VR Machine Remix #2

Benvenuti a una nuova puntata della nostra rubrica sul gaming in realtà virtuale. In barba a chi ne sottolinea ogni momento i limiti, di sicuro evidenti ma spesso soverchiati dalla qualità delle esperienze e della relativa, totale immersione, anche questo mese non c’è che l’imbarazzo della scelta: potete mettere a rischio la sanità mentale con i puzzle multidimensionali di A Fisherman’s Tale, correrre a perdifiato nelle psichedeliche piste di Distance, o ancora, in accesso anticipato, mettervi alla guida dei mech di Vox Machinae o scendere nei livelli procedurali del roguelike con grafica anni ’90 Compound. Vi ricordo che recensioni e prove sono tratte dalla quasi omonima rubrica di TGM cartacea, dove i lettori possono trovare gli stessi articoli con il giusto anticipo rispetto alla “figlioletta” online. Buona lettura 🙂

A FISHERMAN’S TALE

C’era una volta un pescatore che viveva in un faro, capace di farvi perdere il senno come nemmeno un allucinogeno.

A Fisherman's Tale (1)Il pedigree produttivo di A Fisherman’s Tale ha sollevato subito il mio interesse, anche prima che il gioco iniziasse a macinare recensioni entusiastiche: il publisher è Vertigo Games, sviluppatore del notevole Arizona Sunshine, mentre al timone del progetto troviamo il piccolo ma talentuosissimo team di Innerspace VR, già capace di dimostrare con la serie Firebird un’elevata nonché indomita volontà di sperimentazione, specie in ambito narrativo e di pura immersione estetica e/o sensoriale. Il nuovo gioco è comunque molto di più: il tessuto si fa più giocabile attraverso una vena enigmistica sorprendente per capacità inventiva, mentre il contesto ambientale si adopera per rompere letteralmente i confini della realtà, operazione addirittura naturale in VR ma che qui, più che in tanti altri casi, sfrutta tutte le potenzialità illusorie di una storia digitale vissuta in prima persona. In entrambi i casi non è esagerato scomodare l’aggettivo “geniale”, pur partendo da una trama apparentemente semplice: dopo essere stato avvertito dell’arrivo di una tempesta, un pescatore che vive in una casetta alla base di un faro deve risalire lo stesso per accendere le salvifiche luci sulla sommità, così da guidare verso la costa una piccola imbarcazione in balia della burrasca. Immediatamente, però, quel che potrebbe apparire banale si rivela sempre più bizzarro e folle, dal momento che il nostro alter ego vive in una sorta di sistema di scatole cinesi a tema marinaresco che si ripetono a varie dimensioni, passando dal perfetto modellino della casa-torre nella nostra stanza alle repliche più grandi che via via ci sormontano, a loro volta visibili dalle finestre o dal tetto.

il nostro alter ego vive in una sorta di sistema di scatole cinesi a tema marinaresco che si ripetono a varie dimensioni

Nel viaggio ci accompagnano alcuni improbabili compagni, spesso al centro dei puzzle ambientali, che insieme alla pacata voce fuori campo (il gioco è interamente in inglese, dettaglio importante per la storia e le stesse indicazioni degli enigmi) ci guidano nell’uso degli oggetti in una scala più grande o viceversa – con l’aggiunta di libere associazioni di idee studiate per complicare ulteriormente il quadro. Agendo sul modellino ci accorgeremo subito che le azioni vengono replicate nel mondo sovrastante, potendo far cadere, ad esempio, un utensile nella casa giocattolo solo per ritrovarci una versione ingrandita negli ambienti che ci circondano. In effetti mi scoppia il cervello anche solo nello spiegazione delle regole, e A Fisherman’s Tale è proprio così: gentile nella presentazione, ma sensorialmente complessissimo in quello che possiamo sperimentare stanza dopo stanza. In questo caso sento di poter persino perdonare alcuni limiti, senza nemmeno pensarci su: la durata è assai scarsa, nel mio caso meno di tre ore, le opzioni grafiche inesistenti e il sistema di controllo limitato al teletrasporto, con la peculiare possibilità di allungare le mani a una certa distanza, visto che noi stessi siamo dei pupazzi. A conti fatti, però, la misura di ogni cosa è perfetta così com’è: un’esperienza che potremmo definire “psichedelica” non per la presentazione visiva, invero realizzata in un grazioso stile cartoon, ma per la natura stessa di ciò che ci troviamo a vivere. Imperdibile, per come la vedo io.

Piattaforme: HTC Vive, Oculus Rift, PS VR, Windows Mixed Reality
Controlli: Vive Controller, Oculus Touch, PS Move, controller compatibili WMR
Comfort: Più che buono
Prezzo: 14,99€

Voto: 90

DISTANCE

Il corpo cibernetico si flette sulla macchina, fasci di cavi tesi come muscoli sono pronti per l’elettrica sfida. William Gibson dovrebbe giocarci.
Non ero ben sicuro di inserire il titolo di Refract nella rubrica, ma l’enorme divertimento scaturito dalla prova VR mi ha convinto a farlo. Distance non è un gioco puramente nativo per la realtà virtuale, benché il relativo game-mode – comprensivo di tutti i contenuti – sia stato pubblicato poco dopo il day one, ed è anzi divertentissimo, colmo di sfida e addirittura ipnotico anche giocato su un normale schermo. È altrettanto vero, tuttavia, che l’esperienza diventa magistralmente visionaria una volta infilati i visori di Vive o Oculus, per i quali è stata costruita una pazzesca visuale in prima persona (quasi sdraiati sul mezzo con il busto in avanti, mentre le braccia diventano un fascio di cavi infilati nella scocca) mantenendo, però, lo stesso sistema di controllo, complice un uso particolarmente intenso di tutti i comandi del gamepad. Forse gli sviluppatori esagerano a parlare di mix fra parkour e titolo di corse futuribili, considerato che queste ultime restano sempre preminenti, ma di sicuro sono stati capaci di costruire un’opera ludicamente valida da molteplici punti di vista, eccezionale per l’impatto estetico, sonoro e per il complesso insieme delle sue regole, capaci di farci scivolare progressivamente nella pura follia.

Dopo aver sconfitto la minacciosa entità elettronica dello storymode principale, viene lasciato spazio a tutto quel che Distance può offrire in termini di difficoltà

Distance presenta un’affascinante contestualizzazione cyberpunk, accanto ad efficaci incipit per le due mini-campagne che affiancano quella primaria, ma anche il racconto viene scagliato sul giocatore a colpi di criptiche sferzate digitali, senza che sia davvero importante comprendere quel che va oltre l’impressione. Verrete lanciati a velocità pazzesca su percorsi pieni zeppi di rampe, mortali barriere, laser che possono tagliare come il burro il veicolo e altri ostacoli che rendono necessaria una duttilità difficilmente vista altrove: ci sarà consentito, ad esempio, di proseguire disperatamente anche quando la macchina striata dai neon sarà ridotta a un mozzicone sfrigolante, magari con il taglio di un’enorme sega circolare che ha ridotto a metà il numero delle ruote; ancora più importante, però, è la presenza di piccoli reattori superiori, inferiori e di alettoni che possono spuntare ai lati del mezzo per trasformarlo in un velivolo, così da poter superare voragini prive di strade. E ancora inversioni di gravità e inibizioni temporanee di ali e reattori, man mano che si procede, al punto che consiglio di limitare la visuale in soggettiva alla campagna principale, dove i punti di riferimento sono più marcati, per poi lasciare posto alla più funzionale inquadratura in terza persona. Dopo aver sconfitto la minacciosa entità elettronica dello storymode principale, infatti, capace di evocare sensazioni opprimenti e quasi orrorifiche, viene lasciato spazio a tutto quel che Distance può offrire in termini di difficoltà, con cambiamenti repentini delle regole che possono farci impazzire se affrontati in prima persona, propiziando il lancio del pad (alla cieca, peraltro) in qualche angolo della stanza… La modalità principale non è molto lunga, appena tre ore per un novizio, complice i rientri da checkpoint relativamente vicini dopo ogni sconfitta; la scelta si adatta benissimo al tono di Distance, però, concepito per run rapide, spettacolari e per riaffrontare le sfide sul filo delle classifiche, o anche per confrontarsi con un avversario in un PvP puramente a tappe, senza compresenza dei mezzi sulla pista. Provatelo e non ve ne pentirete.

Piattaforme: HTC Vive, Oculus Rift
Controlli: gamepad, mouse e tastiera
Comfort: Discreto
Prezzo: 20,99€

Voto: 88


VR EARLY ACCESS

COMPOUND

Piattaforme: HTC Vive, Oculus Rift

Per il tipo di gameplay che propone, e per lo stesso target di giocatori a cui viene proposto, Compound è un gioco divertentissimo e discretamente longevo anche subito. Si tratta, in buona sostanza, di un roguelite con generazione procedurale delle mappe costruito intorno allo stile e al grado di impegno mediamente elevato degli FPS anni 90′: prima di ogni partita vi troverete in uno spazio in cui scegliere la difficoltà, avvicinando pietanze più o meno digeribili alla bocca, e soprattutto dove provare le armi disposte ordinatamente in un poligono, con un terminale a spiegarci il funzionamento di ognuna e una locandina appesa al muro per i semplici comandi dei controller cinetici (il movimento è comunque libero, via trackpad o levetta analogica). I meccanismi di ricarica dei vari gingilli, rigorosamente da fuoco, rappresentano una parte importante del sistema di gioco, dal momento che mitragliette, fucili, lancia-qualcosa e altre armi assortite hanno tutte una differente collocazione delle munizioni, e i gesti della “mano libera” per riempire canne o appositi alloggiamenti devono essere sempre diversi.

Già alla modalità meno difficile, su tre disponibili (l’ultima è davvero da folli), le cose si fanno davvero impegnative dopo quattro o cinque livelli, ed è per questo che padroneggiare quasi istintivamente la ricarica degli strumenti di morte casualmente collocati nei “dungeon” (sotterranei, depositi di merci, uffici della fazione nemica e via così) diventa presto assolutamente necessario. In tutti i casi abbiamo a disposizione una debole pistoletta “projectile weapon” con munizioni infinite, appesa all’ingresso di quasi tutte le stanze, mentre gli avversari rispondono volutamente al cliché di una compagine mercenaria al soldo di qualche cattiva corporazione, con motto “unisciti al corpo o diventa un corpo”, affiancata da droni volanti, robot cingolati e altre varianti meccaniche maggiormente pericolose per mobilità o resistenza. Decisamente soddisfacenti anche le opzioni grafiche e per il comfort (con velocità e grado di rotazione, ad esempio), intuitivamente accessibili in uno strumento da polso che in battaglia riporta anche la mappa, l’eventuale posizione dei nemici rimasti – l’obiettivo è sempre di ripulire l’area – insieme all’impietosa indicazione dei punti vita rimasti, cinque in tutto (!), decurtati a colpi di due o tre ai più alti livelli di difficoltà. Accomodatevi pure, se ne avete il coraggio.

Giudizio: Ottimo

VOX MACHINAE

Piattaforme: HTC Vive, Oculus Rift, Windows Mixed Reality

Il controllo di un mech può essere affrontato in realtà virtuale da diversi punti di vista: è possibile, ad esempio, rendere perfettamente fluido il controllo della parte superiore dei robot, nello stile dei mezzi da guerra antropomorfi di Avatar (il film di Cameron; spero ricordiate questo dettaglio), oppure renderli simili a una sorta di evoluzione dei carri armati, come visto nel reboot di Battlezone a cura di Rebellion, ovviamente in senso arcade, attraverso il semplice uso di un gamepad o di mouse e tastiera. Sotto il profilo simulativo, però, è ancora più emozionante quando i controller cinetici vengono utilizzati per interagire con la strumentazione di bordo, ed è esattamente il caso del multiplayer Vox Machinae: tutto, ma davvero tutto, è stato coraggiosamente riportato alla “stretta” simulata della mano, con la pressione continua dei pulsanti laterali, in modo da poter afferrare ogni leva o manopola presente nell’abitacolo e affidare a queste, e solo a loro, l’intero comando del mostro da battaglia.

Per la verità, i tocchi di classe arrivano anche nella fasi preliminari di loadout, con classi personalizzabili più o meno corazzate o agili, visualizzando i modelli delle mani che attivano i pulsanti con la “pressione” immateriale delle dita sui pulsanti; per non parlare della comunicazione con gli alleati, possibile afferrando fisicamente le ricetrasmittenti e parlandoci all’interno (mentre gli avatar dei giocatori sugli schermi muovono le labbra in sincrono con l’audio, per dirne un’altra), o ancora i vari monitor per mappa e obiettivi che possono essere spostati “a mano”. D’altra parte, com’è giusto che sia, il top del divertimento arriva con la guida dei mecha nelle competizioni online, grazie a una serie di comandi al tempo stesso accessibili e completi: una leva permette di girare il busto, un’altra di regolare la velocità di spostamento, una manopola consente di attivare la propulsione per muoversi più velocemente o realizzare “rapide” (si fa per dire; peso e stazza delle enormi macchine sono ben percepibili) manovre diversive, mentre la direzione frontale del visore controlla la linea di tiro. Tutti gli altri pulsanti o trackpad sono personalizzabili per armi, tra laser, cannoni, missili e quant’altro; attualmente sono presenti poche mappe e appena tre modalità – deathmatch, partite in stile Dominio e altre con risorse da attaccare/proteggere in punti random. Vi assicuro, però, che ce n’è già abbastanza per divertirsi come matti.

Giudizio: Eccellente

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