Diversi sviluppatori indipendenti hanno cercato, in questi anni, la quadratura del cerchio in materia di survival online, sulla scia del notevole successo di DayZ e, paradossalmente, anche sulla sua infinita instabilità tecnica. In tutto questo, le cosiddette “Battle Royale” hanno occupato alacremente i pensieri dei videogiocatori: il termine trova una perfetta descrizione nell’omonimo film di Kinji Fukasaku, a sua volta tratto dal romanzo di Koushun Takami, ed è proprio dal fascino di questo modello che Brendan Greene – in arte (o meglio, nel nickname) Playerunknown – ha tratto l’humus d’ispirazione per le sue creature, prima in una “mod alla mod” di DayZ, poi di ArmA 3 e, infine, per il titolo che mi appresto a recensire: Playerunknown’s Battlegrounds, appunto.
WHO WANTS TO LIVE FOREVER
Il tratto di base è, invero, semplicissimo: abbandonati su un territorio ampio ma ben delimitato, i partecipanti alla Battle Royale dovono sopravvivere servendosi di qualsiasi arma e protezione rinvenuta in loco, fino a che non ne rimarrà in piedi soltanto uno (o anche una squadra di due o quattro compagni, nel gioco di Greene).
il numero e la qualità dei ritrovamenti tenderanno a essere maggiori via via che ci si avvicina al centro della zona priva di emissioni
THERE CAN BE ONLY ONE
La regola primaria, pur se non del tutto esclusiva di Playerunknown’s Battlegrounds, è così limpida e pura che è un piacere spiegarla: una vasta area di impraticabilità ambientale, con radiazioni e gas nocivi, si stringe progressivamente attorno ai giocatori, lasciando in balia di un’inesorabile perdita di salute chi si trova all’esterno della cerchia di sicurezza, a sua volta sempre più piccola fino a propiziare lo scontro finale (anche qualora non fosse ricercato dai più cauti, come il sottoscritto). Ciò determina scelte tattiche importanti già nella fase di lancio, mentre ci paracadutiamo da soli o con la squadra sulle mappe di gioco (appena due, al momento, ma enormi e ben costruite): dall’aereo di trasporto non è possibile visionare l’area sicura, e questo fa sì che si sia esposti agli scontri armati o ai pericoli ambientali a seconda di dove si entra in partita. Chiaramente, atterrando al centro della mappa sarà più facile trovarsi faccia a faccia con qualche avversario, considerata l’auspicabile vicinanza alla zona di sicurezza; al contrario, scendere ai margini del territorio significherà incontrare meno contendenti (e dunque sopravvivere di più, accumulando punti), ma anche esporsi più facilmente allo stringersi della zona nociva e, dunque, alla progressiva decurtazione della salute, con la necessità (quasi l’obbligo, direi) di trovare un mezzo di trasporto che non siano i nostri stivali.
esistono giochi di sopravvivenza online meno conosciuti e decisamente migliori nel puro shooting, ma difficilmente troverete qualcosa di rapido e appagante come Playerunknown’s Battlegrounds
Tutto il resto fa parte di un lavoro di fino sulla generazione dei contenuti, che si traduce per i giocatori nell’abilità di equipaggiarsi rapidamente senza rimanere esposti: in generale, soprattutto per chi viene da DayZ, la densità di armi, zaini, protezioni, veicoli e quant’altro (ogni item è dotato di livello e, dunque, di diversa efficacia) è più forte che mai, con qualche importante risorsa in ogni casa o capannone che è possibile esplorare; al contempo, il numero e la qualità dei ritrovamenti tenderanno a essere maggiori via via che ci si avvicina al centro della zona priva di emissioni, così da dar vita a scontri tra giocatori pesantemente attrezzati una volta arrivati al dunque. La cosa bella è che una delle scelte vincenti, con l’area di sicurezza che si restringe progressivamente, è connessa a un semplice limite produttivo: l’incapacità tecnica di definire precisamente le zone da raggiungere, nella forma delle piccole regioni viste nel film di Fukasaku, ha fatto sì Greene optasse per un semplice cerchio che si chiude sulla mappa, determinando la sublime e funzionale purezza dello schema di gioco.
E allora perché, vi chiederete, il voto è un filo trattenuto rispetto alle potenzialità? Le ragioni sono essenzialmente due: da un lato, anche se il mio PC e la mia connessione sono stati inspiegabilmente graziati, troppi giocatori hanno riportato problemi di connettività in seguito all’aggiornamento dello scorso dicembre, con lag e conseguenze sul frame rate potenzialmente fatali per la limpidezza competitiva; dall’altro, e qui ci metto del mio, anche il gioco di Greene e PUBG Corporation non si presenta certo irreprensibile sul piano della realizzazione stilistica e, a ben vedere, nemmeno in termini di giocabilità survival, pur macinando ogni giorno un ugual numero di detrattori e appassionati. Là fuori ci sono giochi di sopravvivenza online meno conosciuti e decisamente migliori nel puro shooting, come Escape from Tarkov, ma difficilmente troverete qualcosa di rapido e appagante come Playerunknown’s Battlegrounds.
Almeno al momento, Playerunknown’s Battlegrounds ha vinto la “battle royale delle battle royale”. Una battuta che può sembrare facilmente d’effetto, ma che ha un suo importante perché: la rincorsa all’oro della sopravvivenza online ha creato brutture e validi titoli, ma solo il gioco di Brendan Greene ha saputo tirare a sé un numero così impressionante di “sopravvissuti”. Al netto di questo risultato, c’è da dire che Playerunknown’s Battlegrounds è ancora lontano da ciò che uno sviluppatore di lunga esperienza potrebbe fare con lo stesso concept, se non altro sul piano del netcode, delle animazioni e del puro shooting; nondimeno, il divertimento di una buona partita può persino far sparire la fatica di cercarla, ammesso che sia questo (io non l’ho avuto, ad esempio) il vostro problema.