Voglio fidarmi di Ridley Scott e crederci: nello spazio nessuno può sentirti urlare. A pensarci bene, non credo la frase sia stata davvero scritta da Scott, più probabile fosse sole uno strillo sulla locandina concepito da uno stagista, ma poco importa, è il concetto che mi preme sia vero. Perché, giocando a Observation, nelle ultime serate ho riempito l’ignoto cosmico con urla, strilli di tensione e volgarità di sicuro non ripetibili su queste pagine, e voglio sperare che nessuno abbia potuto essere testimone diretto della mia condizione psicofisica traballante.
IL PIÙ INTELLIGENTE DELLO SPAZIO
Tra le tante cose fatte in oltre tre decenni passati con un pad in mano davanti a uno schermo illuminato, mai mi era capitato di dover immedesimarmi in una Intelligenza Artificiale e devo ammettere che l’esperienza è stata abbastanza traumatica. Parto dal presupposto che l’intenzione di No Code fosse proprio questa: costringere l’uomo dall’altra parte dello schermo a sopprimere una parte del suo funzionamento e convincersi di essere una macchina. L’incipit è di quelli classici, ma il ribaltamento di prospettiva è immediato. C’è una stazione spaziale in avaria nello spazio, un misterioso incidente che ha coinvolto l’equipaggio e un solo essere umano rimasto a cercare di capire cosa sia successo, la Dott.ssa Emma Fisher. Fino a questo punto Observation assomiglia a tanti esempi di fantascienza, dall’ovvio Gravity al suo epigono Adrift, passando per il classico 2001: Odissea nello spazio, almeno finché non diventa evidente che il ruolo riservato al giocatore non è quello del sopravvissuto, ma quello dell’ambientazione. Il mio trauma non è maturato nei panni della dott.ssa Fisher, ma in quelli di SAM, l’Intelligenza Artificiale che gestisce la stazione orbitante.
MAI MI ERA CAPITATO DI DOVER IMMEDESIMARMI IN UNA INTELLIGENZA ARTIFICIALE E DEVO AMMETTERE CHE L’ESPERIENZA È STATA ABBASTANZA TRAUMATICA
Il primo impatto è un po’ come le esperienze extra-corporee in cui si ha la percezione di osservare il proprio corpo dall’esterno. Mentre Emma Fisher si muove tra i moduli della stazione, noi
possiamo solo seguirla attraverso le telecamere di servizio, trasferendo alla bisogna la “coscienza” della stazione da un angolo all’altro, per aprire da remoto un portellone o ricavare da un portatile le istruzioni necessarie a sopperire a quei vuoti di memoria condivisi sia da Emma che da SAM. Lo straniamento accompagnato dall’approccio cinematografico funziona nel mascherare quello che di fondo è un gioco semplice rendendolo invece qualcosa di molto più complesso e profondo. Quello che ci viene richiesto, in sostanza, è di scrutare l’ambiente attraverso l’obiettivo della camera e individuare gli oggetti interagibili, come nella più canonica delle avventure grafiche. Per accorgersene, però, bisogna riuscire a riflettere su ciò che si sta facendo con
quel giusto distacco che il mix di tensione e claustrofobia negano a lungo, per di più mentre Emma si muove per la stazione e i problemi a bordo assumono contorni sempre più drammatici.
LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI
Poiché il nostro alter-ego, SAM, non è altro che una IA, pura coscienza digitale e onnisciente dispersa sui sistemi dell’intera stazione, le nostre effettive possibilità di interazione sono limitate ai dispositivi connessi in remoto con la stazione stessa. Ma c’è un altro elemento con cui è indispensabile interfacciarsi: Emma. Quel che ne risulta è uno scambio di persona spiazzante: la CPU sta interpretando un umano, mentre a noi viene chiesto di prendere decisioni ed agire come fossimo una macchina. Poiché il ruolo di SAM è principalmente quello dell’assistente di bordo, ciò significa aiutare Emma nella riaccensione di tutti i componenti ancora in avaria dopo il black out iniziale allo scopo di riprendere le comunicazioni con la Terra e chiedere aiuto.
LO STRANIAMENTO ACCOMPAGNATO DALL’APPROCCIO CINEMATOGRAFICO FUNZIONA NEL MASCHERARE QUELLO CHE DI FONDO È UN GIOCO SEMPLICE RENDENDOLO INVECE QUALCOSA DI MOLTO PIÙ E PROFONDO
Gli eventi che hanno portato a questa situazione, tuttavia, non sembrano aver avuto origine da un malfunzionamento tecnico, ma da qualcos’altro decisamente meno decifrabile e razionale. Fin dall’inizio
il funzionamento di SAM è condizionato da strane interferenze e frammenti di messaggi che paiono riferirsi alla necessità di portare la dottoressa Fisher da qualche parte. Entrambi, SAM e la superstite, sono poi vittime di strane visioni, composte da esagoni e altri simboli ben più indecifrabili, la cui comparsa porta a dei black-out narrativi. Mentre la trama cambia rotta lentamente, ma inesorabilmente,
dal thriller fantascientifico verso l’horror di stampo metafisico, anche le meccaniche di gioco virano, non in maniera però altrettanto convincente. La prima svolta avviene al termine della fase introduttiva in cui SAM riesce a riattivare la funzione che gli consente di controllare a distanza le sfere. Questi oggetti metallici che si muovono grazie a brevi sbuffi di CO² fungono da estensioni del sistemo operativo, sonde attraverso le quali è possibile raggiungere aree o oggetti fuori dalla portata delle telecamere. La prima opportunità che ci viene concessa per saggiarne il funzionamento è
una suggestiva “camminata” all’esterno della stazione, e se dal punto di vista dell’impatto cinematografico questa sequenza funziona senza dubbio alcuno, da quello pragmatico è esemplificativa di come Observation fatichi a comunicare i suoi obiettivi e i suoi punti di interesse al giocatore. Il che non vuol dire che avrebbe dovuto adottare uno di quei sistemi che evidenziano in maniera fin troppo evidente e pacchiana il prossimo elemento su cui concentrarsi, ma vagare tra i bracci della stazione per decine di minuti in cerca di quel danneggiamento specifico che Emma ci chiede di verificare
finisce per rompere quel meccanismo di immedesimazione che il gioco aveva costruito con tanta fatica, impegno e precisione fino a quel momento. Nella seconda fase del gioco, troppo spesso ci si ritrova abbandonati di fronte a un compito senza alcun tipo di indicazione su come affrontarlo, sia che si tratti di una ricerca, sia che si debba risolvere un rompicapo. È una conseguenza della perdita di dati di SAM: risulterebbe altrimenti poco credibile che una IA non sia a conoscenza del funzionamento di protocolli sotto il suo diretto controllo. Un aggancio che concorre alla coerenza generale dell’opera, insomma. D’altra parte non è strano che gli sviluppatori non vogliano spiegarci i rompicapi che ci chiedono di risolvere.
Meno facile da digerire è l’indecifrabilità dell’interfaccia in queste situazioni: prima di capire “cosa” fare, bisogna capire il “come”, e spesso questa è la parte più difficile.
MENO FACILE DA DIGERIRE È L’INDECIFRABILITÀ DELL’INTERFACCIA IN QUESTE SITUAZIONI: PRIMA DI CAPIRE COSA FARE, BISOGNA CAPIRE IL COME, E SPESSO QUESTA È LA PARTE PIÙ DIFFICILE
A quel punto, lassù, nello spazio profondo, nel nero squarciato di luce,
ci si sente davvero tanto soli, perché quel computer di bordo a cui vorremmo tanto chiedere un aiuto siamo noi. E la nostra compagna umana, invece di fornirci indicazioni, strilla per il nostro malfunzionamento, proprio come ogni umano fa di fronte a un PC che si rifiuta di funzionare a dovere.
Non ci resta allora che consolarci con la magnificenza che ci circonda. La stazione silenziosa, nel sua bianco algido e metallico, è il risultato di un lungo studio architettonico da parte dei No Code che ha dato ottimi frutti. Buona parte dell’atmosfera, tuttavia è costruita dalle lame di luce proveniente dal sole che tagliano gli ambienti, segnando confini luminosi col nero assoluto in cui è immerso il lato luminoso dell’esistenza. E forse è questo il paradosso verso cui voleva portarci lo studio scozzese: immersi nelle reti neurali sintetiche di un Intelligenza Artificiale, non è la logica ad abbagliarci, ma quella bellezza che solo un umano è in grado di cogliere.
Preso come un’esperienza cinematografica, Obeservation può tranquillamente essere considerato uno dei punti più alti del genere. Merito di una fotografia pazzesca e di una riproduzione maniacale dell’ambiente, che sostengono una narrazione solida e snervante, ma comunque in grado di instillare tensione dal primo all’ultimo minuto di gioco. Sul piano delle meccaniche, invece, qualcosa non ha funzionato fino in fondo e almeno una parte delle urla che ho lasciato a vagare nello spazio non sono state di terrore, ma di frustrazione per rompicapi o situazioni mal congeniati.