Time Machine Reloaded #3 – Sierra On-Line: Incoronazione

Dopo aver parlato di Codemasters, il terzo appuntamento con la nostra Time Machine Reloaded è dedicato alla genesi di Sierra On-Line, storica compagnia che deve il suo nome alla località dove ancora oggi sorge la sua prima sede operativa, nella cittadina di Oakhurst, ai piedi della catena montuosa della Sierra Nevada. Un vero e proprio paradiso per gli amanti della natura nel 1980, quando la software house venne fondata da Ken Williams, amorevole marito di Roberta Heuer nonché americano rampante DOC. Un uomo deciso a diventare ricco sfruttando la neonata rivoluzione informatica, inizialmente scrivendo noiosi gestionali e poi creando una delle più grandi realtà di quegli anni, il tutto dopo aver scoperto sul suo Apple II nuovo di pacca un programmino chiamato Adventure, che altro non era se non il leggendario Colossal Cave Adventure di Will Crowther. Ken chiamò la mogliettina davanti al monitor, e entrambi rimasero incantati e profondamente ispirati: lei scrisse una storia originale prendendo spunto dal romanzo Dieci Piccoli Indiani di Agatha Christie, e il marito sfruttò la sua esperienza informatica per abbinare alla narrazione testuale delle crude schermate popolate da omini filiformi. Il resto è leggenda: al posto di descrivere agli avventurieri di allora il mondo di gioco, Ken e Roberta erano riusciti a mostrarglielo, creando la prima avventura grafica della storia, un traguardo epocale. Il parser era oggettivamente limitato e la rappresentazione grafica di Mystery House lasciava indubbiamente a desiderare, ma quel piccolo esperimento per Apple II vendette la bellezza di oltre diecimila unità, spingendo la coppia a credere in un mercato che non esisteva ancora.

King’s Quest vede il cavaliere Sir Graham avventurarsi per ordine dell’anziano re Edward alla ricerca di tre artefatti magici

Dopo aver cambiato nome all’attività passando per intuizioni quali SierraVenture e SierraVision, il classico marchio Sierra On-Line venne adottato nel 1982, proprio mentre Ken si arrovellava le meningi per riuscire a spiccare sulla concorrenza. Mystery House era qualcosa di assolutamente unico nel 1980, ma artisticamente sfigurava di fronte alle tipologie di giochi che conquistavano l’attenzione e il portafogli del pubblico medio, quello che solitamente guardava un paio di foto sul retro della confezione prima di scucire la grana. Un destino analogo aveva avuto la seconda avventura di Roberta, Wizard and the Princess, anch’essa uscita nel 1980: la grafica viene migliorata parzialmente con l’aggiunta di un pizzico di colore, ma il risultato non si distanzia più di tanto dal titolo precedente. Come nota a margine, la versione del gioco per PC IBM ha un nome diverso (Adventure in Serenia) e venne pubblicizzata come un seguito, ma si tratta in realtà della stessa, identica avventura! La trama si limitava ad asserire che l’antagonista di Wizard and the Princess, il mago Harlin, era talmente pieno di sé da convincersi che mai e poi mai avrebbe potuto subire la sconfitta due volte, mandando indietro il tempo solo per assistere per la seconda volta alla sua disfatta, stavolta per mano di un nuovo avventuriero che si sarebbe trovato davanti gli stessi enigmi e la medesima mappa vista nel gioco originale. Stramberie a parte, il destino si manifestò a casa Williams sotto le spoglie della IBM, desiderosa di far conoscere alle masse il PCjr, prodotto di punta destinato a entrare in ogni casa americana, o almeno questa era l’intenzione. Per portare a casa il risultato, IBM pensò che un videogioco all’avanguardia sarebbe stato un irresistibile cavallo di Troia, e Sierra On-Line rispose al richiamo, nonché a un finanziamento di 700.000 dollari! Il risultato fu un motore grafico per l’epoca rivoluzionario, capace di dipingere su schermo l’immaginazione di Roberta come mai prima: il suo nome era AGI, ovvero Adventure Game Intepreter, e sarebbe stato una costante nella produzione Sierra per buona parte degli anni Ottanta. E a ben ragione: permetteva di spostare liberamente un avatar sullo schermo lungo gli assi cartesiani, sperimentando una sensazione di profondità e libertà di movimento assolutamente impensabile per una tipologia di gioco fino ad allora limitata a monotone righe di testo su sfondo nero, mentre un parser a scomparsa apriva le porte a infinite possibilità di interazione andando oltre il semplice schema “verbo – nome” visto nei precedenti Mystery House e Wizard and the Princess, senza distogliere l’attenzione da quanto veniva rappresentato su schermo.

Il destino si manifestò a casa Williams sotto le spoglie della IBM, desiderosa di far conoscere alle masse il PCjr

Ancora meglio, fu la tavolozza digitale che permise di tratteggiare lo storico King’s Quest, sicuramente uno dei videogiochi più influenti e importanti di sempre. Può essere stato reso obsoleto nel giro di qualche anno dalla successiva produzione Sierra, ma l’impatto culturale del gioco resta ancora oggi significativo, anche in virtù della particolare ambientazione: il regno di Daventry viene dipinto da Roberta come la classica ambientazione fantasy, contaminata però da elementi presi da fiabe, mitologia e folklore. Non a caso l’autrice ha più volte citato come fonte d’ispirazione i libri dell’autore inglese Andrew Lang, una collezione di fiabe comprendente oltre quattrocento storie suddivisa in dodici volumi: non è quindi difficile durante l’intera serie incontrare elementi quali Pegaso o una particolare versione del pifferaio di Hamlin. Focalizzandoci sull’iconico, primo capitolo, King’s Quest vede il cavaliere Sir Graham avventurarsi per ordine dell’anziano re Edward alla ricerca di tre artefatti magici. Al di là di una serie di puzzle chiaramente ispirati alle raccolte di Lang (il modo per sbarazzarsi della strega nella casetta di marzapane è un chiaro esempio), nel gioco debuttano diversi elementi di chiara ispirazione arcade, probabilmente inseriti per rendere il titolo appetibile a una fascia più ampia (o forse per mostrare a IBM i muscoli di AGI, chi può dirlo) ma che diverranno nel tempo un triste marchio di fabbrica dell’offerta Sierra della prima ora. Tra questi spiccano incontri con nemici vari da evitare come la peste o la scalata della pianta di fagioli magica, contraddistinta da un rilevamento di collisione da strapparsi i capelli! C’era però assai poco di cui lamentarsi: in un panorama in cui i PC venivano usati esclusivamente per lavorare e offrivano sparuti momenti di svago grazie a rudimentali simulatori di volo o adattamenti amatoriali di vetusti coin-op; King’s Quest apriva le porte verso un vero e proprio mondo digitale in cui avventurarsi e diventare un eroe. Successivamente il gioco venne riprogrammato usufruendo del più performante interpreter SCI0 (ne parleremo dettagliatamente andando avanti) assieme ad altri titoli storici come Space Quest, Leisure Suit Larry o Police Quest, e godette addirittura di una conversione “impossibile” per Master System a opera di Microsmiths, pubblicata esclusivamente in America da Parker Brothers e caratterizzata da una veste grafica più accattivante ma, allo stesso tempo, meno particolareggiata rispetto a quanto visto su PC per via dei limiti di memoria della cartuccia, un supporto che costringeva peraltro a salvare il gioco attraverso macchinose password.
Sierra Online time machine king's quest

King’s Quest apriva per la prima volta le porte verso un vero e proprio mondo digitale in cui avventurarsi e diventare un eroe

A onor del vero, va detto che Roberta Williams avrebbe avuto bisogno di un po’ di tempo per aggiustare la mira e produrre un seguito degno dell’eredità del primo King’s Quest: il secondo capitolo uscito nel 1985 con il sottotitolo Romancing the Throne (chiaro riferimento al film Romancing the Stone, da noi All’inseguimento della Pietra Verde) è un more of the same piuttosto insipido, che aumenta a dismisura le citazioni fiabesche/folkloristiche facendoci incontrare Dracula e Cappuccetto Rosso a una manciata di schermate di distanza, oltre a incrementare in modo completamente sleale la difficoltà con l’odiatissimo ponte barcollante, che può essere attraversato solo un numero finito di volte prima di crollare senza nessun avvertimento, rendendo l’avventura irrisolvibile. Sulla stessa linea si piazzano l’ottuso sistema di magie e l’odioso, onnipresente timer del frustrante e per certi versi blando terzo capitolo, To Heir is Human, uscito l’anno successivo. Fortunatamente il lavoro non sarebbe ricaduto tutto sulle spalle della povera Roberta a lungo, giacché il successo di King’s Quest era stato un vero e proprio faro che avrebbe attratto nella bella Oakhurst un gran numero di brillanti talenti. A questo va sommato il proverbiale fiuto degli affari di Ken: per citare uno dei più celebri esempi, ingaggiò l’ex poliziotto di pattuglia Jim Walls dopo aver ascoltato alcune delle sue vecchie avventure in palestra, tra una partita di raquetball e l’altra, ponendo le basi per la serie Police Quest. Che si rivelò invero una strana bestia, ambientata nel mondo reale e lontana dalle fantastiche ambientazioni di King’s Quest e Space Quest, con il protagonista Sonny Bond costretto a seguire alla lettere le rigide procedure a cui un vero poliziotto americano deve attenersi giornalmente per evitare una serie imbarazzante di game over ancora prima di mettersi sulle tracce del cattivissimo spacciatore Jessie Bains, conosciuto come l’Angelo della Morte. Niente paura però, Sierra si sarebbe ulteriormente evoluta, come vedremo nel prossimo appuntamento con la Time Machine Reloaded, arrivando al punto di voler addirittura insidiare il dominio di Ultima nel campo dei giochi di ruolo per computer, all’apice della sua ambizione.

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