Mortal Kombat: una storia sanguinosa – Speciale

Febbraio 1991: Street Fighter 2 arriva come un fulmine a ciel sereno e conquista il mondo delle sale giochi, non riuscendo tuttavia a risvegliare l’animo competitivo dei giapponesi, almeno agli inizi. Gli amici samurai, si sa, sono un popolo caratterialmente timido e restio alle interazioni sociali, quindi, durante i primi mesi, il capolavoro di Nishitani e Yasuda viene sviscerato da un esercito di lupi solitari sotto i petali di ciliegio. Il contrario avviene invece in America, dove la scena competitiva sboccia immediatamente: se non fosse stato per il dipendente di Capcom James Goddard e per le decine di feedback da lui pazientemente raccolti sul campo, forse non avremmo avuto la Champion Edition e la sfilza di aggiornamenti per cui Street Figher 2 è celebre, nel bene o nel male.

Nella terra della libertà e della torta di mele si forma dunque una minuta squadra di sviluppatori alla corte di Midway, decisa a rubare lo scettro dalle mani di Capcom facendo affidamento sulla forza bruta. Nel cuore della tempesta siedono calmi Ed Boon e John Tobias, una coppia con le idee ben chiare. Il primo ha militato per diversi anni nella divisione pinball del colosso a stelle e strisce facendosi le ossa con il football digitale della serie High Impact, mentre il secondo è un disegnatore e grafico d’eccezione, responsabile di alcuni tra i più memorabili sprite che l’industria a gettone americana abbia mai vantato, come il colossale Mutoid Man nel frenetico Smash T.V. di Eugene Jarvis. I numeri sono contro di loro: hanno appena otto mesi e un team di quattro persone per consegnare ai piani alti di Midway Games il titolo che manderà in pensione Ryu e soci, ma fortunatamente sanno bene quello che vogliono fare della loro creatura, ovvero un glorioso tributo ai capisaldi della cinematografia d’azione del decennio precedente come Grosso Guaio a Chinatown o Senza Esclusione di Colpi dell’allora popolarissimo Van Damme.

Nel cuore della tempesta siedono calmi Ed Boon e John Tobias, una coppia con le idee ben chiare

Inoltre il progresso è dalla loro parte, poiché la nuova generazione di PCB sviluppata da Midway (T Unit, la stessa scheda del campionissimo NBA Jam) permetterà di avere su schermo personaggi digitalizzati grandi e ben animati, un risultato dovuto agli anni di studio ed affinamento sulla tecnologia da parte di Warren Davis, il papà di Q*bert. Il gioco quindi prende forma con un sistema di controllo a quattro pulsanti, assieme a un controverso quinto tasto adibito alla parata e dichiaratamente voluto da Ed Boon: questi desiderava donare ai guerrieri del suo futuro successo la massima libertà di movimento, consentendo quindi al giocatore di indietreggiare in qualunque situazione, anche di fronte a un attacco avversario. Poi, siccome la fortuna aiuta gli audaci, il futuro Mortal Kombat (un nome ideato da Steve Ritchie, l’annunciatore dei primi due capitoli) avrebbe introdotto con nonchalance le juggle, un concetto rivoluzionario che oggigiorno diamo per scontato in tutti i giochi di combattimento; un po’ come le combo di Street Fighter 2, la loro inclusione fu involontaria, scovate durante i location test, piaciute e lasciate bellamente nel codice.
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Un po’ come le combo di Street Fighter 2, l’inclusione delle juggle nel primo Mortal Kombat fu involontaria

Poi certo, ovviamente c’è la violenza. Tanta, tantissima violenza: Mortal Kombat viene pubblicato nel 1992, ma non si tratta certamente del primo esponente del genere a sfoggiare una veste grafica digitalizzata, una moda sdoganata da Pit-Fighter di Atari un paio d’anni prima e, nel 1988, introdotta da Rekai Doushi (The Last Apostole Puppet Show) di Homedata, sviluppatore meteora che si sarebbe poi dedicato alla conversione dei primi tre Garou Densetsu sullo Sharp X68000 con il nome The Magical Company. Però la tecnologia al servizio di Midway è parecchi passi avanti rispetto a questi illustri (ok, per Pit-Fighter oggigiorno usiamo ben altri aggettivi, ma reggetemi il gioco) pionieri, e tra animazioni fluide e massicci spargimenti di sangue, Mortal Kombat fa il botto. Merito anche delle famigerate Fatality, ovvero truculente animazioni con cui finire l’avversario in seguito alla vittoria, un elemento fondamentale frutto del brainstorming di tutto il team creativo, con decine di proposte opportunamente vagliate da Boon e Tobias. Un altro fattore importante nella diffusione del gioco è l’affascinante ambientazione che mette da parte il classico kumite a favore di uno scontro ultraterreno tra la terra e l’oscuro regno di Outworld. Un po’ come la collaborazione tra Capcom e il collettivo di mangaka conosciuto come Moto Kikaku aveva donato carattere e personalità a titoli quali Strider o Tenchi Wo Kurao in Giappone, l’unione tra videogioco e la formazione fumettistica di Tobias – matita della serie The Real Ghostbusters prima ancora di entrare nel mondo dei videogiochi – forgia un universo affascinante e ricco, partendo dagli iconici personaggi fino ai dettagli dei singoli stage.

UN SUCCESSO INARRESTABILE

Con un background corroborato da fumetti, libri d’illustrazione e spin-off, analizzare la trama dell’intera saga in questo articolo sarebbe uno sforzo degno di Shao Kahn. Ci interessa piuttosto segnalare che il succo di pomodoro sparso da Raiden e soci fu uno dei principali motivi dietro la creazione del ESRB (Entertainment Software Rating Board) nel 1994, assieme al polverone sollevato da Night Trap per Mega CD, un titolo in realtà decisamente inoffensivo basato sulla difesa di un gruppo di adolescenti (tra cui la scomparsa Dana Plato, star della sitcom Diff’rent Stokes, in Italia Il mio Amico Arnold) all’interno di una casa irta di pericoli tramite l’uso di filmati in FMV. È questo il motivo che condanna l’altrimenti eccellente conversione per Super Nintendo, penalizzata dalla mancanza di sangue (sostituito da schizzi di sudore, bleah!) e dalla presenza di Fatality pesantemente edulcorate a causa dell’intransigente rigore di Nintendo of America, un passo falso madornale che avvantaggia sugli scaffali la versione per Mega Drive, apparentemente censurata ma pronta a liberare il suo lato ferale grazie a un codice che i possessori della macchina SEGA conoscevano come l’Ave Maria! Il gioco, del resto, vede la luce sulla totalità delle console dell’epoca con risultati altalenanti (povero Game Gear, con soli due fondali senza quel bellimbusto di Kano), mentre l’unica capatina su home computer è appannaggio di Amiga, con risultati assai pregevoli nonostante il prevedibile sistema di controllo basato sui vecchi joystick con un solo pulsante. A puro titolo di cronaca, se vi va potete facilmente reperire in rete la demo di un’improbabile versione Spectrum basata sul codice del gioco per Amiga, realizzata in Russia e – ovviamente – assolutamente improponibile!
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Mortal Kombat fu uno dei principali motivi dietro la creazione del ESRB nel 1994 assieme al polverone sollevato da Night Trap

Con un successo travolgente tra le mani, Boon e Tobias alzano la posta in gioco con un seguito che elevava all’ennesima potenza i punti di forza del loro blockbuster. Uscito nel 1993, Mortal Kombat 2 offre un roster composto da dodici personaggi contro i sette originali, tra nuovi volti e sorprese come Reptile, lottatore segreto del primo capitolo, inizialmente concepito come un mix tra Sub Zero e Scorpion, qui dotato di un distinto moveset. Ancora meglio, il team aumenta a dismisura la dose di segreti ed easter egg, abbinando alle classiche Fatality anche le Babality e le Friendship, ovvero il motivo per cui tutte le riviste dell’epoca erano fisiologicamente obbligate a ospitare decine di pagine nelle rispettive rubriche di trucchi e strategie dedicate a ingarbugliate sequenze di comandi per tagliare in due l’avversario o tramutarlo in un marmocchio urlante, donando al gioco un’aura di mistero quasi esoterica con dichiarazioni spesso sfociate nel reame delle leggende metropolitane come nel caso delle famigerate Animality. Mortal Kombat 2 era così pieno di trucchi che la Probe ne inventò addirittura uno tutto suo nella conversione per Mega Drive: giocando con Raiden e selezionando l’apposito trucco, è possibile tramutare lo sconfitto di turno in una versione super deformed di Fergus McGovern (fondatore della compagnia, deceduto nel 2016) durante l’improbabile Fergality. Un successo tale che anche la bacchettona Nintendo of America mise da parte la vena censoria, permettendo che il gioco venisse replicato sul sedici bit della casa di Kyoto in tutto il suo sanguinario splendore.

CADERE E RIALZARSI

Mortal Kombat 3 vede la luce nel 1995, anno in cui le sfide in sala giochi vengono scandite dall’acceso braccio di ferro tutto nipponico tra SNK e Capcom, mentre il fattore “wow” è conquistato senza sforzo dall’impressionante Killer Intinct di Rare, araldo dell’avvento a 64 bit di Nintendo. Proprio per questo la serie appare per la prima volta debole e non più al vertice dello splendore tecnologico dei tempi che furono, nonostante stesse paradossalmente vivendo il periodo di maggior splendore, con tanto di film diretto da Paul W.S. Anderson al cinema. Non aiuta la defezione di alcuni lottatori assai cari ai fan come Johnny Cage o Scorpion, ma in questo caso la colpa ricade tutta sull’uomo dietro gli occhiali da sole: Daniel Pesina (ovvero l’artista marziale che aveva finora impersonato Cage e i vari ninja multicolore) era stato licenziato per essere apparso nella pubblicità di Blood Storm, uno dei tantissimi giochi di combattimento a base di violenza estrema che avevano provato senza successo a salire sul carro dei vincitori. La storia ne ricorda tantissimi, e Blood Storm non è che uno dei più ridicoli, con i suoi improbabili lottatori capaci di smembrare gli avversari durante il combattimento e continuare a lottare anche con il torso tagliato a metà, un po’ come nel suo predecessore spirituale Time Killers, sempre sviluppato da Incredible Technologies e pubblicato da Strata. Pesina non si sarebbe concesso neppure una pausa durante la pars destruens della sua carriera arrivando a essere coinvolto nel terrificante Tattoo Assassins, ovvero la risposta di una Data East ormai alla canna del gas (parliamo addirittura della sua divisione pinball, per essere pignoli) a Mortal Kombat, talmente mediocre da non superare i location test e rappresentare un’indelebile macchia grande come l’Australia sul curriculum di Bob Gale, divenuto amico di Joe Kaminkow durante la progettazione del flipper di Ritorno al Futuro e qui coinvolto come scrittore (?) e produttore esecutivo. Non scherzo: tra le Fatality del gioco spicca addirittura un’argentea DeLorean che investe il malcapitato di turno!
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The King of Fighters e compagni rappresentavano una nuova generazione di contendenti impossibili da contrastare con una manciata di attempati sprite digitalizzati

Tornando a noi, il terzo episodio mostrava comunque diversi tratti potenzialmente interessanti come un tasto adibito alla corsa, una serie di codici forieri di intriganti misteri e l’introduzione delle chain combo, ma era comunque evidente che il futuro della serie aveva bisogno di una svolta fondamentale, anche perché la nuova generazione di concorrenti nipponici era strabiliante, con IP di tutto rispetto che si avvicendavano sul mercato in quello che è ricordato come una sorta di periodo d’oro per il genere. Cyberbots, The King of Fighters, Gekka no Kenshi, Darkstalkers e la serie Street Fighter Zero rappresentavano una nuova generazione di contendenti impossibili da contrastare con una manciata di attempati sprite digitalizzati, quindi Boon e Tobias giocano la carta del 3D con esiti disastrosi. Mortal Kombat 4 si palesa dunque nel 1997, giusto il tempo di porre rimedio al lacunoso roster di MK3 con l’aggiornamento Ultimate Mortal Kombat 3 e con il “best of” Mortal Kombat Trilogy, quest’ultimo solo su console. Purtroppo non si tratta di un debutto in grande stile, giacché il gioco appare subito obsoleto nonostante l’uso del nuovo motore grafico Zeus, sviluppato apposta per lui: presentandosi in sala giochi sotto il fuoco incrociato di Soul Edge, Tekken e Virtua Fighter, viene fatto a brandelli per manifesta inferiorità, ancorato a meccaniche vetuste e tecnicamente inqualificabile.

È la goccia che fa traboccare il vaso: Tobias è frustrato e gli attriti con la direzione di Midway sono tali da giustificare le sue dimissioni. Assieme a Dave Michicich e Joshua Tsui (anche loro veterani della serie Mortal Kombat) avrebbe creato lo Studio Giante nel 2000, solo per realizzare due mediocri giochi per la primissima Xbox, ovvero Tao Feng: Fist of the Lotus e WWE Wrestlemania 21. Senza il vecchio amico e con il mercato arcade oramai giunto a un binario morto, Ed Boon reinventa la ruota nel 2002 resuscitando Mortal Kombat in esclusiva per le console casalinghe con Deadly Alliance su PS2, Xbox e Gamecube (tralasciamo pure la ridicola versione GBA). La formula funziona, e per la prima volta tutti i personaggi vantano movenze differenti e più stili di combattimento, con tanto di armi corpo a corpo e una robusta dose di contenuti extra da sbloccare nella Kripta, sostanzialmente un lugubre negozio dove spendere le monete guadagnate martoriando la CPU. A questo seguono Deception (2004) e il gigantesco Armageddon (2006), usciti sulle medesime piattaforme sotto lo stendardo del more of the same, perfezionando la formula di Deadly Alliance e proponendo una serie crescente di attività secondarie spesso ridicole, da un gioco di scacchi (Chess Kombat) a parodie di titoli celebri come Super Mario Kart o Super Puzzle Fighters. In seguito alla dimenticabile parentesi di Mortal Kombat vs DC Universe (un gioco sostanzialmente rotto, tanto che le combo infinite venivano divulgate sin dai primissimi giorni), Midway Games va in bancarotta nel 2009 e Warner Bros fa incetta dei suoi asset, incluso ovviamente il marchio Mortal Kombat. Dopo la chiusura della quasi totalità dei vecchi studi, Warner Bros mantiene aperta la sola divisione di Chicago ribattezzandola inizialmente WB Games Chicago e subito dopo NetherRealm Studios, conservando Ed Boon come mente creativa. Questo avviene nel 2010: da allora Mortal Kombat è nuovamente risorto con un necessario reboot con cui narrare le gesta dei difensori dell’Earthrealm alle nuove generazioni, e divide il ruolo di titolo di punta con la serie Injustice: Gods Among Us.

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