Shadow of the Ninja - Reborn – Recensione

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Dopo trent’anni Lord Garuda minaccia nuovamente la terra con il suo esercito di demoni. Purtroppo per lui, il Tengo Project ha resuscitato il vecchio Shadow of the Ninja con tutti i crismi.

Sviluppatore / Publisher: Natsume Atari / INNIN Prezzo: € 30,99 Localizzazione: Testi Multiplayer: Cooperativo offline PEGI: 16 Disponibile su: PS4, PS5, Switch, Steam, Xbox Series, Xbox One

Il Tengo Project è un esempio di consapevolezza del videogioco applicato ai classici, una dote per certi versi comune solo a pochi sviluppatori quali Digital Eclipse e Wayforward. Non un becero ripescaggio di vecchie rom, ma uno studio e una glorificazione dei videogiochi classici che passa attraverso un processo di attualizzazione. Nato a Shinjuku negli uffici di Natsume Atari (dove l’azienda di Sunnyvale non c’entra nulla, ma ho preparato un articolo a proposito per il prossimo numero di TGM che vi invito a leggere), il Tengo Project ha finora donato una nuova, ammaliante luce a Pocky & Rocky, Wild Guns e The Ninjawarriors Again, tre cult a sedici bit.

L’originale Shadow of the Ninja esce per Famicom nel lontano 1990, il che significa che per la prima volta il talentuoso gruppo formato da Shunichi Taniguchi, Toshiyasu Miyabe e Hiroyuki Iwatsuki si è dedicato a rimaneggiare un titolo a otto bit, non limitandosi dunque a correggere e migliorare, bensì a riscrivere completamente l’opera originale. Il risultato è pazzesco, senza mezzi termini.

LA FURIOSA AZIONE ARCADE DI SHADOW OF THE NINJA – REBORN

Shadow of the Ninja – Reborn è praticamente un coin-op mancato, il punto d’unione tra Shinobi e Strider; se fosse uscito nei game center durante gli anni Novanta, lo staremmo ricordando come il Citizen Kane a gettone della sua epoca. Sei livelli suddivisi in tre sottosezioni di pura azione arcade vecchio stile, tra piattaforme e combattimenti fino all’immancabile duello contro il boss di turno, uno schema di gioco vecchio stile che stampa sul volto un sorriso vecchio stile, quello con cui ricordiamo le esperienze videoludiche più belle della nostra vita. Che poi il “vero” Shadow of the Ninja, quello del 1990, non era neppure questo indimenticabile capolavoro, conosciuto principalmente come una variante per due giocatori del Ninja Gaiden di Tecmo, orfano però delle atletiche movenze di Ryu Hayabusa e di una maggiore pulizia stilistica.

L’area di gioco è ricca di particolari; nonostante tutto, anche in situazioni simili la leggibilità è assoluta.

Un gioco acerbo già allora, insomma, e questo rende ancora più spettacolare il lavoro di Tengo Project. I fondali un tempo neri come la pece ospitano adesso paesaggi straordinari che raccontano una storia, da colossali macchinari portuali sferzati da un’incessante tempesta ad architetture impossibili, in bilico tra la claustrofobia di opprimenti strutture industriali e la libertà del cielo notturno illuminato da guizzanti neon e esplosioni. Lo scenario ideale per ospitare decine di sprite caratterizzati bene e animati meglio, che sezionano, studiano e ricostruiscono con gran gusto per la teatralità quelli minuti e rozzi del gioco per Famicom in una vera e propria resurrezione, un affresco in chiave bitmap coinvolgente e dinamico.

Se fosse uscito nei game center durante gli anni Novanta, lo staremmo ricordando come il Citizen Kane a gettone della sua epoca

La ricerca stilistica è mozzafiato, amplificata dalla presenza nel team di Iku Mizutani, l’autore della colonna sonora del gioco originale, e complessivamente la grafica sembra venire fuori da un Saturn sotto steroidi. I nostri due guerrieri ninja (Hayate e Kaede, identici in tutto tranne che nell’aspetto) hanno abbracciato anche loro il cambiamento, presentandosi più in forma che mai. Non solo possono ora restare aggrappati alle pareti e percorrerle verticalmente per brevi tratti (una novità che li fa apparire meno imbolsiti rispetto al passato, dove perdevano il confronto con lo scattante collega Tecmo), ma sono in grado di sfruttare un ninpo per estendere la portata dei salti e, all’occorrenza, non si fanno scrupoli a sacrificare parte dell’energia vitale in una deflagrante smart bomb. Ancora meglio, non sono più limitati a usare un’arma alla volta, e padroneggiano contemporaneamente katana e kusarigama. Queste possono essere potenziate raccogliendo apposite sfere mistiche che ne migliorano efficacia e raggio d’azione, destinate però a scaricarsi appena verrà perso un determinato quantitativo di punti vita; un ulteriore livello di complessità, che permette di fare scempio dei nemici a patto di giocare come si deve.

QUANTO MI DURA?

Questa dotazione trasforma lo schema di gioco rendendolo più fluido: la prima arma è rapidissima e deflette i proiettili in arrivo, la seconda può essere orientata per offrire un attacco a medio raggio che attraversa le piattaforme, comportandosi con una versatilità non troppo differente da quella del “raggio serpente” di Turrican. Non è tutto, perché l’arsenale può essere incrementato raccogliendo oltre cinquanta gingilli che si celano spesso nei luoghi più reconditi, e spaziano da semplici iniezioni di punti ferita a roba più estrema come fucili laser, droni sputa fuoco e mitragliatrici gatling.

Per sconfiggere questo boss in poco tempo e entrare in classifica dovrete muovervi come in un rhythm game.

Offrono un numero di cariche limitato e i protagonisti arrivano a conservarne fino a sette nell’inventario, da scorrere tenendo premuto uno dei pulsanti dorsali dopo aver trovato un raro momento di quiete; alla fine di ogni livello gli attrezzi avanzati vengono resi disponibili in un negozio da spulciare prima di ogni partita, dove investire i soldi racimolati per creare un set di attrezzi con cui iniziare d’accapo con un innegabile vantaggio.

La ricerca stilistica è mozzafiato, amplificata dalla presenza nel team di Iku Mizutani, l’autore della colonna sonora del gioco originale

È la strategia ideale per ripercorrere i livelli già superati nella modalità Time attack e scalare le classifiche mondiali, una prospettiva che bilancia la presenza dei crediti infiniti. Un elemento, questo, da sempre divisivo che inevitabilmente banalizza una sfida altrimenti ben calibrata e mai troppo punitiva, tanto che le eventuali cadute nel vuoto vi faranno solo perdere un misero punto ferita al posto di sancire prematuramente il game over. Fortunatamente i più tosti potranno affondare i denti nel livello difficile, una scelta cucita su misura per i videogiocatori di una volta dove i nemici terranno in serbo schemi di attacco nuovi e letali, oltre a rivelarsi più aggressivi.

In Breve: Tengo Project colpisce ancora, stavolta con il suo lavoro più ambizioso. Lungi dall’essere il semplice aggiornamento di un vecchio classico, Shadow of the Ninja – Reborn è un remake a tutti gli effetti realizzato con inventiva e rispetto del materiale originale, una vera e propria riscrittura di un gioco a otto bit passato un po’ in sordina in occidente. Non poteva ricevere un riscatto migliore.

Piattaforma di Prova: Switch
Com’è, Come Gira: Il trionfo della grafica bidimensionale viene gestito molto bene da Switch, senza concedersi cali di fluidità che in un gioco simile significherebbero morte istantanea.

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Pro

  • Un manuale su come si realizza un remake, da seguire scrupolosamente / Tecnicamente splendido / Sfida calibrata perfettamente / Giocare in due è sempre un piacere.

Contro

  • Peccato per i crediti infiniti / Sei livelli non sono molti
9.3

Ottimo

Il retrogamer della redazione, capace di balzare da un Game & Watch a un Neo Geo in un batter di ciglio, come se fosse una cosa del tutto normale. Questo non significa che non ami trastullarsi anche con giochi più moderni, ma è innegabile come le sue mani pacioccose vibrino più gaudenti toccando una croce digitale che una levetta analogica.

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