Metro Exodus - Recensione

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Non so se siamo davvero arrivati alla conclusione del percorso cross-mediale della serie Metro, per i romanzi è molto probabile, ma mai come in questi ultimi due lustri sono stato immerso in un mondo di fantasia alternando romanzi e videogiochi e, così, diversi gradi di approfondimento e approccio sensoriale allo stesso universo. Le opere letterarie hanno contemplato personaggi diversi e si sono presto allontanate da Tetri, mutanti e anomalie, concentrandosi su una drammatica allegoria di ideologie totalitarie e varia umanità, mettendo gli uomini, le loro meschinità o anche i lampi delle loro caratteristiche migliori avanti agli aspetti fantastici dell’ucronia post-nucleare tratteggiata da Dmitrij Gluchovskij.

Lo stesso scrittore è stato a fianco di 4A Games per creare trame che non escludessero i fatti dei libri e, tuttavia, si spostassero in territori più consoni a una saga di giochi d’azione e sopravvivenza, abbandonando tematiche in modo un po’ artificioso ma giungendo, infine, a un tessuto continuo che avvolge Metro Exodus e le ultime pagine di Metro 2035 in un’affascinante coerenza concettuale, dentro e fuori le regole narrative e videoludiche. Come Artyom e Anna decidono di avventurarsi per la prima volta fuori della metropolitana, percependo in modo via via più limpido pericoli e possibilità della post-apocalisse “alla luce del sole”, così il nuovo capitolo della serie si spinge in un game-design pieno di opportunità ma anche di insidie, desideroso di tenere ferme le qualità acquisite e non disperderle nel nuovo, enorme contesto.




Come Artyom e Anna decidono di avventurarsi nel mondo esterno, così Metro Exodus si spinge in un game-design pieno di insidie ma anche di opportunità

E così il nuovo viaggio ha inizio, cercando di superare le certezze della metropolitana o, in termini narrativi, l’idea assolutamente geniale che ha trasformato la rete sotterranea più vasta del pianeta in un quadro sociologico capace di toccare tanti estremi – con comunità vicine al medioevo, ai peggiori incubi sociali del ‘900 o anche alla brillantezza intellettuale della Grecia ellenica – fuori da quello che sembrava l’unico futuro possibile per avventurarsi in un altro. Sempre più aperto. Sempre più lontano. Sempre più libero.

OUTSIDE WORLD

Il preambolo può esservi sembrato troppo lungo o dispersivo, ma in realtà coinvolge il particolare stile “on the road” che ha accompagnato i viaggi di Artyom e dei suoi compagni lungo i vari capitoli, e che in Metro Exodus si dirama verso scoperte più citazioniste per lo stesso genere post-apocalittico. Forse la definizione più appropriata potrebbe essere “on the rail”: legno e metallo delle rotaie continuano a veicolare le avventure di Artyom e, tuttavia, smettono di ritornare su loro stesse nel groviglio chiuso della metropolitana, uscendo da quel che gli stessi termini suggeriscono nel gameplay dei videogiochi. Non più solo canaloni di livelli lineari, ma anche grandi regioni liberamente esplorabili che, però, mantengono una precisa scansione rispetto alla storia e alle stesse tappe del nostro girovagare.

Il nuovo capitolo si dirama verso scoperte più citazioniste per lo stesso genere post-apocalittico

Innanzitutto, una volta raggiunte le varie mappe di gioco non si può tornare alle precedenti, tra rovine strette nel morso di ghiaccio e radiazioni, deliranti siti segreti, grigie e fangose aree paludose, territori boscosi, zone desertiche che evocano memorie di Mad Max e altro ancora, non in questa sequenza – si tratterebbe di spoiler al pari di altre caratteristiche narrative – ma con un criterio al contempo razionale ed emotivo che guida la scoperta delle comunità, dei personaggi e, ovviamente, anche le tipologie di mutanti che si aggirano nella Russia post-nucleare (in parte già viste nei capitoli precedenti, ma con diverse sorprese). La libertà drasticamente maggiore è data dalla facoltà di esplorare qualsiasi anfratto dei livelli, talvolta con mezzi quasi esclusivamente concepiti per il movimento – ad esempio barche e motrici, ma anche veri e propri veicoli – e soprattutto di adoperare un binocolo per segnare sulla mappa le aree di interesse primarie e opzionali, come unico strumento che consente, insieme alla bussola, di identificare gli obiettivi lasciando piacevolmente sgombra la visuale in prima persona. Talvolta i fitti dialoghi trasformano le stesse zone in vere e proprie quest secondarie, con piccoli obiettivi da espletare al loro interno, e in generale è piacevole notare come il level design ripaghi quasi sempre gli sforzi esplorativi con armi, munizioni, equipaggiamento o materiale da costruzione. Le escursioni si animano spesso nell’assalto a qualche struttura o nella presenza di insidiosi branchi di animali mutati; nel primo caso va rilevata l’attenta progettazione di coperture o nascondigli, nel secondo la morfologia “naturale” del terreno che può essere utilizzata per distanziare le belve o bloccarne gli inseguimenti, anche ponendo diverse specie a contatto tra loro.

A lato, poi, dell’inizio del gioco e di alcune avventure nello stile dei primi Metro, anche le missioni primarie all’interno di edifici, sotterranei, torri, villaggi o roccaforti diventano il mezzo per rievocare puntualmente lo spirito originale, magistralmente “teatrale” per come vengono coreografati gli spettacolari script in prima persona. Dialoghi, eventi cruciali e svolte del racconto risultano curati come nella migliore tradizione della saga, superiore in scrittura a qualsiasi FPS sulla piazza, con l’aggiunta di inediti intermezzi “di viaggio” per tenere traccia di incontri, personaggi, bestiario e dello stesso rapporto di Artyom con compagni vecchi e nuovi. Piccole azioni come fumare una sigaretta, sorseggiare una tazza di te, concedere una carezza o armeggiare con le frequenze della radio sono studiate per renderci ancora più partecipi dell’andamento emotivo della comunità, oltre che per iniziare a spargere indizi sulla direzione narrativa delle vicende. Il mio consiglio è di vivere l’esperienza con l’audio russo e i sottotitoli in italiano, considerata la recitazione non sempre a filo del doppiaggio, ma va comunque sottolineata la presenza di una traduzione integrale quantomeno corretta e completa.

IL PREZZO DELL’EVOLUZIONE

Quel che ho scritto fin qui non significa che Metro Exodus sia privo di difetti. Alcuni sono antichi e mai risolti, come le animazioni un po’ legnose nei tanti dialoghi di contorno (di segno opposto, però, alcune ottime animazioni facciali), o anche l’impressione non sempre convincente dell’impatto delle armi sul corpo di bestie o avversari umani. Altri limiti sono relativamente nuovi e appaiono connessi alla diversa scala dell’ambientazione, molto più grande e meno facilmente controllabile (in fondo, 4A Games non ha certo la dimensione di Rockstar o Ubisoft Montreal), ad esempio nelle compenetrazioni poligonali di alcuni mutanti con gli scenari o anche in qualche texture visibilmente meno definita nelle location di passaggio, con sbavature che tendono progressivamente a infittirsi nei livelli avanzati. Anche le IA, per rendere al meglio, hanno bisogno della potenza offerta dalle difficoltà superiori, complice la capacità di Artyom di aggredire da tergo o frontalmente i nemici con esito automatico dell’azione: ciò non è del tutto incredibile – in fondo stiamo controllando il miglior guerriero dell’“Ordine di Sparta” – ma è il motivo supremo per cui non posso che consigliare ai veterani la scelta dell’ultima modalità disponibile, Ranger, così da godere appieno dei preziosi dettagli dei combattimenti. Fra questi troviamo ancora una volta il ruolo attivo delle bardature sui nemici, con conseguente necessità di mirare alle aree scoperte o penetrabili, magari la porzione del viso incorniciata dagli elmetti. Considerata, poi, la costante presenza di opzioni furtive – luci da spegnere in ogni dove, lampade infiammabili, distrazioni sonore, abbattimenti silenziosi – stride l’impossibilità di spostare i corpi delle sentinelle uccise o tramortite, più vistosa del solito proprio per il gran lavoro svolto, come vedremo, sulla gamma di approcci possibili. 

Talvolta i fitti dialoghi trasformano le stesse zone individuate col binocolo in vere e proprie quest secondarie

D’altra parte, si fa presto a tornare sulle caratteristiche concettualmente irreprensibili: così come l’open world non è indiscriminato, anche le azioni di loadout e di crafting sono ideate, se non per rispondere a un criterio di ineccepibile realismo, almeno per evocare costantemente una più che accettabile verosimiglianza. È possibile buttarsi in qualche angolo con la relativa animazione/schermata dello zaino per cambiare ottiche, migliorie delle armi e dell’equipaggiamento con azioni di gestione rapide e precise; per costruire munizioni o granate sono invece necessari banchi di lavoro, disposti non troppo frequentemente negli scenari, con l’unica e intelligente eccezione data dai pallini dell’arma ad aria compress(issim)a. Qualsiasi operazione di crafting o modifica dell’equipaggiamento non blocca il fluire dell’azione e questo, in modo molto naturale, dona a Metro Exodus un netto sapore survival e un alto livello di immersività, complice il continuo controllo di risorse o munizioni a nostra disposizione.

METRO ALL’ENNESIMA POTENZA

Il sistema di controllo segue la buona complessità delle opzioni strategiche: con un gamepad è necessario usare contemporaneamente i tasti dorsali, la crocetta o i quattro pulsanti frontali per attivare tre differenti catene di azioni – maschera, crafting, modifica delle armi e strumento da polso munito di bussola, contatore geiger ed eventuale indicazioni dei filtri, esteticamente simile a un serioso Pip-Boy; anche con mouse e tastiera alla mano, dunque coi controlli assolutamente consigliati per la versione PC, i comandi più ordinatamente disposti sono comunque affiancati a prolungate pressioni per selezionare munizioni od oggetti da lancio – proiettili speciali, granate, coltelli e barattoli per distrarre i nemici – accanto al click sinistro del topolino per la ricarica della torcia o dei gingilli da fuoco a meccanismo alternativo.

Alcuni difetti sono antichi quanto la serie, altri sono connessi alla nuova scala delle ambientazioni, più difficile da controllare

Gli slot sono tre, due normali e uno per l’arma coi proiettili “fai da te”, affiancati da un’impressionante varietà di modifiche che vanno dal calcio alla canna, dalle ottiche ai sistemi di raffreddamento, dai soppressori ai caricatori, in modo da adattarsi a ogni stile di gioco e cambiare radicalmente gli strumenti in dotazione senza bisogno di sostituirli; da rilevare il bisogno di scegliere costantemente l’uso della risorsa più frequente, sorta di sostanza chimica adoperata per pulire le armi ma anche per costruire medkit e munizioni. Come accennato, gli approcci agli obiettivi possono essere di segno totalmente opposto, ad armi spianate, con la certezza di farsi scoprire, o con l’oculatezza di spostamenti stealth che, tra le altre cose, permettono di risparmiare più facilmente la vita ai nemici. Numero e frequenza di quest secondarie ed aree da esplorare sono sicuramente rimarchevoli ma difficilmente strabordano nella vera dispersività, al di là dell’enorme quantità di equipaggiamento recuperato che, tuttavia, diventa molto più rarefatto e necessario ai più alti livelli di difficoltà; verremo sempre ripagati con gustose informazioni aggiuntive sugli abitanti del luogo e, talvolta, con combattimenti secondari che mettono al centro qualche potente creatura, se non bastassero le affascinanti sequenze in soggettiva che introducono le belve più pericolose nelle quest principali. Il meccanismo dei save-game non perde un colpo e, per la verità, mi ha fatto persino dimenticare l’uso del salvataggio libero, tanto si è dimostrato frequente e puntuale il sistema di checkpoint automatici, non precostituiti e anzi basati su azioni compiute e minutaggio.

Se non sul realismo, loadout e crafting sono almeno modellati su un efficace criterio di verosimiglianza

Parallelamente, poi, agli impressionanti effetti per le variazioni meteorologiche, è da sottolineare anche il nuovo ciclo giorno e notte, con l’opportunità di riposarci in alcune location, far passare il tempo e affrontare insidie differenti a seconda dell’ora, tra speciali anomalie (fantastiche le conseguenze sulla fauna), animali più feroci nelle azioni notturne e sentinelle umane più attente alla luce del sole. In termini tecnici, la magnificenza della messa in scena è volata via liscia tra i 60 e gli 80 frame al secondo con risoluzione 1080p e tutti i dettagli al massimo, a fronte di una gamma di opzioni più essenziale del solito e di una macchina composta da vecchio i5, 16 GB di RAM e 1080Ti sotto il cofano; in queste condizioni ho potuto giocare senza problemi anche in 4K, pur accontentandomi di un framerate meno elevato, tra le 40 e le 60 immagini al secondo, e di alcune eccezioni al ribasso durante gli spostamenti sul furgone o davanti ai panorama osservati dalle torri, complice l’impressionante dettaglio all’orizzonte. Il partner tecnico di 4A Games è sempre Nvidia, con funzioni speciali per capigliature, PhysX avanzato o, se si dispone di una GPU serie 2000, opzioni di illuminazione RTX, accanto a due potenti strumenti per la cattura delle immagini; da una parte abbiamo un sistema integrato con limitazione dell’inquadratura, dall’alta il portentoso Ansel che permette di andarsene a zonzo con la camera, pur se entro un certo limite, entrambi attrezzati con una lunga serie di filtri ed effetti da applicare sugli shot.

Il mio Artyom è di nuovo fuggito da Mosca per affrontare una nuova e difficile partita, più consapevole del cangiante destino

Prima di chiudere, va anche sottolineato come Il taglio letterario di dialoghi ed eventi continui ad articolarsi, come nei predecessori, in epiloghi differenti a seconda di quali azioni compiremo nei confronti di comunità, singoli disperati ed esempi più evoluti della fauna postatomica, con tenui ma riconoscibili effetti grafici a sottolineare il valore di ciò che abbiamo fatto. Anche Metro Exodus va giocato almeno due volte, se si amano le sue particolarissime qualità, e il mio Artyom è di nuovo fuggito da Mosca per affrontare una diversa e difficile partita, più silenziosa e consapevole del cangiante destino.

Il risultato complessivo di Metro Exodus è spesso eccellente e solo in parte deriva dall’elevatissimo dettaglio grafico, unico nel suo genere per numero di particolari, quasi un racconto nel racconto, nonostante il poderoso ampliamento dell’esplorazione. Il gioco di 4A Games mantiene una personalità unica, coraggiosissima nell’addentrasi in preziosi particolari narrativi e capace, ancor più che in passato, di valorizzare i punti di forza anche sul piano del gameplay, grazie a una gestione dell’equipaggiamento incredibilmente articolata e varia. Non tutto è perfetto, e anzi il drastico cambiamento di scala ha portato con sé qualche inedita sbavatura, ma mai come in questo caso i dettagli possono essere perdonati in virtù dell’abbacinante quadro generale. Metro Exodus va tutelato quasi si trattasse di una specie in estinzione, ed è anche in quest’ottica che gli appassionati devono valutarne l’acquisto.

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Pro

  • Grande impatto grafico.
  • Colmo di pregevoli dettagli narrativi.
  • Innumerevoli opzioni di gestione dell'equipaggiamento.
  • Mix riuscito di libertà esplorativa e andamento story-driven.
  • Addirittura prezioso, se si ama un certo modo di fare FPS.

Contro

  • Molto meno a fuoco alle difficoltà minori.
  • Alcune animazioni meno riuscite.
  • Qualche sbavatura visiva nei livelli più avanzati e grandi.
  • Le ispirazioni al genere postapocalittico risultano talvolta meno fresche.
9.2

Ottimo

Marietto è così dentro alla sci-fi che non riesce a trovare la strada per uscirne. Per lui i videogiochi sono proprio questo, una porta per accedere a un pezzo di fantascienza che si realizza qui e ora, senza aspettare la fine del mondo.

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