Le sensazioni espresse nell’ultima anteprima di Nioh si sono rivelate esatte: una delle sue caratteristiche principali non esisterebbe senza la serie Souls, ma allo stesso tempo Team Ninja è riuscita a infondere così tanta personalità alla sua creatura – nello stile come nel gameplay – da far dimenticare qualsiasi sudditanza. Ciò non significa che non farò raffronti con l’opera di Miyazaki, anche perché è presumibile che molti giocatori vengano da lì, attirati dai tratti comuni e, magari, anche dalle differenze già note. Qui su TGM abbiamo più volte scritto degli influssi positivi dei Souls anche in termini di mercato, e per certi versi Nioh rappresenta uno dei risultati più alti: non più le caratteristiche un po’ trattenute e asfittiche del terzo Ninja Gaiden (una porcheria inenarrabile, ndKikko), ma un gameplay “rotondo”, che spazia senza paura in un arcipelago di notevole complessità, capace di unire i duri meccanismi dei dark fantasy di From Software agli stilemi degli Action RPG occidentali. Parole grosse, me ne rendo conto, ma assolutamente ponderate.
WESTERN SAMURAI
La trama e il background di Nioh sono in equilibrio tra cupezza e tono quasi scherzoso, alla maniera che piace nel Sol Levante e, anche per questo, risulta piacevolmente desueta nel panorama occidentale. Gli eventi prendono spunto dalla figura storica di William Adams, primo marinaio inglese a sbarcare in Giappone nel 1598, cui è stata cucita addosso una storia a cavallo tra vicende reali e fantasiosissime invenzioni: Adams è stato realmente il consigliere dello shogun Tokugawa Ieyasu per la costruzione di una flotta, ma Nioh lo immerge in una mistica storia di demoni malvagi e spiriti benigni della mitologia giapponese, sullo sfondo di una colossale guerra fra clan rivali. Samurai più o meno maledetti si frappongono sulla nostra strada, mentre manifestazioni del regno oscuro Yokai iniziano a invadere tutto il Giappone, corrompendo intere schiere di guerrieri insieme ai loro padroni. Diverse figure ci saranno amiche, tra cui il celebre condottiero Hattori Hanzō (sì, proprio quello che ha ispirato l’omonimo personaggio di Kill Bill), e andranno a popolare una dopo l’altra il “punto di ritorno” ove sostare dopo le missioni, mettendo a nostra disposizione la loro esperienza per fare di noi (qui la finzione si ricongiunge alla realtà dei fatti) il primo “western samurai” della storia. Accanto a William troveremo gli Spiriti Guardiani, perfetti esponenti della dualità tutta nipponica tra docilità e potenza ferina, nella forma di bestie e bestiole che si trasformano in deflagranti armi elementali; dall’altra parte ci sono gli Oni (i demoni giapponesi, appunto) e la pura perfidia, insinuatasi fra le menti deboli degli Shogun per alimentare la guerra.
La trama e il background di Nioh sono in equilibrio tra cupezza e tono quasi scherzoso
LA FILOSOFIA DEL KI
Prima di arrivare al concetto di “Ki”, spiegare le varie posture di combattimento e via dicendo, è bene ribadire gli indubbi punti di contatto con i Souls. Anche stavolta occorre tornare alla ricerca delle importantissime risorse perdute (in questo caso gli Amrita, custoditi dallo Spirito Guardiano) in mezzo a nemici che vengono malignamente rigenerati dopo ogni nostro decesso, fatto salvo per alcuni miniboss, in punti precisi degli scenari; allo stesso modo, i Templi sono parenti strettissimi dei falò di Dark Souls o delle lanterne di Bloodborne, fungendo da punti di salvataggio e hub multifunzione. In Nioh non è possibile spostarsi istantaneamente dall’uno all’altro, ma la minore dimensione delle mappe rende la scelta più che opportuna e, salvo rari casi, non è affiancata da una collocazione troppo cervellotica dei Templi. Da qui in poi, però, è facile cogliere tutta una serie di piccole e grandi differenze: pregando nel Tempio è possibile fare crescere gli otto attributi e accedere a una parte delle tante funzioni accessorie, per vendere oggetti in cambio di Amrita, cambiare/richiamare lo Spirito Guardiano, evocare un giocatore alleato, cambiare benedizioni Kodama (piccoli perk, per migliorare il recupero di oggetti o risorse) o ancora costruire gli strumenti del Ninja (shuriken, unguenti, granate e polveri varie) e della magia Onmyo (boost elementali per lame potenziate o proiettili d’energia). Tutte le altre mansioni sono affidate al menu di stato “in game”, per sbloccare e personalizzare abilità in cambio degli appositi punti; in alternativa ci si appoggia alla mappa generale, laddove si può fruire delle varie missioni di training, talvolta quasi al livello di boss fight, per assicurarsi le skill più potenti, oppure accedere alla forgia per agire sulle caratteristiche dell’equipaggiamento, crearlo, cambiarne l’aspetto o provare a mutarne le caratteristiche sulla base di due modelli (Affinità d’Anima).
Nioh ha persino i suoi personali “Mimic” e non perde mai di vista i Souls anche nel level design (con minori risultati, questo va detto), ma una volta entrati in combattimento le diversità diventano rilevantissime. Innanzitutto abbiamo l’energia Ki, per moltissimi versi simile alla stamina ma recuperabile con il giusto tempismo, in modo più sfaccettato di quanto avviene con il ripristino del sangue in Bloodborne. Pian piano il “ritmo Ki” deve essere assimilato come punto centrale del sistema di combattimento, con la pressione ormai istintiva del dorsale destro e, ancor meglio, con le skill che aiutano a padroneggiarlo. Tutte le tipologie di armi presenti presentano i propri rami di abilità, che in molti casi si intrecciano al ritmo Ki per un più efficiente recupero dell’energia, praticamente obbligato nei combattimenti più difficili o per superare alcune barriere apparentemente indistruttibili. Un altro strato di complessità è restituito dalle tre impugnature da cambiare durante l’azione, anch’esse soggette ai potenziamenti delle armi, all’uso della Ki e a ulteriori elementi che aggiungono ricchezza senza, peraltro, diventare invasive o mal poste.
Nioh ha persino i suoi personali “Mimic” e non perde mai di vista i Souls anche nel level design
In diversi casi ho pensato che, somiglianze della capigliatura a parte, le prime avventure dello Strigo siano state in qualche modo d’insegnamento: al di là delle diverse impugnature del primo The Witcher, mi è sembrato il caso anche delle citate abilità Ninja e Onmyo, legate a un personaggio unico che, a differenza dei Souls, non può diventare l’equivalente di un vero Stregone (o Ladro). William può mettere nell’inventario rapido shuriken, pesanti kuni, talismani per potenziare le armi e altro ancora, accanto ad altri oggetti che mimano maggiormente lo stile dei Souls: si tratta di aiuti anche importanti per il combattimento, ma il loro sviluppo è un filo più contenuto rispetto a una classe magica vera e propria, o anche a una fondata prevalentemente sulla distanza. William, tuttavia, può potenziare Destrezza e Magia per infliggere danni più cospicui con tali strumenti, o anche diventare un arciere o fuciliere più efficiente agendo sull’attributo Abilità. Dal canto suo, il meccanismo di scaling è meno immediatamente riconoscibile e, dunque, più interessante da scoprire: nel mio caso ho sfruttato la notevole efficienza dell’accoppiata Cuore (che governa la quantità di Ki, oltre a un miglior uso della Katana) e Abilità, capaci di irrobustirsi a vicenda con il passare dei livelli. A questo va aggiunto il loot à la Diablo che interessa tutte le armi e i pezzi di armatura, non ancora citato perché strombazzato fino allo spasimo, insieme agli Spiriti Guardiani e ai loro diversi benefici in battaglia, la cui gamma può essere ampliata attraverso le missioni secondarie. Durante un breve momento di furia, reso più lungo dalle uccisioni, i nostri simpatici “animaletti” avvolgono l’arma con poteri elementali e vari benefici tattici, spesso di grande utilità di fronte ai boss opzionali e di fine livello. In questo senso, i mostri più importanti sono concepiti per esaltare l’uso della Ki, delle impugnature e degli Spiriti Guardiani, con una discreta varietà fra enormi tank, rapidi guerrieri (o guerriere) e invenzioni più specifiche e fantasiose, tutte ovviamente nel territorio degli spoiler.
ORIZZONTI DI FUOCO
Sul lato tecnico di Nioh voglio passare a grande velocità, senza impantanarmi sui dettagli meno eccelsi. Tra i difetti relativi ci sono il frame rate non sempre impeccabile, le animazioni all’orizzonte alleggerite nelle immagini al secondo (effetto stop-motion, insomma) e una varietà di nemici e scenari che non può competere con il principale maestro, a maggior ragione dopo l’evoluzione dell’ultimo Dark Souls. Se, però, per modellazione poligonale e texture vale un discorso simile, sullo stile sono rimasto pienamente soddisfatto: a lato di qualche eccezione, come le missioni secondarie o gli assolati training del Dojo, la palette cromatica risulta accesa pur restando immersa in una notte senza fine, graffiata dalla pioggia e dalla spada di William, con i coloratissimi Oni sempre pronti a spuntare dall’ombra.
Nioh è un mix inestricabile di caratteristiche giovani e altre addirittura ventennali
Nioh non prende il posto dei Souls nel mio cuore, ma riesce a costruirne uno tutto suo. Anche in una forma un po’ grezza sotto il profilo tecnico, e ancora senza PvP, il gioco di Team Ninja riesce a rapire con l’eccellente sistema di combattimento e la vasta offerta di gioco, sul filo dei livelli consigliati o in una più brutale – ma sempre metodica – run suicida. L’impianto è apparentemente canonico, suddiviso in una serie di scenari di missione (oggi addirittura distintivi al dilagare degli open world), in un quadro tuttavia così complesso e “giocattoloso” da far perdere di vista i difetti di varietà, oltre alle evidenti ispirazioni. Se è vero che Dark Souls è riuscito a svegliare il mercato, Nioh ne è uno degli esempi più infuocati.