Overwatch su Switch è al limite della legalità per quanto riesca a trasformarsi in sostanza stupefacente, sempre reperibile, velocissima a entrare in circolo e diffondersi nell’organismo, potenziando la coordinazione oculo-manuale. Una dipendenza da gameplay a portata di wifi zone che, a 3 anni dal lancio su PC, PS4 e Xbox One, arriva sui lidi Nintendo miniaturizzata, nelle dimensioni e non nei contenuti, per iniettare nuovi utenti nel circolo virtuoso di uno dei fenomeni della generazione. Trenta fotogrammi sacrificati sull’altare della conversione per mantenere un colpo d’occhio nitido, limpido, coloratissimo, con i 720p dello schermo di Switch pronti a diventare palcoscenico per le folli performance degli eroi Blizzard. Pensavo fosse un’analisi tecnica, invece è stato vero amore videoludico.
TOUR ITINERANTE
Le schermaglie senza esclusione di colpi di Overwatch sono un po’ un never-ending tour formato multiplayer online e questa dimensione portatile permette di esibirsi con tempi e modi totalmente diversi rispetto alle versioni casalinghe. A un primo contatto, ritrovarsi tra le mani un FPS così frenetico è risultato insospettabilmente immediato e poco traumatico, anche a livello ergonomico. Per carità, sia chiaro, niente a che vedere con la combinazione regina “mouse e tastiera” o con un comodo pad, ma gli analogici dei Joy-Con corrono bene, sono reattivi, e il giroscopio è un modo incredibilmente immediato per aggiustare la mira di quei millimetri che bastano per mandare un avversario nel purgatorio della kill cam (Splatoon insegna, in questo caso).
Nonostante l’intensità travolgente di cui Overwatch è capace, la console regge l’urto
Nonostante l’intensità travolgente di cui
Overwatch è capace, la console regge l’urto, soprattutto se si inizia a prendere la mano con eroi che non pongono troppa enfasi sulla precisione (personalmente Reaper si è rivelato tra i più comodi e letali in assoluto), con le dita che soffrono un po’ soprattutto con quei personaggi che offrono un ampio spettro di combinazioni e abilità. Una volta però dentro il match, in attesa che il countdown si esaurisca per passare all’azione, immersi in una coltre di trance agonistica che si può tagliare con un coltello, si capisce quanto la natura di questo eccezionale titolo non sia stata tradita in questa conversione. I 30 quadri al secondo possono essere limitanti su carta, ma
sul campo tutto è chiaro, complici anche le ridotte dimensioni dello schermo che contribuiscono a levigare questa mancanza, ben più accentuata giocando su TV. Certo, il livello di dettaglio è molto più contenuto, gli elementi distruttibili drasticamente ridotti, ma l’importante in questo caso era riuscire a
mantenere la risoluzione nativa di Switch e preservarne l’irrinunciabile pulizia, missione assolutamente compiuta. Un’opera che diventa perfetta per partite veloci, anche se è francamente difficile limitarsi a una toccata e fuga, portando subito a una crisi d’astinenza da esaltazione, sempre divisi tra la volontà di aiutare la squadra e cercare l’azione solitaria, eclatante, da play of the game. È un gioco a cui è difficilissimo dire di no, soprattutto se libero dei limiti spaziali imposti da console casalinghe e PC.
È un gioco a cui è difficilissimo dire di no, soprattutto se libero dei limiti spaziali imposti da console casalinghe e PC
Al tempo stesso facile da imparare ma tatticamente profondissimo, sfaccettato, da interpretare in modo anarchico (prendendosi magari qualche sacrosanto insulto) o perfettamente coordinato; sembra nato per una fruizione così libera e libertina, sicuramente distante dalla dimensione competitiva in cui si è evoluto, più naïf, forse spensierato, perfetto per chi non aveva avuto ancora l’occasione di entrare in questa community. Community con cui entrare in contatto subito dopo aver riscattato il codice per 3 mesi di Nintendo Online, reindirizzati direttamente ad un matchmaking non sempre velocissimo ma solido, praticamente mai interrotto da disconnessioni o lag (durante la prova ho sempre giocato in condizioni di rete ottimali, va detto). Un party in cui ubriacarsi di gameplay senza il fastidio dei postumi, 6 contro 6 in arene dall’estetica morbidissima, gioiosa, capace di cogliere l’essenza dei luoghi a cui si ispira per poi reinterpretarli e renderli teatro di agguerrite conquiste o estenuanti difese, dove ognuno può fare la sua parte a dispetto del talento e della manualità, divertendo sempre e chiunque.
La sensazione è che questa versione sia stata fortemente voluta da Blizzard, che è riuscita a portare la sua punta di diamante della generazione là dove mancava e dove poteva trovare una nuova fetta di pubblico. Se sarà stata un’operazione fuori tempo massimo saranno i dati di vendita a dircelo, oltretutto tenendo conto della scelta di
Nintendo di non pubblicizzare l’uscita di
Overwatch sui suoi canali social, come presa di posizione sullo spinoso caso “Blitzchung”, scoppiato proprio nei giorni dell’uscita.
Overwatch su Switch è un lavoro di pregio. Al netto dei limiti hardware, aggirati scendendo a 30 frame al secondo con risultati meno fastidiosi di quel che potrebbe sembrare e abbassando i dettagli senza appannare il colpo d’occhio, lo sparatutto competitivo Blizzard abbraccia la filosofia del “dove, quanto e con chi vuoi” rivelandosi perfetto anche per partite al volo, benedette da un netcode solidissimo. Certo, giocando principalmente in modalità portatile ci vorrà qualche partita per abituare le mani a movimenti non particolarmente adatti all’ergonomia di Switch, soprattutto utilizzando certi eroi, rendendosi però conto che non siamo davanti a nulla di traumatico, a maggior ragione se ci si avvicina all’opera per la prima volta. Una conversione come dio comanda che mira innanzitutto a raggiungere nuovi giocatori, tirandoli dentro a quello che è sicuramente uno dei cult della generazione.