un 10 al volo e un bacio sulla guancia.

Alle spalle della remastered, com’è avvenuto inoltre con il recente e indimenticabile Star Wars: The Dark Forces Remaster, c’è un team che non ha certo bisogno di presentazioni e conosce molto bene come riportare in vita certe opere che hanno avuto un grande impatto. I boomer shooter, come li chiamano quelli che hanno bisogno di etichettare qualcosa per avere una maggiore scelta linguistica durante la stesura di recensioni come questa, stanno andando alla grande. È un sottogenere vero e concreto, considerando le tante scelte su cui il giocatore può optare, il che rende la scoperta di certe gemme un vero e proprio lavoro di preservazione.

Un videogioco che all’epoca era davvero piaciuto molto, come quasi tutti gli sparatutto dopo DOOM

In un mondo in cui a volte si dimenticano certe produzioni, un team come Nightdive Studios è necessario per ricordarci che tutto, pure DOOM Eternal, ha avuto origine da opere in pixel, da livelli criptici e complessi e da nemici tosti, davvero tosti. Se dunque avete amato perdutamente SIGIL, ovvero i capitoli successivi a DOOM, con Killing Time: Resurrected potreste trovarvi a vostro agio. A patto che, ovvio, sappiate a cosa andate incontro.

IMHOTEP? NO, PEGGIO

Non ci sono tombe da aprire né segreti da svelare. C’è un giovane, impersonato dal giocatore, che si ritrova all’interno di una ricca ereditiera. Il ragazzo è un egittologo, un esperto di tutto ciò che riguarda il passato del popolo del Nilo in ogni sua sfaccettatura. È certo di poter studiare serenamente, risolvere il mistero cui si sta impegnando ormai da due anni e tornare all’università fresco come una rosa di campo; se non fosse che il destino, dei fantasmi e delle creature abbiette pronte a tutto pur di impedirglielo, si sono risvegliate e ora hanno tutta l’intenzione spietata di fermarlo.

Non sarà Alfred, ma il bro in foto ha uno stile tutto suo.

È il 1930, in piena Grande Depressione e il proibizionismo sembra proprio aver colpito anche i non-morti. La ricca ereditiera, Tess Conway, era una donna tutta d’un pezzo e teneva molto agli antichi oggetti dei retaggi più rilevanti dell’Antico Egitto da non accorgersi che, nel frattempo, qualcuno non sembrava voler restare soltanto un miserabile oggetto da esporre in una sala delle udienze. L’ex studente, insomma, si ritrova nel bel mezzo di una situazione ostica con l’obiettivo di sopravvivere il più a lungo possibile e fuggire da quel posto maledetto. La storia, che si scopre dialogando con i vari personaggi della tenuta, è oscura e tetra. Compaiono come fantasmi, raccontando cos’è capitato loro e come avanzare all’interno del luogo. Trovare un non-morto consigliarmi di recuperare una chiava gialla è stato un po’ inaspettato, considerando che in DOOM come in altre opere simili sono io a dover capire in quale maniera aprire una porta e successivamente avanzare verso la seguente.

Non ci sono tombe da aprire né segreti da svelare. C’è un giovane, impersonato dal giocatore, che si ritrova all’interno di una ricca ereditiera

È una scelta che al tempo fu molto apprezzata, e che anche oggi, a distanza di quasi trent’anni, è davvero molto originale. Pur inseguendo il genere horror, Killing Time: Resurrected non mi ha mai fatto paura. Mi ha leggermente inquietato, questo sì, soprattutto quando mi sono trovato davanti dei pagliacci che non avevano alcuna intenzione di farmi proseguire. O, ancora peggio, qualche gentildonna vestita per la festa che sparava della magia dalle mani. Ringrazio di essermi portato un fucile a pompa, altrimenti non sarei stato qui per raccontarvelo.

IL COINVOLGENTE E CRIPTICO KILLING TIME: RESURRECTED

Sarò noiosamente ripetitivo, ma quando si tratta di riportare in auge antiche glorie del passato oppure opere dimenticate chissà dove, Nightdive Studios non è secondo a nessuno. Lo ha reso evidente migliorando e affinando delle scelte di gameplay come ha fatto con Star Wars: The Dark Forces Remaster. Intanto, ricordiamo che Killing Time: Resurrected è un FPS vecchia scuola in cui le situazioni si risolvono con i proiettili, piuttosto che con le parole. Esattamente come nel DOOM del 1993, la remastered non ha inalterato in nessun modo la posizione dell’arma. È centrale e, sicuramente non è una novità, s’intravedono le braccia nascoste da dei lunghi guanti neri del nostro studente. Nightdive Studios avrebbe potuto ammodernare questo approccio, ma ha optato per rispettare il passato in modo innamorato, rendendo il gunplay ancora più coinvolgente grazie agli effetti delle varie bocche di fuoco che si raccolgono nel corso dell’avventura (alcune di esse sono ottenibili già istantaneamente; quelle dopo, però, sono devastanti e sanno il fatto loro).

Ok. Lo farò. Devo solo tornare indietro. Scendere le scale. E non morire.

Il game design è tanto simile a DOOM come a QUAKE, dunque la produzione gioca sulla raccolta di chiavi per arrivare a nuove aree e proseguire, facendo proprie armi, munizioni e sì, pure degli scudi. No, fermi, so cosa state pensando: come nell’opera di John Romero, i danni che si subiscono sono sottratti dallo scudo equipaggiato. In Killing Time: Resurrected è possibile farlo, certo, ma cosa cambia davvero? È a tempo. Anche facendo proprie due difese aggiuntive contemporaneamente, esse, nel giro di un minuto, possono riportare indietro la possibilità di sopravvivenza. E, ve lo assicuro, ciò può DAVVERO compromettere i combattimenti. Ho optato per il livello di difficoltà “Difficile”, e in tutto ce ne sono sei. Il più complesso, tanto per capirci, costringe il giocatore a ricominciare l’avventura daccapo, senza armi e, soprattutto, con nemici agguerriti come non mai. Non sono così skillato e ho optato per preservare la mia sanità mentale, comunque compromessa dal level design azzeccatissimo, profondo e criptico al punto giusto del titolo riportato in vita da Nightdive Studios. Pur essendoci una mappa che rende l’esplorazione piuttosto intuitiva, talvolta diventa utile affrontare le situazioni senza il suo ausilio. Dopo sette ore, lo ammetto, ho scoperto che era un supplemento per non perdere di vista le aree segrete all’interno del maniero e non solo. Purtroppo, è assente la possibilità di inserire dei punti di riferimento per capire in cui si è stati, e assicuro che il loro utilizzo avrebbe reso l’esplorazione meno dispersiva. Tornando al level design, ogni area conduce a strade secondarie, bivi e a nuove aree.

Il gunplay e le animazioni sono splendide

Il rischio di perdersi è dietro l’angolo, tanto che è bene proseguire con la dovuta calma e ricordare i passi fatti poco prima. Anche se non è del tutto semplice, vuoi per i nemici o per qualche comprimario curioso dalla presenza dello studente, ciò mette in evidenza quanto all’epoca quest’opera riuscisse comunque a distanziarsi dai dettami di DOOM e a creare qualcosa che unisse anche il ragionamento. E di situazioni in cui si è costretti a usare la testa non come ariete ce ne sono parecchie, il che rende la produzione ben più di un classico FPS vecchia scuola. A volte, infatti, capiterà di risolvere un enigma e di scervellarsi per comprendere come usare in modo corretto degli oggetti recuperati precedentemente. L’inventario consente di analizzarli e di capire cosa si è recuperato. È spesso complesso trovare il modo per rendere un FPS davvero originale; al tempo questo obiettivo fu raggiunto pienamente.

Che dire della bellissima illuminazione?

Quando si parla di Nightdive Studios in qualsiasi accezione – pure stavolta in senso positivo – si deve riflettere anche sul lavoro grafico, sulla veste che ricopre questo bel figlioletto che nacque nel 1995. Comparando la remastered con una versione del 1995, il lavoro svolto da parte del team è assolutamente di pregio. Al tempo i personaggi erano presentati attraverso delle cinematic in game, inseriti in modo tale da offrire al giocatore qualcosa di mai visto prima. Oggi, invece, lo sono anche i nemici: quando attaccano, si difendono o fuggono, sembra di affrontare una sagoma trapiantata dalla realtà al mondo virtuale. È una scelta che mi ha mandato fuori di testa perché rende ancora più cruda la produzione nel suo complesso, e che dà modo di notare quanto il lavoro di ammodernamento sui luoghi e le ambientazioni sia stato di elevatissima caratura.

Comparando la remastered con una versione del 1995, il lavoro svolto da parte del team è assolutamente di grande pregio

A essere ormai onnipresente, poi, è la presenza di un menu dedicato all’accessibilità, così che chiunque possa viverlo senza ostacoli. Al suo interno è possibile modificare i colori per i daltonici e aumentare i caratteri delle parole scritte. Al riguardo, la localizzazione italiana ha svolto un gran lavoro, riuscendo ad andare di pari passo con il doppiaggio in lingua inglese. Se state cercando un’opera che sappia mettere in moto il vostro cervello, che voglia sorprendervi e tenervi incollati allo schermo, optare per Killing Time: Resurrected è la scelta migliore. E non serve neanche aver apprezzato o giocato l’originale per rendersene conto.

In Breve: Killing Time: Resurrected è il perfetto binomio tra esplorazione e sparatorie all’ultimo grido. Nightdive Studios è stata capace un’altra volta di migliorare un videogioco e di farlo esaltare, ammodernando alcune cosucce lato gunplay e proponendo delle animazioni realmente belle da vedere. Potrebbe essere davvero molto più di un classico momento per godersi un’opera del passato.

Piattaforma di Gioco: PC
Configurazione di Prova: i5-12400F, 16 GB RAM, GeForce RTX 3080, SSD
Com’è, come gira: Ottimamente, e non c’è da migliorarsi: Nightdive Studios è maestra assoluta.

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Pro

  • Nightdive Studios fa centro un'altra volta / Level design pazzo, pazzissimo, bellissimo / Il gunplay à la DOOM resta ancora oggi affascinante / Se al tempo si amava per gli enigmi, ora potreste adorarlo maggiormente / Storia molto intensa, seppure...

Contro

  • ...non indimenticabile / Consultare la mappa non è sempre facile, perché non lascia punti di riferimento
8

Più che buono

Cosa succede se unite letteratura, tanta curiosità e un mix letale di videogiochi indipendenti e di produzioni complesse? Otterrete Nicholas, un giovane virgulto che scrive tanto e vuole scrivere di più. Chiamato "Puji" ben prima di nascere, dovete dargli una penna per tenerlo calmo. O al massimo un pad.

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