Time Machine Reloaded #8 – Black Isle Studios: i maestri del dado

Conoscete bene Brian Fargo, ormai è di casa: abbiamo dedicato a lui e alla nascita di Interplay diversi appuntamenti sulla Time Machine cartacea. Ma il tempo dei grandi giochi di ruolo è nuovamente fra di noi (anche) con Baldur’s Gate III, e non possiamo che tornare con la mente alla metà degli anni Novanta, quando Brian ebbe un’intuizione mica male. Avendo tra le mani uno spropositato numero di progetti, decise di frammentare la sua azienda in più studi, in modo da focalizzare ogni gruppo su uno specifico genere, coordinati ognuno da un singolo responsabile. Fu questa la scintilla che diede inizio alla divisione inizialmente conosciuta come DragonPlay, con a capo Feargus Urquhart: avendo antenati scozzesi e trovando il nome scelto da Interplay di una banalità disarmante, questi lo cambiò nel più evocativo Black Isle Studios. Incaricati di tirare fuori dal cilindro i migliori giochi di ruolo in circolazione, Feargus e compagni fecero esattamente quello per cui erano pagati, non senza qualche aiuto. Per la genesi del primo, storico Baldur’s Gate vi rimando alla rubrica Classic di TGM 366, mente Fallout, beh, quello era già in sviluppo all’interno di Interplay, e Black Isle Studios si adoperò per completarlo nel miglior modo possibile. Come fallire, del resto, con un gioco che in partenza si presentava come la naturale evoluzione del Wasteland di Brian Fargo, una delle figure chiave di Interplay nonché supervisore presso la nuova divisione, attento alle scadenze e all’oculata gestione di finanze e licenze. Proprio una di queste batteva nel cuore pulsante di Fallout, ovvero il regolamento universale GURPS di Steve Jackson: l’epopea postatomica di Interplay aveva infatti cannibalizzato buona parte dei suoi meccanismi arrivando a creare lo SPECIAL (Strenght, Perception, Endurance, Charisma, Intelligence, Agility e Luck), ovvero l’insieme degli attributi che da sempre formano l’ossatura della saga.

Fallout era già in sviluppo presso Interplay, e Black Isle Studios si adoperò per completarlo; per quanto oggi sembri una follia, all’epoca era visto come un progetto secondario

Il gioco doveva essere a tutti gli effetti un adattamento digitale di GURPS, ma Steve Jackson in persona non gradì particolarmente la visione in anteprima dell’introduzione del gioco, con un tizio a cui viene fatto saltare il cranio mentre il suo carnefice saluta la telecamera: considerando che quei pochi secondi erano il mero antipasto di un mondo spietato e brutale, Fargo decise di terminare l’accordo sul nascere, evitando battibecchi futuri. Per quanto possa sembrare un’eresia con il senno di poi, all’epoca Fallout era considerato un progetto secondario, considerato tutto quello che accadeva in quei giorni presso Interplay, non ultima l’acquisizione della licenza AD&D: dobbiamo quindi la sua sopravvivenza a Tim Cain, che aveva nascosto nella proverbiale manica un piano di emergenza chiamato MediEvil, ovvero un sistema di gioco sviluppato da lui e abbandonato tra le pieghe del tempo. Venne recuperato e perfezionato ispirandosi a GURPS, e il resto è storia. Quindi, dire che Fallout è completamente farina del sacco di Black Isle Studio sarebbe un’esagerazione, nonostante tecnicamente parliamo senza dubbio del primo gioco firmato dal neonato gruppo; si tratta piuttosto di un lavoro nato e sviluppato prima della frammentazione di casa madre, terminato e spedito sugli scaffali nel 1997 da Feargus e compagni. L’esatto contrario del sequel, pubblicato un anno dopo in seguito a una gestazione davvero travagliata, visto che lo stesso Tim lasciò Black Isle Studios assieme agli amici Leonard Boyarsky e Jason Anderson, ovvero figure chiave nella creazione di entrambi i Fallout. La passione del terzetto era stata fondamentale nella creazione del primo episodio, e la risicatissima deadline fece andare in escandescenza Feargus che si trovò a convocare ogni designer disponibile per dare una mano nella realizzazione del gioco. Al giorno d’oggi Fallout 2 è considerato un classico senza tempo, ma in realtà la sua genesi è frutto dello sforzo corale di menti non troppo entusiaste della spiacevole situazione (Chris Avellone fra tutti stava concettualizzando Planescape: Torment quando venne costretto a raddoppiare il suo lavoro), intente a rattoppare un gioco trovatosi improvvisamente orfano dei suoi stessi creatori.

Ci pensate? Torment fu inizialmente un fallimento commerciale: sembra quasi una linea temporale parallela!


Questo crogiolo di menti e ispirazioni è un po’ il motivo dietro gli incontri più assurdi che il Prescelto si sarebbe trovato ad affrontare: sebbene il primo Fallout non fosse avaro di bizzarri avvenimenti (tra tutti l’impronta di un dinosauro e nientepopodimeno che il Tardis in persona!), il seguito ha sfoggiato fieramente un campionario di citazioni smodato, tirando in ballo i Monty Pyton, Douglas Adams e una sfilza di riferimenti alla cultura popolare praticamente infinita tra film, fumetti e videogiochi, creando un’atmosfera decisamente più leggera rispetto ai toni oscuri e minacciosi della prima avventura. Nel frattempo gli amici di BioWare erano intenti a coccolare la loro gallina dalle uova d’oro, pubblicando l’espansione Tales of the Sword Coast (1999) per Baldur’s Gate, mentre Black Isle Studios si era messa al lavoro su Planescape Torment, sfruttando una versione modificata dell’Infinity Engine. Uno scambio di favori del tutto naturale, visto che Black Isle Studios aveva fornito ai ragazzi di BioWare un’importante mole di aiuti durante la creazione del loro campione d’incassi, supportandoli attraverso il playtest, la creazione dell’audio, la produzione e , ovviamente, il permesso di usare la licenza di AD&D. A tal proposito, Planescape era un altro marchio che ronzava inutilizzato dalle parti di Interplay, bisognoso di un adattamento che potesse fargli onore. Secondo Chris Avellone, un’ambientazione tanto singolare era una sorta di arma a doppio taglio: da una parte permetteva una libertà di scenari semplicemente infinita, garantendo dunque una grandissima varietà di situazioni, dall’altra la sua particolarità la rendeva una scelta bizzarra per l’appassionato di giochi di ruolo sui generis, sicuramente più attratto dal canonico fantasy dei Forgotten Realms. Proprio per questo, per quanto incredibile possa sembrare ai giorni nostri, quello che da molti è considerato l’irraggiungibile apice dei giochi di ruolo per computer ricevette un’accoglienza tiepida da parte del pubblico, portando comunque a casa recensioni più che soddisfacenti da parte della stampa.

Esistono ancora scorci e persino una tech demo di Van Buren, una delle vittime della prematura chiusura dello studio


Il relativo fallimento commerciale del gioco fu quindi un punto di svolta, con Black Isle Studios poco propensa a correre rischi e decisa a battere il ferro finché era caldo seguendo la scia di gloria tracciata dal lavoro dei colleghi di BioWare. Nell’estate del 2000 vide dunque la luce Icewind Dale, che incorporava per la prima volta nell’infinity Engine il regolamento della terza edizione di AD&D, un passo avanti importantissimo che venne obbligatoriamente adottato in Baldur’s Gate II durante lo stesso anno. Due anni dopo fu quindi la volta di Icewind Dale II, universalmente considerato un more of the same del primo capitolo, per quanto ben fatto. Stessa ambientazione e medesima enfasi sui combattimenti, mentre l’Infinity Engine assaporava i suoi ultimi giorni di gloria prima di essere messo definitivamente in pensione, oggettivamente invecchiato e non più adatto a riprodurre efficacemente su schermo il regolamento della terza edizione. Il mercato dei videogiochi per PC aveva però accusato le bordate sparate dall’arrivo di PlayStation 2, e Black Isle Studio abbracciò le potenzialità del prolifico mercato console pubblicando nel 2001 l’accessibile e fortunato gioco di ruolo d’azione Baldur’s Gate: Dark Alliance. Questo era stato sviluppato da Snowblind Studios, ma la squadra di Feargus non rimase certo con le mani in mano, dedicandosi in prima persona alla realizzazione del seguito. Purtroppo la sfortuna era dietro l’angolo, pronta a colpire con la più infausta tra le tragedie, ovvero la perdita della licenza di AD&D a causa di un non meglio precisato errore di contabilità. La catastrofe dunque si manifestò sotto diversi fronti, con le attenzioni dei videogiocatori rivolte alla nuova generazione di console e la perdita di un marchio prestigiosissimo. Se i problemi economici di Interplay non fossero stati sufficienti, alla tragedia si sarebbe aggiunto il morale sotto i tacchi del team: incapace di attingere all’ambientazione che tanta fortuna aveva portato, la squadra dovette troncare i lavori su Baldur’s Gate III, gettando alle ortiche circa un anno di fatica. Questo fu sufficiente a far gettare la spugna a Feargus, che lasciò la compagnia per formare Obsidian Entartainment, mentre altri promettenti progetti come Fallout III: Van Buren e l’originale gioco di ruolo Torn vennero interrotti dalla chiusura dello studio nel dicembre del 2003, inghiottito dalle grane finanziarie di Interplay.

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