Magari non si tratta di una cosa particolarmente sentita da questa parte dell’oceano, ma in Giappone il trentennale di Rockman è una cosa seria. Il robottino blu ha occupato uno spazio di tutto rispetto nel gargantuesco stand Capcom al Tokyo Game Show, tra postazioni di gioco e una sorta di museo dedicato alla sua carriera, con tanto di generosa mini enciclopedia data in omaggio ai visitatori. Nell’ottica dell’operazione nostalgia, Mega Man 11 svolge il suo lavoro discretamente, offrendo un inedito capitolo fedele alla tradizione senza però né strafare né stupire, muovendosi su sentieri noti evitando accuratamente di osare qualcosina di più.
BLUE BOMBER
Mega Man 11 è sostanzialmente quello che molti fan volevano: un capitolo originale realizzato con le tecnologie attuali, distante dunque dalla pixel art “commemorativa” usata nei due episodi precedenti, da consumarsi ubriachi di chiptune e allegria in occasione dei trent’anni del marchio. Non è però in grado di osare, restando prudentemente aderente alle meccaniche a cui la coppia Inafune & Kitamura ci ha abituato agli albori della saga in modo quasi preoccupante, incapace di offrire nuove idee tali da renderlo memorabile. Il gimmick che funge da collante alla trama è il Sistema Double Gear, invenzione di Wily risalente ai tempi in cui studiava robotica assieme all’esimo Thomas Light, rielaborato per potenziare e rendere potenzialmente invincibile una nuova generazione di Robot Master. Per combattere il fuoco col fuoco, Light dota Mega Man del medesimo sistema che, in soldoni, si traduce nella possibilità di usufruire durante un brevissimo periodo di un potenziamento all’attacco e della facoltà di rallentare il tempo. A conti fatti si tratta di un’opzione per lo più accessoria, quantomeno al livello di difficoltà standard, giacché, con la giusta abilità, è facile completare il gioco senza ricorrere alla coppia di ingranaggi se non in particolarissimi frangenti in cui prendere la mira con calma si rivela un requisito importantissimo.
Mega Man 11 non è in grado di osare, restando prudentemente aderente alle meccaniche a cui la coppia Inafune & Kitamura ci ha abituato trent’anni fa.
UNA FESTA DOVE SARANNO INVITATI TUTTI
Una cosa è certa: Mega Man 11 è un gioco che tutti possono godersi, nonostante la proverbiale difficoltà della serie possa scoraggiare sulle prime i meno abili. Merito principalmente dei quattro livelli di difficoltà, che offrono una sfida adatta a ogni palato, ma anche di una buona distribuzione dei checkpoint. A questi si aggiunge il garage di Auto dove investire i bulloni raccattati tra una piattaforma e l’altra in cambio di un gran numero di aiuti forse un po’ troppo generosi, dalle ricariche energetiche a super corazze in grado di dimezzare il danno ricevuto nel livello in corso, senza scordare un buon quantitativo di mod dagli effetti più disparati, vedi gli stivali chiodati con cui migliorare l’aderenza di Mega Man sul ghiaccio (presente in un solo livello, peraltro) o un sistema per ottimizzare la ricarica delle armi.
Una volta finita la breve avventura, quello che resta è il menu Extra dove ci aspetta una vasta gamma di prove.
Mega Man 11 batte Mighty No. 9 grazie a una realizzazione ispirata e a uno schema di gioco senza punti deboli, ma non verrà certo ricordato nei libri di storia come uno dei capitoli più brillanti della saga. Breve e senza particolari guizzi d’ingegno, si propone come una portata piuttosto inconsistente per festeggiare un avvenimento tanto importante come i trent’anni di Mega Man. Divertente per quel che dura, ma non sono affatto impressionato.