Little Big Adventure – Twinsen’s Quest – Recensione

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Trent’anni, tanti ne sono trascorsi dalla pubblicazione di Little Big Adventure. Era il 1994, all’epoca c’era Adeline Software, avevo dieci anni esatti. Twinsun, Twinsen e i cloni del Dr. FunFrock, quanti ricordi. Cosa significa che non sapete di cosa sto parlando? Ma allora Little Big Adventure – Twinsen’s Quest è il remake che fa per voi!

Sviluppatore / Publisher: [2.21] / Microids Prezzo: 29.99€ Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 7 Disponibile su: PC (Steam, GoG, EGS), PS4, PS5, Xbox One, Xbox Series, Switch Data d’uscita: Già disponibile

Nell’analisi critica così come nella vita, in alcune circostanze i sentimenti possono giocare brutti scherzi.

Quando tocca giudicare un frammento del nostro passato a cui siamo emotivamente legati, può rivelarsi arduo procedere sui binari dell’obiettività: è facile deragliare senza nemmeno rendertene conto se ti fanno lo sgambetto al cuore.

TRENT’ANNI E NON SENTIRLI

Nei luoghi in cui sei stato davvero bene ritorni sempre volentieri, fosse anche solo col pensiero, perché lasci un pezzetto di te là dove hai vissuto momenti indimenticabili, a cui magari ripensi a distanza di anni. Ecco perché appena ho scoperto che il remake di Little Big Adventure era in dirittura d’arrivo, non sono riuscito a trattenermi. Dovevo assolutamente impersonare ancora una volta Twinsen, rimettere piede su Twinsun e liberarlo dal Dr. FunFrock. Sentivo che dovevo anche raccontarvi quanto ho amato indossare la sua iconica tunica e lanciare la Palla Magica, e soprattutto se farlo dopo trent’anni regala le stesse magiche sensazioni.

I cuori per ripristinare la salute abbondano, basta sapere dove cercarli.

LBA è stata un’avventura rivoluzionaria, non a caso è entrata in diverse liste dei giochi più importanti di tutti i tempi. Realizzata originariamente da Adeline Software, uno studio francese formato da ex Infogrames come quel Frédérick Raynal che lavorò al primo Alone in the Dark, chi ha avuto il privilegio di giocarla in quegli anni difficilmente l’ha dimenticata. La caratteristica visuale isometrica, il delizioso stile artistico dai modelli poligonali semplici ma adorabili, la magnifica colonna sonora, la libertà d’esplorazione e la storia piena di personaggi bizzarri, il combat system peculiare e gli enigmi, ogni elemento del gioco contribuiva a farti calare nei panni del protagonista di una storia che avrebbe lasciato il segno, tanto in chi la viveva quanto nei videogiochi venuti dopo.

In ogni caso trent’anni sono parecchi per un videogame

Il pianeta Twinsun è illuminato da due soli, ma l’oscurità nei suoi due emisferi su cui vivono quattro specie in armonia è comunque presente per colpa del malvagio Dr. FunFrock. Lo scienziato, dopo aver inventato i cloni e il teletrasporto, si dimostra un dittatore deciso a opprimere la popolazione e segregarla nell’emisfero meridionale grazie al suo esercito di bot. Dopo essere stato imprigionato per motivi futili solo in apparenza, il giovane Twinsen riesce a evadere e, unendosi ai ribelli sparsi per il pianeta, a ribaltare il triste destino di un mondo allo sbando. Nel suo tortuoso viaggio per i quattro angoli di Twinsun, il coraggioso Quetch può contare su alcuni oggetti molto utili, sul sostegno della profezia e della dea Sendell e sul supporto di diversi NPC come il suo amico Baldino.

IL TOCCO DEL REMAKE

In alcuni punti, il remake si prende la libertà di ritoccare perfino la sceneggiatura per ammodernare e contestualizzare maggiormente alcuni aspetti della storia, approfondendo e integrando ove ritenuto più debole il tessuto narrativo. Come si può notare dalle immagini, il grosso dell’opera di rifacimento riguarda la componente grafica, la quale riesce a non ostacolare la forza di una direzione artistica tuttora ricca di personalità, a suo tempo dotata di tocchi talmente delicati e genuini da renderla una parte fondamentale dell’esperienza e, oggi, attenta a rispettare l’eredità lasciata da chi l’ha preceduta. Tra colori più vivi e scenari riportati a nuova vita dalla scintilla del restyling estetico, la nuova veste calza a pennello al fiabesco single player vecchio stampo che, come se trent’anni fossero un’inezia, danza sui nostri prestanti schermi con rinnovata grazia in virtù di un rinnovamento che ha colpito anche il gameplay.

I nemici ci dimenticano in fretta di Twinsen, ma picchiarli è comunque giusto.

C’è una fluidità di cui non ho memoria nella corsa di Twinsen, ma si nota la mancanza del caratteristico cambio di postura che ne determinava le movenze e le azioni. Ora si può correre, camminare, schivare, colpire, saltare e lanciare la storica Palla Magica usando due traiettorie diverse, ma non si può camminare in punta di piedi ad esempio. Ciò è da associare alla volontà e/o alla necessità di rendere meno macchinoso il continuo cambio di stile attraverso il passaggio da una stance all’altra, probabilmente un vezzo che mal di sarebbe adattato ai palati odierni e ai ritmi attuali. S’è persa una peculiarità, è indubbio, tuttavia la motivazione regge.

UN SUCCESSO A META’

In ogni caso, trent’anni sono parecchi per un videogame. Purtroppo oggi si fa un po’ di fatica ad apprezzare la rigidità di alcune animazioni interrotte a metà di Twinsen, il combat system farraginoso o le sezioni platform poco entusiasmanti: siamo bene abituati sotto questi punti di vista. Lo siamo anche per quel che concerne le indicazioni su dove andare o cosa fare, un modus operandi che non trova riscontro nel remake e, davanti agli enigmi meno chiari, può causare momenti in cui ci si sente come John Travolta in Pulp Fiction, nella scena che divenne meme.

Il viaggio di Twinsen è sempre speciale, proprio come i luoghi che deve visitare.

Chi non c’era nel ’94 probabilmente non comprenderà nemmeno la gioia provata da noi “boogamer” (contrazione di boomer e gamer) quando abbiamo appreso che, tra qualche tempo, arriverà anche il secondo capitolo. I diversi problemi tecnici di cui soffre questo nostalgico remake non aiutano granché a spiegare, ai meno stagionati, perché siamo così affezionati a quell’anacronistico ammasso di poligoni con la coda, né perché i nostri occhi continuino a brillare anche di fronte a dei bug fin troppo evidenti. Chi si avvicina per la prima volta a LBA deve ricordarsi sempre che sta giocando al remake di un action-adventure nato ben tre decadi fa, nell’esaltante periodo in cui la grafica fotorealistica era utopia e le idee brillanti contavano infinitamente più dei muscoli del motore grafico.

In Breve: Ho cercato di essere obiettivo, giuro. Little Big Adventure – Twinsen’s Quest è bravo nel trasporre rispettosamente nel contemporaneo un action-adventure francese che molti di noi custodiscono tra i ricordi, ma deve anche fare i conti con alcuni limiti in parte inevitabili giacché figli di altri tempi. La pragmatica volontà di ammodernare l’opera iniziale cercando di non stravolgerla eccessivamente piace pur non convincendo completamente nel risultato, specie se osservato con occhi scevri del filtro bellezza noto come nostalgia. Resta comunque un balsamico tuffo nel passato tornare a Twinsun e rivedere vecchi amici che paiono ringiovaniti, nonostante un comparto tecnico che, a causa di alcune sbavature di troppo, non rende pienamente giustizia al capolavoro originale.

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: Ryzen 7 7800X3D, Radeon 7800XT Nitro+, 32 GB RAM DDR5, SSD m.2
Com’è, Come Gira: Detto dei bug e delle imprecisioni resta la bellezza intonsa di un art style immortale, immediatamente riconoscibile nonostante i ritocchi estetici. La colonna sonora non è l’originale, ma il compositore è sempre il capace Philippe Vachey. Meglio col pad che con mouse e tastiera, e meglio scordarsi le opzioni grafiche: non ci sono.

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Pro

  • LBA è sempre LBA / La nuova veste grafica gli dona proprio / Trent’anni portati bene…

Contro

  • Può essere frustrante / Bug e imprecisioni tecniche, c’è da metterci mano / … ma sono comunque trenta
7

Buono

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