Out of Hands – Recensione

PC

Se pensate che i deckbuilder non abbiano più segreti per voi, so io chi chiamare: Yang Zeyu. Il producer di Game River, lo studio di Mechabellum, sa come mandare all’aria le vostre convinzioni con un RPG card game assurdo: Out of Hands.

Sviluppatore / Publisher:Game River / Lightning Games Prezzo: € 17,49 Localizzazione: Assente Multiplayer: Assente PEGI: ND Disponibile su: PC (Steam) Data di lancio: Già disponibile

Probabilmente nel processo intaccherà anche la vostra sanità mentale. Con me è andata così, ma non è che fossi perfettamente in bolla di mio quindi com’è che dicono gli anglofoni convinti? Who cares? Ma sì, futtitinni: Out of Hands è un trip allucinante, ne vale la pena.

Audace. A volte inquietante, altre disturbante. A tratti oscuro in un modo che aliena, quelle mani te le senti spuntare davvero dalla faccia. Geniale, perché tutto si può dire tranne che non lo sia. E surreale, anzi onirico giacché il protagonista è intrappolato tra incubo e realtà dopo la perdita di una persona cara. Dolore. Sofferenza. Disperazione. Frammenti dell’uomo che fu lo tormentano durante la sua lotta contro le emozioni e i traumi interiori che lo dilaniano, mentre cerca una via d’uscita da un mondo misterioso e angosciante, scavando nel profondo alla ricerca di ricordi.

MANI FUORI CONTROLLO

No spoiler, sarebbe un delitto rovinare un gioco così incentrato sul racconto, una componente fondamentale di un’esperienza che rifugge le convenzioni. Perché ad Out of Hands non ci si deve approcciare rigidamente, non è un videogame classico, serve flessibilità mentale. Sì, è un card game e ci sono le battaglie con le carte, ma è anche un’avventura/GDR. Ha dei livelli, o meglio dei sogni, ambientazioni derivate dalla memoria del protagonista, rappresentazioni contorte di luoghi reali disegnate a mo’ di graphic novel horror underground. L’esplorazione è libera, non lineare, la sensazione di cercare qualcosa di cui non si conosce la forma è costante.

ad Out of Hands non ci si deve approcciare rigidamente, non è un videogame classico, serve flessibilità mentale

Ogni sogno nasconde frammenti di storia, dialoghi intestini, oggetti da combinare. Il mistero è la vera forza motrice, ben più della progressione. In questi frangenti si ha la sensazione che in qualunque momento possa accadere qualcosa, qualsiasi cosa, a patto che non sia preventivabile. È questo sudario d’ignoto a rendere intensa e perciò memorabile ogni sessione, almeno finché si trovano gli stimoli a loggare in un mondo che, con la sua coerente incoerenza e la sua spiazzante capacità di confondere i sensi, qualcuno troverà eccessivamente fastidioso.

Out of Hands

Ogni scenario è ricco di punti d’interesse e sorprese.

Finché c’è una storia a tinte nere da portare a galla però ci si torna con piacere. Il problema nasce quando la trama si esaurisce: non c’è un vero gameplay loop a cui aggrapparsi, c’è soprattutto il racconto ed è coinvolgente, toccante nei temi trattati e non banale nell’esposizione. Questo mai, in nessuna occasione e in alcun modo: se non è borderline non piace, a Zeyu. Sarebbe interessante fare due chiacchiere col suo psicanalista. Gli chiederei se il producer abbia mai manifestato, in passato, l’intenzione di creare un card game dotato di un editor con cui assemblare il volto del protagonista. Oppure se ci si può fidare del consiglio di indossare le cuffie per godersi ogni sfumatura sonora, un’altra roba che ti sorprende soltanto finché non capisci che, in Out of Hands, niente ha senso e perciò tutto ha senso.

IL CUORE LUDICO DI OUT OF HANDS

Devi abbandonare ogni preconcetto come si fa con le zavorre se vuoi abbracciare questo bizzarro mondo. Quando ci riesci, ti accorgi che puoi persino abituarti al movimento perpetuo, ora ansiogeno, ora ipnotico, di quelle mani che hanno preso il posto di occhi e bocca sul viso che hai creato. D’un tratto tutto acquisisce plausibilità pur non essendocene traccia, come l’hub-appartamento diegetico da cui ci si può avventurare nel prossimo sogno. Capisci che dietro lo stile artistico volutamente disturbante, dietro la narrazione frammentata il cui ritmo è scandito dai criptici – forse troppo, a volte – interventi delle tre entità interiori Logic, Mystery e Action, le quali si contendono il controllo della mente e dell’Inclinazione del protagonista, si celano motivazioni concrete e un card game autentico.

In basso a sinistra il “volto”, al centro le mani e sulla destra le carte selezionabili, che cambiano quando se ne prende una (2/3 energia disponibili). A centro schermo invece i nemici minori, in alto quelli principali.

Le mani, sempre loro, devono afferrare fisicamente le armi, oggetti di uso comune come fogli o tazze, e poi vanno usate per colpire i parti della psiche del nostro alter ego; a patto di possedere sufficiente Energia e arti liberi (se ne possono avere più di due, alcuni non sono nemmeno umani!), certo, altrimenti si deve terminare il turno e subire i colpi dei nemici. Questi sono la concretizzazione delle nostre emozioni e, al netto di effetti strani o abilità particolari, si possono dividere in minori, posizionati a metà schermo, e principali, più in alto. In teoria i primi vanno eliminati se si vuole poter colpire i secondi, ma tra armi ranged e carte particolari, si può aggirare l’ostacolo.

la costruzione del mazzo e del volto si trasforma da esercizio strategico a modo per mettere ordine nel caos

Oltre al deck da arrangiare in base alle carte sbloccate col progression system e alle Maledizioni, c’è una meccanica di personalizzazione del volto di cui piace il fattore rischio-ricompensa, rappresentato da skill speciali (cura il cuore di X HP) al costo di una riduzione dei nostri punti di vita. Sbloccando strumenti e carte, a poco a poco la costruzione del mazzo e del volto si trasforma da esercizio strategico a modo per mettere ordine nel caos. Anche diminuire i malus legati all’aumento della difficoltà degli incubi aiuta a non farsi sopraffare.

UNA VISIONE CHE RESTA ADDOSSO

A reggere l’impalcatura c’è una direzione artistica composta da stop-motion e collages fotografici, con mani a formare figure e scenari pregni di misteri. L’estetica fuori dagli schemi – fuori di testa, fuori scala, fuori controllo (in inglese traducibile in out of hand, ndr) – funziona a meraviglia nel creare disagio e fascinazione insieme, è fondamentale nel rafforzare l’impatto emotivo di un’esperienza in cui la vera star è l’atmosfera costantemente inquietante. Peccato che, sul lungo periodo, l’impianto ludico fatichi a sostenere l’ambizione artistica e narrativa dell’opera di Zeyu. La varietà delle carte e delle sinergie è discreta ma non abbondante come ci hanno abituato i migliori card game: quando l’entusiasmo per la novità inizia a scemare, infatti, ci si accorge come situazioni e combinazioni tendano a ripetersi.

Parat… ehm quasi.

Eppure sarebbe ingeneroso giudicare Out of Hands solo per ciò che manca, come un deckbuilder qualunque. Nella sua unicità è pensato come un’esperienza breve e incisiva, un viaggio attraverso il subconscio umano che mira a restare impresso nel cuore piuttosto che a rapire per un tempo indefinito come farebbe un roguelite.

È un viaggio attraverso il subconscio umano che mira a restare impresso nel cuore piuttosto che a rapire per un tempo indefinito

La manciata di ore necessarie a vederne i diversi finali sono più che sufficienti a lasciare un segno indelebile, il gameplay loop non è necessario. Forse arriverà con l’update gratuito di giugno che aggiungerà una modalità sfida ripetibile, ma perché guardare tanto in là? Oggi è già il giorno giusto per giocare ad Out of Hands, uno dei card game più assurdi degli ultimi anni. A mani basse.

In Breve: Out of Hands è una creatura rara. È imperfetto e perfetto al tempo stesso, scomodo di proposito, ma soprattutto profondamente affascinante se si è pronti a lasciarsi stupire. Si tratta di un esperimento narrativo travestito da deck-builder, che trova nel suo immaginario malato e nella narrazione onirica un’identità fortissima e, proprio per questo, non adatta a tutti. Non sarà il card game della svolta per via di progressione o longevità limitate, ma per chi ama le esperienze uniche che lasciano addosso una sensazione strana, come fanno quei sogni disturbanti di cui al mattino si ricordano solo alcuni frammenti, è un viaggio surrealista che vale assolutamente la pena intraprendere.

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: Ryzen 7 7800X3D, Radeon 7800XT Nitro+, 32 GB RAM DDR5, SSD NVMe
Com’è, Come Gira: Requisiti abbordabilissimi, niente problemi di fluidità e gioco godibile su qualsiasi configurazione a patto di masticare l’inglese. Se della direzione artistica s’è già detto, una menzione speciale la merita il comparto audio: grazie a sussurri, rumori ovattati e melodie minimali volutamente ripetitive, amplifica il senso di smarrimento e claustrofobia.

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Pro

  • Un’estetica inquietante e originale / Narrazione adulta, profonda e mai scontata / Sistema di combattimento intrigante e coerente con il contesto

Contro

  • Longevità e progressione limitate / Può risultare disturbante o respingente, non per tutti
8.5

Più che buono

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