Partiamo dalla fine, letteralmente: 7.5, il voto di Schrödinger. Al netto della realizzazione prettamente tecnica, un giudizio su Shenmue III vive giocoforza in un limbo, destinato a essere finalizzato in base alla vostra formazione. Se siete videogiocatori dal grilletto facile desiderosi d’azione, ci sono buone possibilità che il gioco non faccia al caso vostro. Avrete letto un po’ ovunque che la serie Yakuza ne ha raccolto il testimone, tuttavia il lavoro di Toshihiro Nagoshi ha saputo modellare ed evolvere il DNA di partenza per renderlo più dinamico e appetibile, svolgendo un lavoro encomiabile.
Potete dunque sottrarre mezzo punticino al voto, e quel che resta sarà un titolo sicuramente discreto: non male, ma potete spendere meglio i vostri soldi. Se invece il vostro cuore è rimasto congelato assieme a Ryo e Shenhua in quella caverna, durante uno dei più celebri cliffhanger della storia dei videogiochi, probabilmente non vi seccherà avere di nuovo a che fare con il ritmo estremamente pacato e con quella monotonia del quotidiano per cui l’opera di Yu Suzuki è conosciuta. In fondo la cosa più incredibile di Shenmue III è la sua stessa esistenza, arrivato tra le nostre mani dopo una pausa durata quasi due decenni. Lo schema di gioco è quello che ricordate, testardamente deciso a restare fedele al proprio spirito, quasi per sfidare un mercato che in diciotto anni è cambiato drasticamente: se vi sentite pronti a un simile ritorno alle origini, quel numerino lì in basso potrebbe rappresentare una trascurabile formalità.
SÌ, MA QUESTI MARINAI LI AVETE VISTI O NO?
Shenmue narra il viaggio di Ryo Hazuki, un giovane giapponese il cui padre viene assassinato a sangue freddo da Lan Di, signore della criminalità cinese tanto forte quanto determinato a mettere le mani su un artefatto dotato di misteriosi poteri.
Se il mondo dei videogiochi è cambiato, a Shenmue non importa più di tanto
Shenmue III ingloba in un unico indicatore resistenza, fame e vitalità, quindi Ryo dovrà avere sempre qualche spicciolo in tasca per acquistare cibi vari e presentarsi al meglio prima di menare le mani, e il denaro va guadagnato onestamente. Il giovane Hazuki non è un guerriero invincibile capace di mettere a ferro e fuoco le strade sconfiggendo orde di cattivi, bensì uno studente di arti marziali svezzato nel dojo di famiglia e destinato a seguire le orme paterne sviluppando il proprio potenziale; per intascare un po’ di pecunia, dunque, toccherà organizzarsi e compiere i lavoretti disponibili, magari arrotondando il tutto rivendendo al negozio locale collezionabili di vario tipo, dalle erbe medicinali alle sorprese elargite dagli immancabili gashapon. E torneremo da loro tra poco, giusto il tempo di proseguire il discorso sulla nobile arte del pestaggio digitale.
KICK, PUNCH, IT’S ALL IN THE MIND
Animato da una sana sete di vendetta, Ryo prima o poi dovrà menare le mani: è un dato di fatto. La curiosità era dunque enorme: Yu Suzuki è l’indiscusso pioniere della lotta poligonale, e all’epoca del primissimo Virtua Fighter non ci pensò due volte ad aprire le porte a un gaijin come Jeff Buchanan (ex marine che in seguitò lavorò anche a Virtua Cop 2) pur di rendere più autentico e vario possibile il know-how marziale alla base del suo fondamentale capolavoro.
In un certo senso, Yu Suzuki ha concretizzato la visione alla base della serie, immaginata inizialmente come spin-off di Virtua Fighter
Nelle prime ore del gioco sono stato sfidato da un avventore annoiato in possesso di informazioni per me vitali, ben disposto a raccontarmi quello che volevo sapere se solo fossi riuscito a batterlo: inizialmente mi ha mandato a terra senza che potessi battere ciglio, ma dopo un allenamento intensivo ho imparato a calcolare bene le distanze, facendogli piovere sulla tempia il peso del mio calcio uragano, atterrandolo ripetutamente e provando una soddisfazione davvero inebriante. Va da sé che, come in passato, il gioco permette di riprovare i combattimenti “critici” in caso di sconfitta, magari concedendo una ritirata strategica verso la più vicina palestra per affinare nuovamente abilità e strategie.
FIGLIO DI UN DIO MINORE
Gli anni passano, ma è sempre opportuno rimarcare che, alla sua uscita, Shenmue era il gioco più impressionante in circolazione, una produzione multimilionaria oggi quasi inconcepibile se eliminiamo dall’equazione il ruolo di prestigio che SEGA ricopriva a fine millennio, guadagnato dominando per anni il capriccioso ecosistema dei game center anche grazie ai suoi incredibili cabinati idraulici. Pur avendo fatto il botto su Kickstarter, Shenmue III è stato creato con una frazione del budget originale, e il risultato si vede. Da parte sua, Suzuki pare essere ancora in splendida forma grazie a una fotografia e a un uso del colore che rapiscono il cuore; il motore grafico, però, non si dimostra altrettanto grintoso e mostra il fianco a sensibili cali di fluidità anche solo ruotando la telecamera, e la prova è stata effettuata su una PS4 PRO.
I modelli dei personaggi sembrano presi di peso dai giochi originali, abbelliti dall’alta risoluzione che, però, non riesce a fare più di tanto
AI MIEI TEMPI I MARINAI ERANO MIGLIORI!
Riagganciandoci all’incipit, è dura separare la pura nostalgia da uno schema di gioco che appariva peculiare e divisivo già diciotto anni fa, specie ora che Shenmue non è più il mostro tecnologico da giocare a tutti i costi, se avevi un interesse anche minimo per i videogiochi. L’atmosfera è eccellente e Ryo resta comunque un protagonista amabile, ma la lentezza di fondo è qualcosa da mettere in conto: scambi di frasi spesso inutili e brevi caricamenti anche solo per ricevere un piccolo saluto al mattino da Shenhua sono nulla in confronto alle indagini in prima persona dove Ryo affronterà più volte il tremendo Inferno Cinese dei Cassetti Infiniti™ mentre esamina armadi e cassapanche, un evento letargico e a volte davvero snervante. Tutto gira attorno alla ciclicità: Ryo deve diventare forte, e per acquisire nuove mosse deve acquistare antiche pergamene a prezzi da rapina a mano armata, il che significa lavorare giorno dopo giorno, mettendo da parte pochi spicci tra un allenamento e un’indagine, ripetendo la procedura ancora, ancora e ancora.
Del resto, si tratta della filosofia alla base di quel “simulatore di vita” che è sempre stato Shenmue, ma resta da vedere se il mondo dei videogiochi è ancora disposto ad abbracciarla…
Ordunque, che volete fare con il voto qui sotto? Lo trasformate in un 7 e in un 8? Per la cronaca, io non lo cambierei minimamente: Shenmue III resta un’avventura appassionante, un appuntamento col destino improrogabile per chi è rimasto criogenizzato in quella caverna, assieme a Ryo e Shenhua, ma lo schema di gioco pacato e ripetitivo non è adatto a tutti i palati. Non lo è mai stato, specialmente ora, alla luce di una realizzazione apprezzabile ma non memorabile. In cuor mio devo confessarvi che sono un po’ preoccupato: Shenmue III non conclude affatto il viaggio di Ryo, e la realizzazione di un nuovo episodio dovrà fare i conti con il riscontro del mercato attuale, stavolta senza appoggiarsi ai ricordi e alla nostalgia che i due episodi originali portavano in dote. Di questo passo, chissà se il povero Hazuki riuscirà mai ad avere la sua vendetta.