Palm City è la città dove nascono le tendenze, dove si creano le mode, disegnata sui progetti della città ideale Paradise City dei pionieri Criterion. Cambia pelle ogni tramonto, al calare del sole perfettamente inclinato sul tropico che la attraversa: di giorno teatro dello Speedhunters Showdown, expo annuale del tuning, festival automobilistico che vive a ritmo di reggaeton e corse ufficiali dai ricchi montepremi, su circuiti modellati con barriere Jersey nei suoi quartieri più caratteristici. Di notte, dietro il sipario, gli stessi attori smettono di essere cibo per il loro pubblico e si contendono le strade per la gloria, la reputazione; incoscienti, sprezzanti della legge, avidi di velocità.
Un serpente d’asfalto che si avvinghia tra i grattacieli della skyline e l’oceano, strisciando su per le colline in tornanti che chiamano alla derapata come sirene, dalle quali scappare sgommando e dribblando il traffico se cominciano a urlare e lampeggiare in tonalità rosso-blu. Guardie mal disposte e inclini allo speronamento di ogni “maledetto street racer”, parte di una nuova task force che vuole eradicare il fenomeno delle gare clandestine con ogni mezzo possibile.Insomma, in Need for Speed Heat, l’ultimo racing di stampo fortemente anti-simulativo firmato Ghost, c’è proprio di tutto.
‘CAUSE THEY SAID IT CHANGES WHEN THE SUN GOES DOWN
C’è la linea guida del classico Burnout Paradise, c’è la voglia di dare alle nuove generazioni un loro Underground e, perché no, ributtare in strada chi con quel capitolo ci è cresciuto, restituendo ai giocatori la personalizzazione estrema dei loro bolidi. Torna di nuovo una narrativa di stampo hollywoodiano wannabe, che ci prova, non ce la fa, con passaggi a tratti imbarazzanti, ma fa piacere esista, perché contestualizza, amalgama, scandisce per tappe una progressione che rivali ben più quotati, come Forza Horizon, trascurano malamente. Sembra un greatest hits del Need for Speed passato e presente, qualcosa che sulla carta difficilmente potrebbe funzionare, un pastone di una software house che cerca disperatamente un’identità e che forse l’ha finalmente trovata, perché Heat è uno dei giochi di guida più divertenti e meglio confezionati degli ultimi anni.
Torna di nuovo una narrativa di stampo hollywoodiano wannabe, che ci prova, non ce la fa, ma fa piacere esista
È veramente un Fast & Furious videoludico, feroce, spettacolare, esaltante quando a parlare sono i motori, artefatto, banale ed edulcorato nel suo copione, farcito di poliziotti corrotti affetti da machismo, ragazzetti dai piedi di piombo affondati sull’acceleratore, crew insopportabili e l’immancabile famiglia ispanica tormentata, col fratello in fase di redenzione dalla sua carriera automobilistica, le cui imprese sono scritte nero su bianco sulla fedina penale, e una sorella minore ribelle, spavalda, talentuosa. Nel mezzo
noi, sotto forma di un avatar totalmente personalizzabile ma non muto, anche se qualche volta sarebbe meglio tenesse la bocca chiusa, deciso a scalare tanto le gerarchie dello showdown quanto quelle della società sommersa, comunità di guerrieri della notte seduti su un V8.
È quest’alternanza giorno-notte che non inventa niente ma divide perfettamente in parti uguali il piacere di guida, creando un circolo virtuoso costantemente su di giri, da vivere perennemente al volante. Quando il sole è alto si guadagnano soldi da investire in nuove auto, potenziamenti per quelle già nel nostro garage, restyling estetici; quando si accendono le luci e i neon di questa Miami alternativa si punta a guadagnare rispetto, migliorare la reputazione, un altro tipo di valuta che dà accesso ai nuovi mezzi e potenziamenti di cui sopra, ma soprattutto alle gare chiave del filone narrativo. Ed
è di notte che la tensione sale, non solo perché le gare sono pericolosamente imbevute nel traffico quotidiano, ma perché la polizia pattuglia, fiuta e azzanna chiunque entri nel suo campo visivo, anche durante una corsa. La pioggia battente, tropicale, l’EDM di Diplo che pompa tachicardica nelle casse, l’asfalto che riflette a intermittenza il rosso e il blu mentre il posteriore si intraversa a 150km/h per prendere l’ultima svolta prima del traguardo. Momenti di totale apnea, con un tasso di adrenalina nel sangue che supera di almeno due volte il valore consentito.
È un racing in cui il miglior modo per affrontare le curve è buttarcisi di traverso, giocando con la pressione dell’acceleratore
Più a lungo dura l’inseguimento senza essere speronati (gli unici momenti in cui l’auto risente davvero dei colpi subiti, anche esteticamente, scelta singolare) più
il moltiplicatore della reputazione aumenta (di pari passo col livello di allerta), ribattendo poi colpo su colpo stile Takedown, seminando le volanti e cercando un garage sicuro dove concludere la nottata e portare a casa il nostro level up quotidiano e la pellaccia, fuori da questo Sottosopra automobilistico per ritrovarsi in officina e ricominciare di nuovo. E
la spinta a continuare non è soltanto una questione di varietà, gare a difficoltà crescente (pungolati da un’IA di buon livello ma a tratti goffa), sfide di derapata, prove a tempo, oppure la distruzione dei cartelloni propagandistici del police department (una tra le tante attività secondarie), ma più che altro una
morbosa voglia di guidare, di affondare le mani in un gameplay impermeabile all’abitudine, tiratissimo, privo di contatti con la realtà.
Need for Speed Heat è un racing in cui
il miglior modo per affrontare le curve è buttarcisi di traverso, giocando con la pressione dell’acceleratore, punta-tacco-punta, quasi alla Ridge Racer, il dito che si stacca dal grilletto come segnale implicito per sciogliere le briglie dell’aderenza, lasciando poi al pilota il controllo totale dell’angolo di sterzata per pennellare ogni tipo di traiettoria.
Semplice, veloce, totalizzante. L’ingrediente segreto, la nota piccante, è la
sensazione di pesantezza del mezzo, una fisicità che dà spessore, consistenza, ruvidità a un’azione totalmente arcade. Anche gli elementi distruttibili a bordo pista sono meri oggetti di scena, cartonati, come palme che si spezzano di netto neanche fossero legnetti, e va benissimo così. Un’emozione da vivere rigorosamente con la visuale ravvicinata al posteriore della macchina, sempre centrata come fosse una steadicam in piano sequenza mentre l’auto ancheggia a destra e sinistra, sensuale, esaltandone il movimento. Una natura ludica condizionata dal modo in cui decideremo di impostare ogni auto, costruendo una vera e propria “build” da RPG in miniatura, adattandole alle varie esigenze. Fuoristrada/asfalto e gara/derapata, la scelta dell’indole che anticipa il makeover estetico.
Inutile girarci intorno, il tuning, il tempo passato in garage, è tanto importante quanto quello in strada
Inutile girarci intorno,
il tuning, il tempo passato in garage, è tanto importante quanto quello in strada, vuoi perché l’auto deve continuare a crescere di valore e performance per competere nei vari eventi, o semplicemente perché è divertentissimo dare sfogo al tamarro di periferia che è dentro ognuno di noi. Ogni auto ha il suo set di parti di ricambio, paraurti, minigonne, specchietti, fino a dettagli come il colore delle pinze dei freni, la targa e il rumore dello scarico, modulabile con un mixer stilizzato. C’è poi tutto il settore vernici e adesivi, una tela composta da modelli preimpostati da mescolare per creare wrap unici da salvare, condividere e mettere in mostra online (che non abbiamo potuto ancora provare adeguatamente). Qui in giro potete ammirare la mia preferita, la Nissan 180SX con la quale ho iniziato la mia prova, modificandola ora dopo ora per trasformarla in un mostro da traversi.
Un gioco nel gioco, uno sprone a comprare tutte le auto come fossero Pokémon da catturare, con alcune di queste che richiedono il completamento di tutte le attività secondarie di una determinata tipologia (i già citati cartelloni, salti, zone derapata, autovelox, adesivi da raccogliere e fenicotteri al neon da distruggere, quasi tutto già visto) per essere sbloccati. Libidine per completisti.
BIENVENIDO A PALM CITY
Il piano urbanistico che regola Palm City è totalmente asservito alla guida, ma basta alzare un attimo lo sguardo per rendersi conto di quanto bellissimo sia Need for Speed Heat. Fin dai menu, illuminati al neon come certe passerelle della Milan Fashion Week, si nota una cura meticolosa per un prodotto modaiolo (e sponsorizzato da varie case di moda con capi d’abbigliamento griffati), contemporaneo, anche nella sua colonna sonora dai ritmi latini e dance, col mood giusto per stuzzicare i millennial ma oggettivamente brillante per chiunque.
Il tutto poi esplode in una realizzazione tecnica da levarsi il cappello, sia semplicemente a livello poligonale, con una città disegnata benissimo nella sua downtown, come proporzioni e dettaglio ma soprattutto carisma, andando poi a diradare il cemento salendo dalle spiagge alle colline, tra boschi, strade sterrate, piccoli paesi, per poi tornare giù verso la zona industriale e portuale, fino alla suggestiva replica di Cape Canaveral, con tanto di shuttle in rampa di lancio. È poi la gestione dell’illuminazione e dei colori a dare il colpo di grazia e prendersi gli applausi, con tramonti che si irradiano e sembrano fondere ogni superficie in modo diverso, naturale, magari dopo un acquazzone che sembra cospargere l’asfalto di diamanti, col sole che filtra tra le nubi creando un’aberrazione cromatica violacea, come a richiamare il colore di quell’Heat che fa da suffisso al titolo, o l’illuminazione notturna di Ocean drive. Fluido in maniera stoica, sempre sull’attenti e petto in fuori, Ghost da questo punto di vista si può portare a casa solo complimenti.
Need for Speed Heat è il saluto della serie a questa generazione, ma è soprattutto un nuovo inizio non tanto a livello di innovazione, pressoché nulla, quanto a livello di solidità, coerenza e capacità ludo-estetica. Da guidare è qualcosa che può durare anche anni, come un Ridge Racer o OutRun, capace di unire alla semplicità degli input una sensazione di controllo onnipresente e galvanizzante, squisitamente anti-realistica, in un open world bellissimo da vedere e denso di eventi classici ma vari. L’alternanza giorno-notte è nettamente il suo tratto caratteristico, un interruttore che accende e spegne la tensione e l’attenzione della polizia nei nostri confronti, sentendosi tanto braccati quanto spavaldi nello sfidare l’autorità per il gusto di farlo. La trama e la recitazione in generale sono a livelli di trash importante, con qualche momento decisamente agghiacciante, ma l’importanza di avere una struttura narrativa, anche di bassa lega, è fondamentale in un prodotto del genere. Ghost centra il bersaglio, rilancia la serie tirando un respiro profondo e ripartendo dalla sua comfort zone, sperando che la nuova generazione porti la serie verso un nuovo, esaltante livello creativo.