L’originale Mirror’s Edge è stato uno dei titoli più significativi della vecchia generazione e, personalmente, uno dei miei videogiochi preferiti in assoluto, almeno in termini di concept e feeling. Velocità, controllo e adrenalina, coniugati con una visione estremamente metropolitana del platform, mi hanno fatto perdutamente innamorare delle tonalità contrastanti del capitolo originale e non nascondo che l’hype per Mirror’s Edge Catalyst era altino. Finalmente ci siamo, e non appena staccato il mio biglietto per Cascadia, destinazione Glass City, mi sono lanciato a tutta velocità verso i tetti della città di vetro, dopo la fugace, e non pienamente convincente, visita effettuata in tempo di beta.
UNA PRIGIONE DI VETRO
Purtroppo, sin da subito i limiti evidenziati in beta si sono rivelati fondati. L’approccio, lo sviluppo narrativo e la messa in scena della vicenda di Faith sono davvero pessimi, e la scrittura dell’intero gioco è completamente insufficiente. Colpevolmente superficiale e ai limiti del gentismo, la distopia di Cascadia e del regime delle corporazioni di Glass City si rivela talmente generica e mal costruita, tanto da rendere quasi priva di senso la nostra esperienza lungo le missioni principali. Facciamo cose senza capire perché e le motivazioni sono quasi sempre banali e inutilmente esagerate, mentre i cambiamenti sono eccessivamente repentini e poco credibili. Anche i personaggi, Faith in primis, sono caratterizzati in maniera approssimativa e tutto sembra ammantato da un filtro adolescenziale che poco si confà al potenziale degli argomenti trattati. L’unico che si salva e per cui ho provato empatia è Plastic, che è una hacker asociale e con gravi problemi di relazione con gli altri: lei ha tutta la mia simpatia, perché neanche io vorrei avere nulla a che fare con quella gente lì.
Il mondo di Mirror’s Edge Catalyst è uno scintillante teatro di marionette dall’aspetto un po’ malinconico e inquietante
Anche tecnicamente, tra l’altro, il titolo di DICE alterna cose splendide a momenti non esattamente esaltanti: se, infatti, gran parte delle strutture significative è caratterizzata da un’attenzione al dettaglio a dir poco eccezionale e, soprattutto, da una resa delle superfici e delle fonti di illuminazione da sogno erotico per architetti contemporanei e interior design victim, le zone di passaggio, l’orizzonte e alcuni quartieri sono sede di modelli molto meno sensuali e texture spoglie, laddove la densità del dettaglio a pochi palmi dal nostro naso scende vorticosamente. Certo, almeno il frame rate è sempre altissimo e l’ottimizzazione del Frostbite mi è sembrata ottima, anche perché, se c’è una cosa che a Mirror’s Edge Catalyst riesce è proprio quella di correre nel flusso.
PERCHÉ CORRIAMO?
Il gameplay avrebbe dovuto essere la ciliegina su una torta estremamente gustosa, ma all’atto pratico si rivela l’unico appiglio gourmet cui reggersi per salvare un menù disastroso. Se nel trailer omonimo a questo paragrafo Faith, a cui anche questa volta non è stato risparmiato un doppiaggio indecoroso, si chiedeva il motivo per cui essere una runner, il gioco in definitiva riesce a dare un’unica risposta: per il semplice gusto di farlo. Al crollo di tutte le altre motivazioni, quello che resta a Mirror’s Edge è aggrapparsi a quello che sa fare da sempre, al concept puro alla base del titolo: il parkour. In questo, Catalyst riesce a restituire tutto il feeling dell’originale e a migliorarlo quanto basta per rendere l’esperienza di corsa un flusso adrenalinico, costante e impareggiabile. Il sistema di controllo leggermente rivisto e un’attenzione meticolosa ai tempi di reazione e alla fluidità dell’azione, infatti, permettono di esprimere una vera e propria poetica del movimento che non ha eguali nella storia dei videogiochi.
se Mirror’s Edge Catalyst fosse stato una sorta di Runmania e avesse parlato solo della vita dei runner sarebbe stato un capolavoro senza eguali
L’azione di Faith, per fortuna, ci fa spesso dimenticare tutto quello che non funziona e, quando si è in pieno flusso, la danza fra i tetti diventa inarrestabile, impetuosa, degna di un giro capolavoro sul circuito di Spa. Ecco, se Mirror’s Edge Catalyst fosse stato una sorta di Runmania e avesse parlato solo della vita dei runner sarebbe stato un capolavoro senza eguali. Le missioni secondarie, le corse di consegna e l’hacking dei Nodi Rete rivelano un level design molto ricercato e sfidano costantemente il senso del limite e le abilità del giocatore. In quei frangenti, Mirror’s Edge Catalyst diventa bellissimo. Peccato che per raggiungere il meglio si debba passare necessariamente per la missione principale, che offre davvero pochi momenti di eguale bellezza.
Il senso di Mirror’s Edge Catalyst sta tutto lì, nell’esperienza della corsa quasi fine a se stessa
Il senso di Mirror’s Edge Catalyst sta tutto lì, nell’esperienza della corsa quasi fine a se stessa: abbandonarsi al piacere del parkour è l’unico modo per vivere al meglio il nuovo titolo di DICE, che in questo senso ha davvero molto da dire. Quanto questo basti, non saprei: chi, infatti, si aspettasse un’esperienza completa, in grado di intrattenere con una buona storia, un mondo di gioco credibile e capace di restituire emozioni, rischia di restare inevitabilmente deluso.
Sono passati otto anni e Mirror’s Edge si ritrova nella stessa situazione di allora, con l’aggravante, per DICE, di aver promesso qualcosa di diverso. Catalyst è, come l’originale, l’esaltazione massima del movimento, della fluidità e del senso del limite, ma per il resto non riesce a costruire mai un vero legame empatico con il giocatore. L’impalcatura narrativa realizzata attorno all’ottimo concept è, a tratti, davvero fastidiosa e mortificante per quello che poi è il cuore pulsante dell’esperienza. Se siete in grado di chiudere ben più di un occhio su tutto quello che Mirror’s Edge Catalyst prova faticosamente a comunicare con parole e messa in scena, allora probabilmente riuscirete a godervi il level design splendido di alcune zone e la bellezza del parkour, ma complessivamente il ritorno di Faith Connors non è stato esaltante come speravo.